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Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n 2/2005 sull’occupazione

acquisitiva ed il riallineamento tra Cassazione e CtEDU.

Una delle prime prove di dialogo fra le Corti interne sull’impatto prodotto nell’ordinamento dall’istituto dell’occupazione acquisitiva è stata quella in tema di

prescrizione che, nella ricostruzione dogmatica dell’istituto appropriativo, coniato a livello interno doveva essere quinquennale, termine per contro non tollerato dalla Corte di Strasburgo.

All’indomani delle decisioni rese dalla CtEDU sul tema della persistente esistenza, sul versante sostanziale, dell’occupazione acquisitiva e malgrado il diverso avviso espresso dalle SS.UU. della Cassazione nelle tre già ricordate decisioni del 2003, l’unica possibilità per evitare nuovi moniti da parte della Corte dei diritti umani sembrò quella di operare un mutamento di rotta in ordine alle coordinate dell’istituto proprio in ragione dei mutamenti normativi intervenuti

medio tempore, che avevano inteso elidere l’effetto della prescrizione quinquennale,

garantendo al proprietario defraudato un risarcimento del danno sempre agganciato al valore (quasi) integrale del bene.

Sembrò111 quindi, che la linea tracciata dai Giudici di Strasburgo imponeva al giudice nazionale di tenere presente quali sono i parametri, anche tratti dalla giurisprudenza della CtEDU, che impediscono una collisione con la tutela accordata nell’ordinamento interno, prediligendo una soluzione che assicuri una tutela equivalente o superiore - in relazione al carattere pur sempre minimale della tutela contenuta nella CEDU - scartando le opzioni che, invece, avrebbero potuto creare contrasto con la Convenzione ed i suoi protocolli112.

Si sottolineò che ad essere chiamato in causa non era solo il potere legislativo dello Stato firmatario, ma anche gli altri poteri, proprio perché, nella vicenda dell’occupazione appropriativa, il contrasto che ha dato luogo alle sentenze di cui si è detto non nasceva, tanto, dall’applicazione di un precetto normativo, ma piuttosto da un principio giurisprudenziale assurto - grazie alla CtEDU - a vero e proprio diritto vivente.

La riconosciuta violazione dei canoni scolpiti dall’art. I Prot. n. 1 alla CEDU, per quel che riguardava il termine di prescrizione, non derivava, infatti, né da una legge interna né da una carenza legislativa. Di tal che la violazione riscontrata non

111 C

ONTI R., Op. Cit.

112 BULTRINI A., Condanne dell’Italia per la durata eccessiva dei processi: prima, timida reazione del Consiglio Superiore della

Magistratura, in Doc. giust., 2000, 65. Rileva sul punto ESPOSITO V., Le radici della crisi italiana sul giusto processo, in Doc. giust.,

2000, 15, che se l’obbligo di salvaguardare i diritti dell’uomo incombe “sullo Stato unitariamente considerato - che ne assume la

responsabilità internazionale per il corretto adempimento - lo stesso obbligo grava sull’organo (o sugli organi) che è tenuto a tale adempimento all’interno dello Stato e ciò non solo perché tale organo costituisce la manifestazione concreta dell’agire dello Stato nel singolo caso, ma soprattutto perché, stante la già accennata peculiarità degli effetti della Convenzione, lo stesso è il destinatario diretto della prescrizione convenzionale”.

richiedeva l’adozione di una legge destinata a modificare norme preesistenti, nascendo piuttosto l’illecito dall’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità.

Secondo i Giudici di Strasburgo non è conforme alla CEDU un sistema che garantisca alla pubblica amministrazione che ha agito illegalmente l’acquisto della proprietà, retrocedendo il diritto del proprietario a mero diritto risarcitorio soggetto ad un breve termine di prescrizione che non può essere individuato con certezza dal proprietario. Appariva riduttivo ipotizzare, come pure aveva fatto la Relazione dell’Ufficio del Massimario del 24 ottobre 2005 - che poi sarebbe stata seguita da Cass. n. 11887/2006 -, un semplice revirement in punto di quantum risarcitorio.

In verità, già prima dell’intervento del giudice costituzionale con le “sentenze gemelle”, il Consiglio di Stato, confermando la posizione assunta in sede consultiva113, si era posto in posizione divergente rispetto alla giurisprudenza di legittimità.

Rivisitando i principi fino a quel momento espressi a proposito della tutela restitutoria correlata a condotte di occupazione illegittima l’Adunanza Plenaria114 del Supremo Consesso, dava atto che alla base di tale revirement giurisprudenziale aveva ipotizzato “una spinta evolutiva che innesta le sue radici nel diritto comune

europeo, enucleabile dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo chiamata a garantire tali diritti, nel contesto della progressiva integrazione tra ordinamento interno, comunitario e della Convenzione”.

Dopo avere ricordato che la giurisprudenza amministrativa più risalente aveva coniato l’istituto dell’espropriazione in sanatoria, rivolto ad assicurare ad opere pubbliche realizzate in virtù di occupazione d’urgenza scaduta o di occupazione abusiva la possibilità di sanatoria in forza di un decreto di espropriazione emesso ex

post, dotato di efficacia retroattiva115, veniva ricordato che la Corte di Cassazione era stata indotta ad elaborare un istituto volto a contemperare i problemi legati alla perdita della proprietà con il riconoscimento di un’adeguata riparazione sul piano economico del proprietario. Ecco che con una inversione della fattispecie civilistica

113 Cons. Stato, parere 9 aprile 2003, e Cons. Stato, Ad. gen. 1° marzo 2001 n. 2. 114 Cons. Stato, Ad. Plen., 29 aprile 2005, n.2.

