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La proprietà nel diritto comunitario Agli albori della nuova stagione

dell’Istituto proprietario.

L’indagine compiuta fin qui, impone di aprire una finestra sul diritto comunitario, anche solo per verificare in che modo si atteggia rispetto al diritto proprietario la funzione sociale della quale più volte ha parlato la Corte di Giustizia.

Occorre prendere le mosse dall’unico dato giuridico esistente, l’art. 345 TFUE (ex art. 295 Tr. CE), laddove afferma l’intangibilità del regime di proprietà esistente negli Stati membri.

Ad una lettura preliminare dell’articolo de quo sembra che lo stesso lasci totalmente fuori dall’ambito comunitario la tutela del diritto dominicale. Ma così non è, ad eccezione di qualche opinione dissenziente, se si guarda al diritto vivente della Corte di Giustizia che nella sua quotidiana opera di individuazione dei non

scritti principi generali del diritto europeo, vi ha incluso anche il diritto di proprietà.

La Corte di Giustizia ha chiarito inizialmente che nell’ordinamento giuridico comunitario, l’istituto proprietario “è tutelato alla stregua dei principi comuni alle

Costituzioni degli Stati membri recepiti dal protocollo addizionale alla Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo”93

.

È stato inoltre precisato, nel medesimo contesto, che tale diritto come i restanti diritti fondamentali costituisce parte integrante dei principi generali del diritto cui la Corte di Giustizia garantisce l’osservanza e che a tal fine quest’ultima si ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali in materia di tutela dei diritti dell’uomo cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito.

Inoltre, proprio nella sentenza HAUER il giudice comunitario, interpretando l’art. I Prot. 1 alla CEDU, ha riconosciuto in esso l’esistenza di un diritto ad un giusto indennizzo nel caso di espropriazione o privazione della proprietà pur ritenendo che i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti vanno applicati soltanto agli stranieri, in linea con quanto affermato dagli organi giurisdizionali previsti nella CEDU.

Si è quindi, ulteriormente specificato che il Trattato CE riconosce l’intangibilità del regime di proprietà esistente negli Stati membri e che il diritto di proprietà rientra fra i principi generali del diritto comunitario94.

Con questo si vuole dire appunto che ogni autorità nazionale e di conseguenza le Corti interne agli Stati, è tenuta ad applicare il diritto interno in conformità ai principi supremi del diritto comunitario.

La peculiarità che sembra comunque emergere nel riconoscimento del diritto di proprietà a livello europeo è per un verso la matrice non esclusivamente convenzionale di tale diritto. In questo senso il rinvio alla CEDU ed al suo protocollo addizionale non appaiono esaustivi, se appunto si considera l’attenzione che il giudice di Lussemburgo ha riservato anche ai principi comuni alle

93

Corte di Giustizia, 13 dicembre 1979, causa 44/79, HAUER. Per un esame delle pronunce rese dalla Corte di Giustizia su ipotesi di violazione del diritto di proprietà, si veda DANIELE L., La tutela del diritto di proprietà e del diritto al libero esercizio delle attività

economiche nell’ordinamento comunitario e nel sistema della Convenzione Europea di Salvaguardia, in Jus, 1999.

94 Corte Giust. 3 dicembre 1998, causa C-368/96, T

HE QUEEN in www.curia.eu.int; anche Corte Giust. 28 aprile 1998 in C-200/96, METRONOME MUSIK, in Raccolta, 1998.

Costituzioni pur mai direttamente esaminate. Opzione questa che consente alla Corte di Giustizia di sottrarsi ai dicta di Strasburgo e che d’altra parte consente di accentuare il ruolo creativo del giudice di Lussemburgo95.

D’altra parte va sottolineato che il costante richiamo operato dalla Corte di Giustizia, alle limitazioni che l’ordinamento comunitario deve prevedere in vista del perseguimento di altri interessi concorrenti, è esso stesso dimostrazione di quanto la Corte abbia prestato attenzione alle tradizioni costituzionali degli Stati.

In questa prospettiva, nella disciplina contenuta nell’art. I Prot. 1 CEDU, si chiarisce che i diritti fondamentali non risultano essere prerogative assolute ma vanno considerati in relazione alla funzione da essi svolta nella società. Ciò rende possibile operare restrizioni all’esercizio di detti diritti in particolare nell’ambito di un’organizzazione comune dei mercati purchè dette restrizioni rispondano effettivamente a finalità di interesse generale perseguite dalla Comunità e non si risolvano, considerato lo scopo perseguito, in un intervento sproporzionato ed inammissibile che pregiudichi la sostanza stessa di tali diritti96.

95 Bilancia L., I diritti fondamentali come conquiste sovrastatali di civiltà. Il diritto di proprietà nella CEDU, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 3/2003.

