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La prosa di Alberti (certo influenzata dalle origini triestine dell'autore) consentiva anche di capire come le argomentazioni di carattere navale e marittimo potessero giungere ad intersecarsi e a fondersi con la tradizionale retorica di stampo risorgimental-patriottico ed irredentista, normalmente ripartita fra capoluogo trentino e capoluogo giuliano. Quest'ultimo, infatti, prima ancora di esser una città a maggioranza italofona, che le logiche di autodeterminazione dei popoli esigevano fosse sottratta alla giurisdizione imperial-regia per esser assegnata a quella italiana, era soprattutto il principale porto commerciale di tutto il bacino adriatico ed il cuore pulsante della talassocrazia mercantile autro-ungarica. Di conseguenza, mentre i discorsi concernenti l'eliminazione del pericoloso saliente trentino si sarebbero sviluppati in modo autonomo e parallelo, date le loro implicazioni esclusivamente continentali e terrestri, finendo quasi per rappresentare una sorta di sottoinsieme all'interno della corposa, variegata ed a tratti bulimica produzione letteraria di stampo interventista, qualsiasi teorizzazione volta a comprovare l'importanza di sottrarre Trieste al giogo asburgico, diventava automaticamente incipit di un ragionamento di più ampio respiro circa il destino da grande potenza navale che il suo possesso avrebbe consentito di ipotecare.

Per conquistare anche il grande pubblico italiano a questa prospettiva di inconfutabile grandezza futura, l'autore ritenne opportuno sfatare ciò che egli riteneva una menzogna oltremodo diffusa, perché ampiamente utilizzata da quanti, in passato, avessero cercato di diffondere il dissenso nei riguardi di una politica estera decisa ed aggressiva, imperniata sulla necessità di riconquistare il capoluogo giuliano: “il mito della decadenza economica di Trieste sotto l'Italia; il mito della superfluità del porto di Trieste per la economia italiana.”435

Pomo sella discordia era stata la tendenza della propaganda anti-annessionista a sopravvalutare l'operato dell'amministrazione imperiale asburgica a favore di questa città, attribuendo ad essa tutti i meriti della sua attuale prosperità economica.

Gli austriaci, di là e di qua del confine dicono: Trieste è divenuta un grande emporio commerciale, perché l'Austria ne ha fatto il porto dell'impero, perché l'Austria la creò porto franco, perché l'Austria spese somme somme enormi per il suo sviluppo portuale, perché l'Austria si dette una cura specialissima dell'incremento delle comunicazioni ferroviarie fra Trieste ed il suo hinterland, ecc. Nulla di più falso: storia e realtà presente smentiscono […] questi miti austriaci.436

Denunciando le falsità di tutte quelle affermazioni, egli ricondusse la centralità economico-commerciale ricoperta dalla città affacciantesi sull'Adriatico al suo antico passato, alla decisione, operata dai romani, di fondarla in un punto tanto importante dal punto di vista morfologico-geografico e strategico da renderla, già allora, crocevia di traffici mercantili, terrestri e marittimi, fra Europa di mezzo, Levante ed Oriente. Il crollo dell'impero romano avrebbe inaugurato per la città un periodo buio, costellato di torbidi e

435 Cfr Mario Alberti, Adriatico e..., cit, p 13. 436 Ivi, p 14.

di lotte insurrezionali sempre represse con spietata ferocia dalle autorità imperiali asburgiche, nelle cui mani Trieste era oramai caduta. Una subordinazione burocratico- amministrativa aggravata dal contemporaneo spostarsi a nord e ad ovest del baricentro dei traffici internazionali, all'epoca impegnati a collegare vecchio e nuovo mondo. Benché inserita in un contesto tanto avverso e sfavorevole, la città sarebbe comunque riuscita a non soccombere e a conservare un margine di importanza commerciale sufficiente a garantirle la possibilità di risorgere, nella fase finale dell'evo moderno, per poi riesplodere con tutta la sua prepotenza, quando, tagliato l'istmo di Suez dall'omonimo canale, il Mediterraneo sarebbe tornato ad essere crocevia di traffici e di interessi geo-politici.

