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Art 42 –bis: le nuove frontiere del Consiglio di Stato (sent 5844/2011).

È dunque venuto il momento di esaminare l’art. 42–bis T.U.E. rispetto al riconoscimento del diritto del proprietario ad un indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale.

Comprendere il significato di tale previsione non è affatto agevole, se solo si considera che il legislatore, per quanto si è andato dicendo, ha qualificato come “indennizzo” il quantum spettante al proprietario attinto dall’atto di acquisizione sanante.

202 Può qui dirsi che le (prime) sentenze gemelle della Corte costituzionale hanno portato a compimento l’opera di unificazione delle interpretazioni alle quali il giudice nazionale è tenuto, già accennata in Corte cost. n. 388/1999, nella quale, pur dichiarandosi che “spetta al legislatore dare ad essa [CEDU] attuazione”, si affermava che le norme della CEDU hanno un ruolo significativo nel processo decisionale della Corte costituzionale tanto da richiedere un certo coordinamento, fino al punto di ritenere che i diritti umani contemplati dalla Costituzione e dalla CEDU, “al di là della coincidenza nei cataloghi di tali diritti, si integrano, completandosi reciprocamente nell’interpretazione”. In tali decisioni, ed in particolare in Corte cost. n. 349/2007, è stato confermato che “il giudice” è tenuto ad interpretare in modo conforme il diritto interno alla Convenzione “[...] Neconsegue che al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme”. Passaggio

ulteriormente ribadito quando la Corte riconosce che “[...] L’applicazione e l’interpretazione del sistema di norme è attribuito beninteso

in prima battuta ai giudici degli Stati membri, cui compete il ruolo di giudici comuni della Convenzione”. L’attribuzione di “giudice

comune della Convenzione” operata in quella sede finisce con rappresentare conferma di quell’impostazione dottrinaria che aveva intravisto nell’art. 117 1ˆcomma Cost. - che costituisce nella visione della Corte costituzionale l’architrave sulla quale poggiare i rapporti fra ordinamento interno e CEDU - la formalizzazione dell’obbligo di interpretazione conforme. L’impossibilità di pervenire a livello interpretativo ad un risultato compatibile con la CEDU apriva le parte al sindacato di costituzionalità. Senza volere enfatizzare il significato della posizione assunta dalla Corte, non può non sottolinearsi l’importanza di tale affermazione. Il giudice delle leggi prende atto del fatto che il tema dei diritti umani non può essere riservato alla legislazione costituzionale e non del nostro Paese, ma richiede, necessariamente un approccio sovranazionale. Fissare la regola dell’interpretazione convenzionalmente orientata si dimostra, quindi, affermazione dotata di particolare rilevanza. Il limite all’interpretazione era dunque rappresentato dal testo della legge interna. Leggendo le prime sentenze gemelle, forte era la tentazione di cogliere nelle pur evidenti aperture del giudice costituzionale un paletto inossidabile che impediva al giudice comune di oltrepassare il feticcio della lettera della legge. A tale aporia ovviava, però, prontamente Corte cost .n. 311/2009, chiarendo che “Nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della Convenzione europea, il

giudice nazionale comune deve, pertanto, procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale, fino a dove ciò sia consentito dal testo delle disposizioni a confronto e avvalendosi di tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica”. Va poi

ricordato come Corte cost. n. 239/2009 abbia rilevato che “in presenza di un apparente contrasto fra disposizioni legislative interne ed

una disposizione della CEDU, anche quale interpretata dalla Corte di Strasburgo, può porsi un dubbio di costituzionalità, ai sensi del primo comma dell’art. 117 Cost., solo se non si possa anzitutto risolvere il problema in via interpretativa”. Ciò in quanto “al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò è permesso dai testi delle norme e qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale “interposta”, egli deve investire questa Corte delle relative questioni di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, primo comma, Cost.”. Sul “giudice dei tre cappelli” rispetto all’opera d’interpretazione del diritto interno

costituzionalmente eurounitariamente e convenzionalmente orientata, diffusamente CONTI R., La Convenzione europea dei diritti

È infatti indiscutibile che nelle intenzioni del legislatore vi fosse la necessità di adeguare il sistema di protezione del proprietario colpito da un’occupazione abusiva ai dicta di Strasburgo che, costantemente e fino alla sentenza GUISO GALLISAY del 2009, avevano professato l’esistenza di un pregiudizio morale in danno del proprietario.

Epperò la qualifica in termini d’indennizzo - utilizzata per qualificare tanto il ristoro del pregiudizio correlato alla perdita della proprietà che per specificare il pregiudizio non patrimoniale - sembra spiazzare le intenzioni stesse del legislatore, apparendo quanto mai strano che l’indennizzo forfetariamente determinato sia stato previsto per l’atto di acquisizione sanante e non per le ipotesi d’illecito non definite attraverso l’adozione di tale atto, rispetto alle quali più si avverte l’esistenza di un turbamento a carico del proprietario illecitamente privato della proprietà o anche solo del godimento dell’immobile.

L’aporia appena evidenziata è stata, peraltro, di recente superata da Cons. Stato 2 novembre 2011 n. 5844 che, occupandosi di un procedimento nel quale si discuteva del risarcimento del danno spettante ai proprietari di un’area irreversibilmente trasformata in costanza del termine di dichiarazione di pubblica utilità, ha affermato che “[…] devono essere valutati “i danni morali” richiesti

dall’appellante sulla base del nuovo art. 42–bis del T.U. Espropriazione n. 327/2001, introdotto dall’art. 34 della cd. “Manovra economica 2011” (D. L. 6 luglio 2011, n. 98), il quale, reintroducendo l’istituto dell’acquisizione sanante, prevede anche che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, anche con riferimento ai fatti antecedenti (comma 8 del predetto art. 42–bis)”.