96 Tale affermazione si ritrova peraltro nella sentenza Nold/Commissione allorchè si precisa: “i diritti così garantiti lungi dal costituire

prerogative assolute, vanno considerati alla luce della funzione sociale dei beni e delle attività oggetto di tutela”. Ed in modo analogo si

è espresso il Tribunale di I grado nella causa HAUER C.CONSIGLIO E COMMISSIONE, precisando che il diritto di proprietà deve essere considerato: “alla luce della sua funzione sociale” sicchè la Comunità può apportare al diritto stesso restrizioni nell’ambito di una sua organizzazione comune di mercato con il limite che esse rispondano a tali scopi ed obiettivi senza costituire in intervento sproporzionato o inaccettabile. Trib. Un. Eu., 14 luglio 1998, causa T-119/95.

Inoltre, tale sentenza HAUER, aveva ammesso che il diritto di proprietà non costituisce una prerogativa assoluta e può invece, data la sua funzione sociale, essere sensibilmente limitato, fermo restando che tali limitazioni non devono costituire, tenuto conto dello scopo perseguito dall’autorità che le prescrive, un intervento inaccettabile e sproporzionato rispetto ai fini perseguiti nelle prerogative del proprietario, tale da ledere addirittura la sostanza del diritto di proprietà. Ciò ha consentito alla Corte di Giustizia di riconoscere che l’assenza di indennizzo in caso di distruzione o abbattimento dei pesci si inserisce nell’ambito di misure volte al contrasto di malattie contagiose una volta che esse siano individuate all’interno dell’azienda. In tale prospettiva, la possibilità che il focolaio potesse estendersi rapidamente aveva indotto il legislatore comunitario con la Dir. 93/53 a prevedere la distruzione e l’abbattimento immediato di tutti i pesci senza indennizzo. Tali misure, secondo la Corte furono giustificate da un obiettivo d’interesse generale della Comunità ed erano sproporzionate rispetto all’obiettivo perseguito senza così pregiudicare la sostanza stessa del diritto di proprietà. Osservava l’Avvocato Generale Michio, nelle sue conclusioni relative allo stesso procedimento, che “la limitazione del diritto di proprietà subita

da queste imprese consisteva nell’obbligo, da una parte, di interrompere mediante un abbattimento sistematico, l’ingrassamento dei pesci presenti nei loro impianti e, dall’altra, di distruggere quelli che non potevano essere commercializzati a causa del loro stato sanitario o dalle dimensioni insufficienti”.

Questi principi esposti sono stati ribaditi anche a proposito delle limitazioni all’esercizio di attività imprenditoriali imposte a livello comunitario. In una sentenza del 2005 è stato rammentato che i diritti fondamentali, pur facendo parte dei principi generali del diritto comunitario, di cui la Corte di Giustizia garantisce il rispetto, non costituiscono tuttavia prerogative assolute, ma vanno considerati alla luce della loro funzione sociale. Ciò consente l’adozione di restrizioni a tali diritti, purchè esse rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti in questione.

Sul punto può ricordarsi la vicenda che ha visto contrapposti la Comunità Europea ed un imprenditore al quale la risoluzione del Consiglio 2340/90 aveva impedito di proseguire i rapporti commerciali con Iraq e Kwait. L’imprenditore aveva infatti accusato la Comunità di avere posto in essere una condotta equiparabile ad un’espropriazione. Il giudice di prima istanza aveva respinto le domande rilevando che non poteva ritenersi applicabile l’art. I Prot. 1 CEDU non vertendosi in ipotesi di privazione diretta della proprietà, ed in ogni caso riconoscendo l’esistenza di un interesse generale della Comunità alla pace ed alla sicurezza internazionali, che giustificava il sacrificio agli interessi individuali imposto. Indirizzo poi confermato dalla Corte di giustizia in sede di impugnazione. Trib. Un. Eu., 28 aprile 1998, Causa T-184/95; Corte Giust., 15 giugno 2000, causa C-237/98.

Ed ancora, analoghi principi sono stati di recente espressi dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia con la sentenza C-402/05, C- 415/05 YASSIN ABDULLAH KADI E ALTRI C.CONSIGLIO che, chiamata a verificare nuovamente se la misura del congelamento prevista dal regolamento CE, reso in attuazione di risoluzioni ONU, che imponeva il congelamento dei beni a persone ed organizzazioni accusate di far parte di reti terroristiche, ha ritenuto che tale misura cautelare non privando tali persone della loro proprietà ma imponendo una restrizione considerevole al suo esercizio, era proporzionata sussistendo un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati

Non può tuttavia sottacersi che il ricorso alla funzione sociale della proprietà sia risultato, per ciò che riguarda la proprietà in sede di diritto comunitario, strumentale alla salvaguardia delle libertà economiche riconosciute nei Trattati e specificamente connesse agli sviluppi economici del mercato interno.