[…] spazzato il mare dai pirati, libera la navigazione per tutto l'Adriatico; cadute […] le barriere doganali interne fra terra e terra; fra provincia e provincia, fra città e città; […] costruite le ferrovie che potentemente favoriscono l'accrescersi dei traffici; ridotte al minimo le spese di trasporto e moltiplicate all'infinito le possibilità di spedizione con l'introduzione delle macchine a vapore nei battelli, il commercio di Trieste si sviluppa potentemente per merito anche dell'intraprendenza dei suoi mercanti e dei suoi armatori.437

Allo stesso modo, Alberti avrebbe liquidato la tendenza di molti a spiegare l'espluà economico-commerciale conosciuto da Trieste solo col suo status di porto franco, immaginando per essa un futuro di lenta, ma inesorabile decadenza il giorno in cui questo fosse venuto meno. In verità, sosteneva l'autore del presente opuscolo, la trasformazione del capoluogo giuliano (ma anche di Fiume, Martinschizza, Buccari, Portore, Segna e Carlopago) in porto franco era avvenuta, per mano dell'imperatore Carlo VI, solo “alla fine del secondo decennio del secolo decimo ottavo”, perché la conversione di Livorno in centro marittimo libero dai dazi, nel 1547, e la sua conseguente capacità di imporsi all'attenzione mondiale proprio in virtù di questo regime doganale particolarmente favorevole, aveva innescato una reazione a catena cui anche l'autorità imperiale, in principio contraria alla concessione di tariffe agevolate alle città rivierasche soggette alla sua giurisdizione, dovette, col tempo, seppur a malicuore, piegarsi. Ciononostante, il fatto stesso che solo due fra gli innumerevoli empori commerciali marittimi presenti sulla costa orientale dell'Adriatico avessero saputo trarre considerevoli vantaggi economici dalla loro condizione di porto franco, dimostrava in modo inopinabile come fossero stati ben altri i fattori poi rivelatisi decisivi.438

Nella lettura operata da Alberti, infatti, a garantire a Trieste e a Fiume il successo che le avrebbe contraddistinte e caratterizzate erano state una posizione geografica particolarmente favorevole e l'indiscussa “abilità trafficatrice dei loro commercianti”, non certo i corposi investimenti operati dalle autorità imperial-regie, che, anzi, “dall'istituzione del porto franco sino agli ultimi cinquant'anni” avevano completamente abbandonato Trieste. Solo nel 1884, con notevole ritardo rispetto alle pianificazioni iniziali (il completamento dei lavori era infatti previsto per il 1873), esse avrebbero consegnato alla

437 Ivi, p 15. 438 Cfr Ivi, p 15.

città italofona un porto, rivelatosi poi però del tutto insufficiente, perché “inadatto ad accogliere le navi moderne, nel frattempo, considerevolmente aumentate di tonnellaggio.” Anche l'assenza di un adeguato collegamento ferroviario fra il porto e le regioni interne del retroterra finirono per penalizzare le possibilità e le capacità di attrarre mercanzie, molto più propense a gravitare verso nord, in direzione di Amburgo, ben collegata da una fitta rete di vie acquee interne navigabili (fiumi e canali) e da una rete ferroviaria efficiente.