Secondo il giudice amministrativo ancora, “[...] Il riferimento al danno non

patrimoniale in tale disposizione costituisce disposizione innovativa, che impone la necessità di opportuna considerazione anche in sede di risarcimento del danno per illecita occupazione; danno patrimoniale che il Collegio ritiene di poter equitativamente determinare, ai sensi dell’art. 1226 c.c., in complessivi euro 50.000,00, atteso anche il valore complessivo del risarcimento”.

Nella pronunzia ora ricordata si coglie, in maniera chiara, il tentativo di razionalizzare il contenuto dispositivo dell’art. 42–bis, estendendone la portata

(almeno in punto di danno non patrimoniale) a vicende ulteriori rispetto a quelle ivi disciplinate, in definitiva confermando che proprio da tale disposizione è possibile muovere per una riconsiderazione complessiva del danno non patrimoniale da lesione della proprietà senza che occorra rivolgersi al giudice costituzionale ovvero attendere ulteriori interventi del legislatore.

Ed infatti, in disparte i connotati marcatamente punitivi che assume il riconoscimento del danno non patrimoniale nell’art. 42–bis - se si guarda al raddoppio di tale posta per fatti che trascendono completamente dalla sfera personale del proprietario, attenendo per converso alla tipologia dell’intervento manipolativo alla stregua del comma 5 dell’art. 42–bis che appunto si rivolge alle utilizzazioni aventi finalità di edilizia residenziale pubblica - e, per altro verso, l’assenza di elementi che, all’interno del precetto normativo, consentano di realmente parametrare sul danneggiato il ristoro del pregiudizio eventualmente – ma non obbligatoriamente, come invece ritiene l’art. 42–bis - patito dal proprietario203, rimane forte il convincimento che la riconformazione della proprietà ai canoni di Strasburgo si delinea attraverso passaggi tesi a garantire nicchie di tutela maggiore al proprietario, secondo un virtuoso meccanismo di confronto che consente di fare emergere, all’interno dell’ordinamento e senza che sia necessario battere percorsi accidentati, la migliore tutela possibile in favore del titolare del diritto di proprietà.

Sembra così di poter dire che l’introduzione di un indennizzo per pregiudizio non patrimoniale per le sole ipotesi contemplate dall’art. 42–bis - e non anche per le altre fattispecie di ablazione illecita per le quali, a ben considerare, non si comprende l’esclusione del danno non patrimoniale - non sembra radicarsi su ragioni capaci di resistere ad un vaglio di ragionevolezza, se si considera la genesi dell’art. 42– bis ed i nessi di collegamento che vengono a costituirsi fra condotte lecite ed illecite di apprensione del bene alla mano pubblica (salvo a condividere l’assunto del Consiglio di Stato appena ricordato).

203 In questo penso molto acuta era stata l’intuizione di L

ORO M., Ipotesi di un nuovo articolo 43 basato sull’usucapione, in www.esproprionline.it, 3 novembre 2010, ove l’Autore, nel proporre un’ipotesi di acquisizione coattiva sanante, di natura ricognitoria e non costitutiva del diritto, sembra precorritrice dell’introduzione dell’indennizzo non patrimoniale, peraltro giustamente prevedendo la possibilità di una diversa valutazione equitativa del giudice: “[...] Esso è composto dal valore del bene o del diritto minore al momento

della richiesta risarcitoria che sarebbe stato erogato ai proprietari in caso di esproprio regolare, comprensivo dei benefici per l’accettazione dell’indennità provvisoria, maggiorato del 10% a titolo di ristoro del danno morale, salvo diversa valutazione equitativa del giudice, sommato ad un dodicesimo annuo per il periodo dell’occupazione illegittima, del bene, ferma restando l’obbligazione all’indennità per l’eventuale periodo di occupazione legittima”. Il punto è giustamente sottolineato da ANTONIOL R., L’articolo 42–bis

Né la forfetizzazione del danno sembra tollerabile nel sistema interno che ha, per converso, fondato sul meccanismo della personalizzazione del pregiudizio e su quello della piena allegazione e prova (anche solo presuntiva) del pregiudizio da parte del danneggiato204 le travi portanti del sistema di quantificazione del pregiudizio non patrimoniale.

E del resto, fa veramente pensare che il pregiudizio non patrimoniale valga di più in ragione della natura dell’utilizzazione, se è vero che lo stesso art. 42–bis comma 5 t.u. espropriazione si prende cura di precisare che l’utilizzazione per finalità di edilizia residenziale pubblica implica un danno forfetario doppio a quello previsto per le utilizzazioni di fondi per finalità diverse.

Malgrado le critiche appena espresse, non pare potersi revocare in dubbio che l’introduzione del pregiudizio non patrimoniale da lesione della proprietà per mano del legislatore conferma inequivocabilmente che si sia intrapresa una via destinata a realizzare lo sdoganamento del danno non patrimoniale da lesione della proprietà attraverso un processo che l’art. 42–bis sembra avere soltanto abbozzato in modo peraltro discutibile e che certamente richiederà futuri e più nitidi interventi del legislatore e, soprattutto, dei giudici, come ha già mostrato di saper fare il Consiglio di Stato nella pronunzia da ultimo ricordata.

È peraltro vero che tale posta attiva contribuisce a completare il quantum spettante al proprietario destinatario dell’atto di acquisizione, fornendo ancora una volta una freccia all’arco di chi scommette sulla “bontà” dell’art. 42–bis.