Al termine di questa riflessione sulla funzione sociale dell’istituto proprietario, appare evidente come si sia così aperta una nuova stagione che, fondata sul riconoscimento della giurisprudenza CtEDU come parametro interpretativo e integrativo dello stesso art. 42 Cost., ha cominciato a produrre, a partire delle sentenze gemelle di cui al precedente paragrafo, frutti più “democratici”.

Orbene, è più che evidente come il più recente formante giurisprudenziale della CtEDU ha consentito un controllo più stringente delle legislazioni dei Paesi aderenti in modo che la garanzia offerta dallo strumento convenzionale ha finito con l’atteggiarsi come superiore rispetto a quella dispensata dal giudice costituzionale e dai giudici nazionali, attribuendo alla tutela proprietaria una specifica valenza di tutela dell’individuo, attraverso una proiezione dinamica che guarda alle utilità economiche attribuite alla persona e che impone tutele risarcitorie delle sofferenze prodotte dalla lesione della proprietà.

In questa prospettiva, la mancata previsione del rinvio espresso alla funzione sociale all’interno della CEDU potrebbe dunque far pensare all’assenza di una prospettiva solidaristica97 che la Convenzione non ha volutamente sviluppato, ad essa non competendo.

Ma è proprio lo sviluppo prodotto dalle decisioni del giudice di Strasburgo nell’ordinamento italiano, nel quale “vige” l’art. 42 comma 2 Cost. ed il riferimento “forte” alla funzione sociale, a dimostrare come tale silenzio non intende certo escludere l’esercizio di un potere conformativo della proprietà da parte degli Stati al fine di garantirne la funzione sociale.

A ben considerare, il sostrato del diritto di proprietà avuto presente dai

conditores del Protocollo n.1 alla CEDU sembra a tratti assai vicino ad una

concezione giusnaturalistica che intravede nella proprietà non un mezzo per raggiungere determinati fini, ma piuttosto un diritto soggettivo “pre–statuale”: una e lo scopo perseguito. Malgrado ciò la Corte ha ritenuto che la misura del congelamento dei bei ledesse in modo ingiustificato il diritto di proprietà come tutelato in sede CEDU.

sorta di diritto naturale innato che costituisce elemento essenziale della dignità umana e che, come tale, rappresenta un valore fondamentale della persona.

Ciò, tuttavia, non significa che la disposizione sovranazionale sia ritornata ad una concezione del diritto dominicale come prerogativa assoluta ed inviolabile che non si concilierebbe, del resto, con l’attuale statuto proprietario previsto dalla Costituzione nazionale. Nè è necessario innalzare la funzione sociale a principio supremo dell’ordine costituzionale per paralizzare gli effetti della giurisprudenza di Strasburgo.

Ma vuol dire che tali limitazioni, determinabili dai singoli ordinamenti secondo un margine di discrezionalità anche ampio, non possono dirsi immuni da un controllo di razionalità e proporzionalità che la CEDU impone sia al giudice di Strasburgo che a quello nazionale, chiamato a dare attuazione diretta a quei diritti ivi tutelati.

In questo senso il principio, più volte affermato dalla Cassazione, secondo il quale il legislatore interno può limitare, nell’esercizio della discrezionalità che gli compete, il diritto di proprietà previsto dall’art. 42 Cost. per assicurarne la funzione sociale, trova un necessario correttivo proprio nella parte in cui si postula l’assoluta libertà del legislatore di perseguire fini ed interessi generali.

In tale prospettiva, il contenuto non perfettamente circoscritto della funzione sociale contenuto nella Costituzione italiana trova probabilmente un suo limite esterno nella norma sovranazionale. Se dunque deve ammettersi una piena osmosi del diritto fondamentale con gli interessi pubblici concorrenti previsti dall’ordinamento nazionale, dovrebbe parimenti riconoscersi un sindacato del giudice di Strasburgo e con esso del giudice nazionale sulla congruità di tali interessi, sulle modalità con le quali l’ordinamento interno li persegue e sul rispetto dei canoni previsti dall’art. I Prot. n. 1 alla CEDU.

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APITOLO

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IURISPRUDENZA DELLE

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IURISDIZIONI

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UPERIORI SULL

OCCUPAZIONE ACQUISITIVA

Sommario: 1. Le sentenze CARBONARA VENTURA E BELVEDERE ALBERGHIERA; 1.1. Sezioni Unite e CtEDU, il contrasto sull’occupazione acquisitiva – alla ricerca di un’interpretazione conforme (brevi cenni); 2. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2/2005 sull’occupazione acquisitiva e il riallineamento tra Cassazione e CtEDU; 3. L’interpretazione della Cassazione conforme alla giurisprudenza CtEDU sulla prescrizione – la sentenza 20543/2008; 4. Il rischio di ulteriori condanne per l’Italia.