439

Da ultimo andava rivalutata l'importanza attribuita al regime doganale agevolato, troppe volte erroneamente esaltato come uno dei fattori determinanti nello sviluppo di Trieste quale sbocco al mare capace di attrarre a sé traffici e commerci. Chi aveva ritenuto opportuno costruire ed alimentare questo topos, aveva anche furbescamente omesso di ricordare che un regime doganale tanto favorevole rappresentava una sorta di provvedimento d'urgenza adottato per arginare gli effetti deleterei della tassazione precedentemente vigente, che con imposte troppo alte aveva finito per soffocare “alcuni redditizzi e fiorentissimi rami del commercio triestino, quali ad esempio quello dell'olio, delle granaglie, dei vini.” Inoltre, non era certo ad esso che si sarebbe potuto ricondurre il considerevole impulso conosciuto dal traffico da e per Trieste, perché, contrariamente a quanto affermato dalla mitopoiesi sorta attorno all'argomento, i dazi agevolati erano sempre stati applicati ad una parte assolutamente marginale e minoritaria del traffico mercantile in transito.440

[…] Trieste non è una creazione artificiale dello Stato austriaco, ma si è sviluppata per virtù propria. […] Trieste […] è il naturale e semplicissimo prodotto di una posizione ben addentro nella parte più nordica dell'Adriatico, che s'insinua nel centro d'Europa. Trieste ha tutte le caratteristiche del porto che doveva spontaneamente, inevitabilmente svilupparsi ed assurgere ad una determinata fortuna. L'osservazione della carta geografica ci rivela questa predestinazione naturale di Trieste a diventare centro importante di traffici. Tre sono, infatti, i punti marittimi dell'Adriatico che offrono la massima convenienza pel traffico da e per l'Europa centrale bassa: Trieste la più settentrionale e la più centrica, per la parte centrale della zona; Venezia per la parte occidentale; Fiume per la parte orientale. Sono i tre punti d'irradiazione di maggior tornaconto per le rispettive zone commerciali. Trieste, insomma, deve la sua fortuna economica alla favorevole posizione geografica. E questa, nessun'Austria al mondo riuscirà a modificare, quando Trieste e Fiume apparterranno all'Italia […] Staccata dall'Austria, insieme con Fiume, Trieste manterrà tutta la sua importanza e la sua prosperità.441

Considerazioni del tutto analoghe avrebbe espresso anche Giulio Caprin, in un altro opuscolo della stessa collana, questa volta dedicato al rapporto da sempre intercorso fra il capoluogo giuliano e la storia d'Italia.

439 Cfr Ivi, pp 16-17. 440 Cfr Ivi, pp 18-19. 441 Ivi, pp 19-20.

In esso l'autore avrebbe riconoscuto i considerevoli progressi operati dalla città negli anni della dominazione asburgica, aggiungendo, però, che per poterli considerare merito esclusivo dell'amministrazione imperial-regia e non (come invece egli sosteneva) di una predestinazione morfologico-geografica, sarebbe stato indispensabile dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che “non austriaca, non avrebbe progredito. Bisognerebbe dimostrare che la floridezza del suo porto dipende dal governo che lo possiede e non dalla sua situazione geografica.”442

La macchina burocratico-amministrativa austro-ungarica, infatti, non poteva esser ritenuta artefice né della posizione estremamente favorevole in cui era stato fondato l'agglomerato urbano primigenio (opera dei romani e non dei germani), né delle maggiori iniziative di carattere marittimo di cui si sarebbe potuto poi avvantaggiare il commercio austriaco, tutte “nate a Trieste […], quasi un secolo fa, […] per iniziativa triestina, […] [e] rimaste tali anche contro l'azione accentratrice del governo” di Vienna. L'operato della corona si era dimostrato invero addirittura controproducente, perché ammodernando e riorganizzando la rete di vie acquee interne presente nella parte continentale dell'Impero, aveva contribuito ad accrescere non poco la competitività dei porti (soprattutto tedeschi) dell'Europa settentrionali, già di per sé particolarmente abili nell'attrarre merci e traffici, e dunque lavori, sottraendoli a quelli meridionali.443