dell’accessione, intesa come modo di acquisto della proprietà era stata elaborata la figura pretoria dell’occupazione appropriativa costellata da “non pochi punti

d’incertezza in diritto116” e connotata da “aspetti problematici anche con

riferimento alla individuazione del momento in cui l’opera pubblica possa ritenersi realizzata”, per effetto dei quali era intervenuta la Corte dei diritti umani,

individuando taluni punti di contrasto con l’art. I del primo protocollo alla CEDU. Portando alle estreme conseguenze detto ragionamento il Cons. Stato con sentenza n. 2582/07117 si è espressamente indirizzato verso il superamento del termine di prescrizione quinquennale in materia di occupazione acquisitiva ed ha quindi annullato la decisione del giudice del primo grado che, ritenendo prescritta l’azione risarcitoria, aveva disatteso le domande e le aspettative del proprietario, spogliato del dominio e privato, anche, del diritto al risarcimento del danno.

È stata pertanto l’affermazione che la giurisprudenza formatasi sull’occupazione acquisitiva si è basata su principi più volte affermati praeter

legem, in contrasto con la giurisprudenza della CtEDU a destare l’attenzione della

dottrina, soprattutto se tale affermazione si coniuga con l’altra che attribuisce alla Convenzione “una diretta rilevanza nell’ordinamento interno” e, quindi, con la conclusione per cui “il testo e la ratio dell’art. 43.(T.U.E.) non consentono di

ritenere sussistente un termine quinquennale, decorrente dalla trasformazione irreversibile dell’area o dalla realizzazione dell’opera, decorso il quale si verificherebbe la prescrizione della pretesa risarcitoria”.

Tale approdo era tale da restituire certezza al proprietario defraudato da una condotta praeter legem dell’occupante, elidendo il pericolo di un’acquisizione gratuita della proprietà scaturita da una condotta lesiva di un diritto fondamentale quale è, appunto, quello di proprietà.

A fronte di tale posizione la Corte di Cassazione si trovava in serio imbarazzo, talvolta non sembrando affatto intenzionata a modificare le coordinate dell’istituto dell’occupazione acquisitiva.

dal Presupponendo il principio che in caso di lesione del diritto dominicale correlato al mancato rispetto del principio di legalità per i casi di occupazione

116 Si pensi solo alla tematica del rapporto tra risarcimento e indennizzo e ai problemi inerenti alla prescrizione.

acquisitiva non può garantirsi, stando almeno al diritto vivente della Cassazione, il diritto alla restituzione del bene, ciò significa un netto diaframma fra la protezione offerta dalla CtEDU al proprietario illecitamente defraudato e quella garantita a livello interno che aveva marginalizzato il tentativo di considerare ipotesi di minore illegalità quella dell’occupazione acquisitiva rispetto a quella usurpativa, patrocinata espressamente dalla sentenza dei Giudici di Piazza Cavour nella sentenza11096/2004.

Tale prospettiva si radicava con un’altra sentenza degli stessi giudici togati,la n. 3033/2005. Questa pronuncia è la base di partenza per comprendere il salto che successivamente la Cassazione compirà, a distanza di circa tre anni con la sentenza n. 20543/08.

Nella sentenza del 2005, infatti, a fronte di due pronunzie dei giudici di merito che avevano disatteso la domanda correlata all’occupazione acquisitiva di un fondo sotto il profilo dell’intervenuto decorso del termine di prescrizione, la Cassazione era stata chiamata a misurarsi su uno specifico ricorso con il quale i ricorrenti censuravano “la sentenza impugnata per non aver fatto decorrere la prescrizione

dall’entrata in vigore della l. 458/1988, che per la prima volta ha riconosciuto l’occupazione appropriativa, o dalla sentenza 27 dicembre 1991 n. 486 della Corte costituzionale, che ne ha esteso l’ambito di applicazione, dovendosi anche tener conto delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ritenuto contrario al principio di legalità un meccanismo che permetta all’autorità di trarre beneficio da un fatto illecito ad essa ascrivibile, tanto più in base a norme non particolarmente chiare”.

Tale doglianza veniva rigettata osservandosi, in particolare, che “la L. n.

458/1988 ha operato una ricognizione dell’istituto dell’occupazione appropriativa, già applicato nella prassi giurisprudenziale, con riguardo al settore dell’edilizia residenziale.”

Aggiungeva ancora Cass. n. 3033/2005 che l’unico tratto di novità apportato da tale disposizione riguardava l’operatività dell’istituto anche a favore dei concessionari privati - per i quali il termine di prescrizione del risarcimento decorreva dall’entrata in vigore della legge - e non quello dell’acquisizione a favore della mano pubblica, “[…] ipotesi per la quale non vi sono ragioni per derogare al

principio vigente ancor prima dell’emanazione della l. n. 458/1988, della decorrenza della prescrizione dal fatto illecito, o dalla scadenza dell’occupazione legittima”.

Si rilevava, ancora, che nella vicenda concreta - in cui la prescrizione era maturata alla metà degli anni ’80 - non potevano esservi incertezze sulla regolamentazione dell’occupazione appropriativa. E ciò perché “[…] non si può

certo dire, con riferimento alla metà degli anni ’80, in cui è maturata la prescrizione del diritto risarcitorio degli attuali ricorrenti, che il proprietario non potesse avere sentore della perdita del proprio diritto, per effetto del comportamento illecito dell’amministrazione, alla luce dei principi già enunciati da Cass. 1464/1983”.

Era sempre Cass. n. 3033/2005 a fugare i dubbi in ordine al possibile contrasto dell’occupazione acquisitiva con i dicta di Strasburgo, ribadendo le posizioni a suo tempo espresse da Cass. n. 11096/2004.