• Non ci sono risultati.

Questa tensione, quando si riferisce alla sola mente, si chiama volontà; ma quando si riferisce simultaneamente alla mente e al corpo, si chiama voglia, che non è dunque altro se non l’essenza stessa dell’uomo, dalla cui natura necessariamente derivano quelle cose che servono alla sua conservazione; (...) il desiderio è voglia con la consapevolezza di essa stessa. Risulta dunque da tutto ciò che a nulla noi tendiamo, nulla vogliamo, appetiamo, desideriamo, per il fatto che lo giudichiamo esser bene; ma al contrario, che noi giudichiamo esser bene qualcosa perchè vi tendiamo, lo vogliamo, appetiamo e desideriamo.

Et III prop IX

Spinoza ricava tre affetti primitivi: il desiderio, la gioia e la tristezza.

La voglia è il ​conatus​ rapportato alla mente e al corpo, costituisce l’essenza umana, ovvero la spinta alla conservazione di sé. La voglia incontra nell’essere umano la consapevolezza di sé stessa, così diviene desiderio. Quest’ultimo definisce l’essenza dell’uomo, sancita dall’auto-affermazione, difatti il desiderio incarna la forza

individuata come l’esistenza attuale dell’individuo.

Per ​gioia​ dunque intenderò da ora in poi una ​ passione per la quale la mente passa ad una

maggiore perfezione​. Per​ tristezza​ intenderò invece una​ passione per la quale la mente passa ad una

minore perfezione​. Et III prop XI

L’organismo umano è capace di sostenere le variazioni passive indotte dagli eventi esterni, quando queste si verificano c’è uno scarto tra lo stato iniziale dell’organismo e quello finale. La gioia e la tristezza sono due dei tre affetti primitivi individuati da Spinoza.

Si prova gioia quando il desiderio individuale viene appagato. Tale passione comporta l’aumento della potenza d’agire, la quale aumenta l’essenza umana, ciò comporta una diminuzione della potenza che le cose esterne esercitano sull’individuo. La tristezza, al contrario, si accompagna ad una diminuzione di potenza dell’essere umano.

Da questa distinzione si evince che le cose percepite vengono sottoposte a questo parametro ambivalente, in base a tali parametri l’uomo le giudica buone o malvagie; mentre in natura le cose non rispondono a tali categorie. Bene e male sono solo modi del pensiero e non hanno alcuna corrispondenza con l’esterno, ma sono vitali per l’uomo.

La mente, per quanto può, tende a immaginare le cose che accrescono o favoriscono la potenza d’agire del corpo.

Et III prop XII

L’essere umano tende ad immaginare ciò che aumenta la propria potenza. E’ bene che l’uomo ricordi che la nozione di perfezione è relativa e temporanea, ovvero l’uomo non deve lasciarsi trascinare dalla forza d’inerzia che spesso traina il ​conatus​: non si può dimenticare che quest’ultimo tende a conservarsi nel proprio stato. Spinoza ha così costruito le premesse per avventurarsi nel mondo relazionale.

Ossia, l’amore non è altro che gioia accompagnata dall’idea di una causa esterna, e l’odio non è altro che tristezza accompagnata dall’idea di una causa esterna.

Et III prop XIII scolio

Amore si muove dalla gioia, attribuita alla presenza di una cosa esterna: è

relazionale. L’amore dà potenza, per questo dal momento che si ama qualcosa, si tende a far sì che il sentimento venga ricambiato; oltretutto più è forte l’amore con cui si è ricambiati, più aumenta l’amore verso sé stessi, di conseguenza per il principio di imitazione la propria potenza. Così pure se si riceve amore senza alcun motivo, tale sentimento sarà ricambiato, dato che ogni qual volta si prova amore verso qualcosa, le si procura gioia. Riassumendo, con l’amore si tende a fare del bene, un bene che ricade su sé stessi.

Dato che anche questo sentimento muove dall’egoismo, nel momento in cui la cosa amata si unisce ad altro, si provano odio e invidia, la cosiddetta gelosia, che è

un’oscillazione dell’animo dall’amore all’odio. Allo stesso tempo, la gioia che procura la distruzione di ciò che si ha in odio, è accompagnata da una qualche tristezza, difatti non si potrà mai distruggere il suo ricordo, che procurerà sempre tristezza.

Al contrario dell’amore, l’odio è la tristezza attribuita alla presenza di una cosa esterna, così chi ha in odio qualcosa tenderà ad infliggergli del male. Inoltre, se

qualcuno ci ha in odio, pur senza motivo, lo odieremo a nostra volta, perché si è colpiti da una tristezza accompagnata dall’idea di chi o cosa ci odia.

E’ necessario sottolineare che un moto dell’animo può essere combattuto, sconfitto, allontanato esclusivamente da un moto dell’animo più forte. Così l’odio si accresce con l’odio reciproco, ma può essere sconfitto dall’amore. Ciò accade perché quest’ultima passione ha la capacità di potenziare l’individuo più dell’odio, poiché procura gioia: in questo caso la gioia dell’amore è unita alla gioia della sconfitta della tristezza, correlata all’odio. Quest’ultimo meccanismo non può essere cercato consciamente, ovvero non si può pensare di aver in odio qualcuno per poi poter essere inondato da una gioia

maggiore, data dall’amore.

Capire che un soggetto non può essere totalmente la causa della gioia o tristezza, poiché immerso in un sistema, aiuta a ridurre l’odio e l’amore che si prova verso di esso: non esistono soggetti liberi, ovvero sciolti dalla catena delle cause, da ciò si evince che nessun uomo è totalmente responsabile delle proprie azioni. E’ il determinismo a governare la Natura spinoziana: con le dovute distinzioni, sia Dio, sia le singole cose rispondono necessariamente ai decreti divini. Di conseguenza l’amore e l’odio verso una cosa che si crede libera, sono maggiori di quelli provati verso una cosa necessaria. Poi, dal momento che gli uomini si ritengono liberi, questi provano odio e amore più verso i propri simili, che verso tutto il resto.

3