Oramai risulta con evidenza inconfutabile che il pericolo minacciante i principali porti mediterranei non è nella loro rivalità reciproca, ma in quella che a tutti i porti medi terranei minacciano i porti del mare settentrionale. Marsiglia, Genova, Trieste, Venezia si sono oramai divise naturalmente le loro sfere di influenza […] Trieste, per quanto l'Austria abbia tentato di attrarla nell'orbita della civiltà germanica, rimane per natura un porto mediterraneo e non può attendere la sua fortuna avvenire se non dalla fortuna generale del Mediterraneo, dalla concordia della civiltà medietrranea contro l'invadenza germanica.444

Nell'interpretazione propostaci da Caprin, dunque, nessuna trasformazione di carattere politico, neppure l'erezione di una frontiera fra costa orientale dell'Adriatico e suo entroterra balcanico, avrebbe potuto recidere la rete di traffici all'epoca esistente ed i porti che, in virtù della particolare posizione geografica da essi occupata, fungevano da naturale sbocco sul mare di quei territori, avrebbero continuato a farlo, anche perché il loro passaggio ad una differente giurisdizione sarebbe stato controbilanciato dalla fine dell'antagonismo fra le piazze portuali site dall'una e dall'altra parte del bacino adriatico, finalmente integrate all'interno di un unico stato.

[…] le merci che hanno avuto ragione fino a ieri di preferire Venezia a Trieste a maggior ragione, quando i due porti non apparterranno a due stati diversi, continueranno ad affluire a Venezia, come quelle che preferivano Fiume dovranno

442 Cfr Giulio Caprin, Trieste e l'Italia, in: Problemi italiani, n° 6 del 31.01.1915, Ravà & C. Editori, Milano, p 24. 443 Ivi, pp 25-27.

preferirla anche domani. Invece tanto Trieste, quanto Venezia, quanto Fiume, avranno da dividersi nuove importazioni e da irradiare nuove esportazioni quando nel Basso Adriatico si aprono i liberi porti della Serbia, ai quali dovranno confluire le esportazioni balcaniche che, attualmente, dall'Austria erano richiamate verso i suoi territori per via di terra. Era la corrente commerciale danubiana, mantenuta dall'Austria con la soggezione economica dei paesi balcanici, che toglieva forza allla corrente parallela adriatica. L'inflessibile opposizione austro-germanica a che si formasse un sistema ferroviario continuo attraverso i Balcani, dal Mar Nero all'Adriatico, danneggiando l'Adriatico, danneggiava specialmente Trieste. Austria e Germania d'accordo si monopolizzavano un transito continentale di prodotti che la ferrovia balcanica, con sbocco serbo sull'Adriatico, non può convogliare che verso l'Italia e verso i suoi porti adriatici, perciò anche Fiume e Trieste.445

La fine del monopolio germanico sul continente a seguito della sconfitta che sarebbe stata certamente inferta al blocco austro-tedesco, avrebbe quindi liberato nuovi flussi di traffico mercantile prima attratto ed indirizzato verso nord, che si sarebbe inevitabilmente concentrato nei porti di un Mediterraneo rilanciato dall'apertura del canale di Suez, dalla ripartizione in stati unitari a carattere nazionale di quelle porzioni di continente europeo prima subordinate “all'inetto e torbido governo turco”, dal probabile avvicinamento di una Russia ingranditasi grazie ad una serie di nuove annessioni territoriali ottenute a scapito degli Imperi Centrali battuti.

E poiché la nuova attività mediterranea si delinea sopra tutto nelle sue parti orientali, l'Adriatico specialmente avrà da beneficiarne, perché l'Adriatico è nel centro del Mediterraneo il golfo più prossimo all'Oriente. E nell'Adriatico Trieste, non per merito di chi la tenne fino ad oggi, ma per natura e tradizione, è già da un secolo lo scalo del Levante. Sono le chiavi del Levante, perdute dall'antica Repubblica di Venezia, che l'Italia ritroverà a Trieste.446

Per non rischiare di essere esclusa da questo avvenire di prosperità e ricchezza, l'Italia avrebbe dovuto rompere ogni indugio, abbandonare la neutralità vergognosamente abbracciata e dichiarare guerra al secolare nemico austro-ungarico, spiegando a chi si fosse dimostrato ancora titubante e dubbioso, che, se “l'annessione di Trieste, della Venezia Giulia, del Trentino” (comunque necessaria all'autodifesa della penisola) si poteva sminuire e liquidare, considerandola questione di secondaria importanza, perché utile solo a saldare un “debito d'onore” contratto dall'Italia con sé stessa, liberare Trieste dal giogo imperial-regio, invece, era, al contempo, un obiettivo non disgiungibile dalla disputa fra grandi potenze all'epoca in corso.

Del problema generale […] vi è per lo meno un aspetto che […] tocca direttamente [l'Italia]: l'aspetto orientale. Lo tocca negli interessi e nei confini, perché non solo

445 Ivi, pp 28-29. 446 Ivi, pp 29-30.

l'attuale confine italo-austriaco è un assurdo strategico, ma perché tutta la sponda orientale dell'Adriatico ha per l'Italia importanza di confine, come le coste belghe l'hanno per l'Inghilterra. Ora Trieste sarebbe appunto uno dei punti in cui farebbe centro il germanesimo vittorioso per estendere sempre più la sua influenza esclusiva sull'Oriente balcanico domato e sull'Oriente turco asservito in un'alleanza militare. È necessario, per l'Italia che non vuol morire, approfittare del momento straordinario per riformare a suo vantaggio l'equilibrio dell'Adriatico, premessa indiscutibile per la sua futura espansione civile e commerciale in Oriente.447

Quanti fossero investiti di capacità decisionale si sarebbero, però, dovuti sbrigare, perché l'italianità del capoluogo giuliano, da tempo sotto assedio, avrebbe anche potuto avere i minuti contati. Reso infatti definitivo il passaggio del testimone fra l'antica e la nuova Dominante dell'Adriatico, inglobando all'interno del medesimo confine politico entrambi i centri di cultura marinara italofona, il timore di perdere anche questo importante scalo commerciale come era già avvenuto con Venezia (ceduta all'Italia, assieme al Veneto e a parte del Friuli, all'indomani della terza guerra d'indipendenza), non contribuì soltanto ad inasprire il sentimento anti-italiano delle autorità imperial-regie, le persuase della necessità di germanizzare il capoluogo giuliano, recidendo ogni suo legame con la penisola italica.

L'Austria […] fa il vuoto intorno a Trieste, dalla parte dell'Italia […] Così pensa di arrivare al suo scopo. Distruggere l'italianità di Trieste senza, naturalmente, distruggere Trieste: fare in modo che la città muoia nazionalmente, ma rimanga viva, prosperi, fiorisca come città dell'impero e per l'Impero. Muoia italiana e nello stesso tempo rinasca austriaca.448

Fallito questo tentativo, perché i triestini, resisi conto del tentativo di snazionalizzarli, si sarebbero radicati nella loro italianità, diventandone gelosi, Vienna avrebbe ritenuto conveniente giocare la carta della slavizzazione del territorio e della gente che lo abitava. Le autorità imperiali avrebbero quindi favorito l'inurbazione di contadini sloveni della Carniola, “che è alle spalle di Trieste”, nella speranza di riuscire così ad innescare un lento, ma inesorabile, processo di rivoluzione etnografica capace di sostituire gli slavi agli italiani. I rappresentanti della monarchia asburgica avrebbero di conseguenza favorito la presenza, nel porto adriatico, di sloveni di Carniola e di Carinzia, di croati di Croazia, ma anche di cechi e di polacchi, ostacolando, invece, la possibilità di trasferirvisi di italiani del Regno e di sudditi italofoni del Trentino e del Friuli.449

E tuttavia, dopo decenni di quest'opera denaturante, […] ci sono nel Regno città di forestieri – Venezia stessa – che presentano un aspetto internazionale di Trieste. Perché in quelle città per lo meno il piccolo commercio si adatta a lingue e abitudini

447 Ivi, pp 30-31. 448 Ivi, p 11.

forestiere; mentre a Trieste i forestieri per vivere devono cedere alla lingua e al costume cittadino. E la navigazione mercantile di bandiera austriaca che è iscritta al porto di Trieste, sia quella del Lloyd austriaco o della transatlantica Austro- americana o delle imprese minori locali, adopera a bordo, propaga per tutti gli scali di tutti i mari la lingua con cui l'Adriatico fu colonizzato dalla navigazione veneziana. Trieste continua nel presente il destino che nel passato fu di Venezia: la bandiera austriaca che fino a ieri dominava quasi sola l'Adriatico, mantiene – contro l'intenzione dell'Austria – all'italianità di domani il mare che non può essere che italiano. La fatalità storica difende ancora l'Italia dal nemico, con gli stessi strumenti che il nemico adopera per sopraffarla.450

La capacità di resistere dell'italianità di Trieste ai continui assalti slavi indirizzati e fomentati dall'azione delle gerarchie asburgiche non si sarebbe potuta protrarre in eterno, perché tutti gli assedi, prima o poi, sono destinati a concludersi con la liberazione degli assediati o con la loro capitolazione. La città giuliana non avrebbe rappresentato certo un'eccezione, tanto più qualora si fosse tenuto ben presente che il generale sconvolgimento geo-politico innescato dal divampare della guerra in Europa non si sarebbe potuto concludere senza una generale ridefinizione dell'assetto dell'Adriatico e di tutta la penisola balcanica a vantaggio di chi avesse offerto un contributo decisivo il dipanarsi degli avvenimenti bellici. Per questo, a detta dell'autore, la scelta neutralista operata dal governo di Roma avrebbe assunto sempre più i connotati dell'errore politico, perché sembrava intenzionata ad attribuire valore ideologico ad un semplice stratagemma diplomatico, la stipula della Triplice Alleanza, a suo tempo escogitato solo per quieto vivere, istituendo un “provvisorio modus vivendi fra due rivali che per il momento non hanno convenienza a battersi.”

Partecipare alla guerra europea e sottrarre Trieste al giogo asburgico, così da preservarne l'indiscussa italianità, avrebbe infatti rappresentato l'unica chance ancora rimasta al paese, per far valere il proprio diritto, in quanto stato possessore di tutta la costa occidentale dell'Adriatico, di aver voce in capitolo nella futura ridistribuzione delle sfere di influenza all'interno del bacino conteso, inevitabile dopo la prevedibile esautorazione dell'Austria-Ungheria e la conseguente emancipazione degli salvi del sud ad essa subordinati.

Prospettando l'eventuale scomparsa a seguito di una sua dissoluzione del colosso asburgico quale attore della politica internazionale, Caprin dimostrava soprattutto di non condividere la tesi, all'epoca sostenuta da molti, Sonnino compreso, che attribuiva all'esistenza stessa della duplice monarchia il ruolo di efficace barriera opposta alla pericolosa espansione del panslavismo. Ipotesi di per sé semplicemente inconsistente, perché, per rivelarsi plausibile, avrebbe dovuto indurre lo stato capeggiato dalla monarchia viennese a diventare una realtà sovrannazionale del tutto svincolata dall'obbligo di appoggiarsi ad almeno una delle nazionalità racchiuse entro i suoi confini, come invece aveva sempre fatto con la componente germanica, prima, e con quella magiara, poi, e come avrebbe minacciato di fare anche con quella slavo meridionale;

almeno sino a quando non si fosse accorta che accentuare il carattere slavo del costrutto balcanico-danubiano avrebbe potuto distruggerlo definitivamente.

Il conflitto che la oppose a Serbia e Russia zarista, poi rapidamente estesosi a tutto il continente, sarebbe nato proprio dall'esigenza di arginare ed arrestare il processo di