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Si è prima accennato alla profonda differenza che vige fra l’approccio alla filosofia politica adottato da Spinoza e quello usato da Hobbes. Si è già notato che il filosofo olandese edifica la propria dottrina su una base metafisica, considerando la politica una sua naturale prosecuzione: questa deriva deduttivamente dalla I proposizione dell’​Etica​, ovvero dall’esistenza di Dio. Le numerosi citazioni dell’​Etica​ e del ​Trattato

Teologico-politico​ che Spinoza inserisce nel ​Trattato politico​ ne sono una controprova.

Nel nostro ​Trattato teologico-politico​ abbiamo parlato del diritto naturale e civile, e nella nostra ​Etica ​abbiamo spiegato che cosa siano la trasgressione, il merito, la giustizia, l’ingiustizia e infine la libertà umana. Ma per evitare che i lettori di questo trattato debbano ricercare altrove le principali nozioni su cui esso si fonda, voglio qui di nuovo esporle e darne una spiegazione dimostrativa.

TP 2,1

Spinoza si mostra consapevole delle difformità che esistono fra la filosofia pura di cui tratta l’​Etica​, le dissertazioni che espone nel ​Trattato Teologico-politico​ e la scienza politica. Sebbene quest’ultima risulti una scienza essenzialmente pratica, poiché si fonda e s’accresce tramite l’esperienza, questa non può prescindere dalle teorie esposte nelle due opere precedenti, dal momento che tutto è parte della Sostanza. Il filosofo olandese precisa due cose all’inizio del ​Trattato politico​: la prima è una presa di distanza da quei filosofi che scelgono di trattare della scienza politica, poiché cadono nella tentazione di adeguare la natura degli uomini alle proprie teorie politiche, mentre

dovrebbero agire all’inverso; la seconda cosa riguarda la rivendicazione, da parte dello stesso Spinoza, del proprio status di filosofo.

Nel rivolgere, dunque, la mia attenzione alla politica, non mi sono proposto di scoprire soluzioni nuove e inaudite, ma soltanto di dimostrare con ragionamento certo ed esente da dubbio quelle che meglio si accordano con la pratica, o di dedurle dalla stessa condizione della natura umana; e per studiare quanto attiene a questa scienza con la stessa libertà d’animo che ci è solita negli studi matematici, mi sono fatto regola scrupolosa di non irridere né compiangere né deprecare le azioni umane, ma di comprenderle: e dunque ho considerato gli affetti umani, come l’amore, l’odio, l’ira, l’invidia, la presunzione, la compassione e tutti gli altri moti dell’animo non come vizi della natura umana, ma come proprietà che le appartengono così come alla natura dell’aria appartengono il caldo, il freddo, la tempesta, il tuono e altre cose simili.

TP 1,4

In questa corposa citazione, Spinoza annuncia l’intento di costruire un ponte che unisca le verità scovate dalla ragione con la pratica politica, la quale si fonda sull’esperienza. Il filosofo olandese decide di applicare le regole matematiche, ovvero i parametri utilizzati da Euclide, anche nella disciplina politica: difatti solo questi consentono alla ragione di conoscere le connessioni che vigono nella Natura. D’altra parte, Spinoza è consapevole che l’essere umano è in gran parte influenzato dagli affetti, oltreché nella maggioranza degli uomini il potere della ragione è scavalcato dall’irruenza delle passioni.

Queste motivazioni spingono Spinoza a scrivere di politica lasciandosi alle spalle l’illusione di poter vedere gli amministratori gestire gli affari pubblici con

razionalità, poiché questa pretesa lo farebbe ricadere nell’errore di considerare l’uomo non per com’è, ma per come si vorrebbe che fosse. Dunque l’obiettivo del filosofo olandese è differente: concerne l’elaborazione di un sistema politico,

organizzato in modo tale da scongiurare il pericolo di indurre i politici a governare in modo disonesto, o assumendo comportamenti infimi. In altre parole, Spinoza non ha la pretesa di poter stabilire lo spirito d’animo con il quale i politici devono

l’organizzazione statale sia organizzata in maniera tale da incoraggiare i politici a garantire la virtù pubblica, ovvero la garanzia della sicurezza dello Stato.

Se Spinoza cuce un filo rosso capace di unire la metafisica alla filosofia politica, un discorso differente deve esser fatto per Thomas Hobbes, il quale si muove a partire da una critica alla teologia tradizionale, basata sulla convinzione che Dio sia inaccessibile all’intelletto umano.

L’attitudine di Thomas Hobbes può essere definita ​prescientifica​, una posizione di certo influenzata dagli sconvolgimenti, storici e teorici, che il filosofo ha vissuto in prima persona: la teologia e la tradizione classica erano ormai al tramonto, mentre la scienza moderna era ancora in via di definizione. La testimonianza di ciò si può ritrovare nella prefazione del ​De Cive​, l’opera politica inserita negli ​Elementi di filosofia​ e concepita come l’ultima delle tre parti che la costituiscono. E’ lo stesso Hobbes a spiegare la contingenza storica che l’Inghilterra stava attraversando, e ad informare il lettore che ciò ha reso la scrittura dell’opera politica più celere rispetto a quella del ​De Homine​ e del​ De Corpore​. Si ricorda che il filosofo era apertamente filomonarchico e, nel momento in cui egli scrive il ​De Cive​, in Inghilterra stava predominando la rivoluzione sociale e politica di Cromwell, di stampo repubblicano.

E per questo è avvenuto che la parte che nell’ordine era l’ultima, sia comparsa per prima nel tempo; tanto più che non mi sembrava non potesse fare a meno delle parti precedenti, fondandosi su principi propri, noti per esperienza.

De Cive pag. 74

Le parole di Hobbes sembrano confermare la teoria che Leo Strauss ha elaborato a proposito delle radici della sua filosofia. Il prestigioso storico della filosofia, nonché attento studioso di Hobbes e Spinoza, sostiene che la teoria politica del filosofo inglese non nasce dalla metafisica, bensì dall’osservazione dell’essere umano. Tale teoria afferma che il metodo utilizzato da Hobbes consiste nello studio del

comportamente degli altri altri esseri umani, mescolato con un preciso esame ed una profonda conoscenza di sé stesso. D’altra parte non si nega l’influenza esercitata dal

metodo galileiano, poiché Hobbes fu il primo ad applicarlo alla politica. Leo Strauss sostiene che, seppure la stessa teoria politica di Hobbes sia stata costruita grazie all’applicazione di un metodo risolutivo-compositivo, questa non sia fondata su tale metodo, bensì sullo studio diretto della natura umana.

Lo stesso Hobbes constata una peculiare difficoltà nell’approccio al suo oggetto di studio. Difatti la disciplina politica dimostra la sua complessità, poiché è uno studio dell’uomo sull’uomo: questo non è altro che un organismo carnale attraversato e sconvolto da passioni continue e costanti; in altre parole, la conoscenza è oscurata dagli affetti provati da colui che studia mentre, allo stesso tempo, sono celati da chi è l’oggetto di studio.

Rilevante, ai fini di questo lavoro, è osservare proprio la scelta di Hobbes di pubblicare l’opera politica prima di quelle riguardanti le scienze naturali: è una chiara dimostrazione dell’indipendenza dell’una sulle altre; mentre ciò che accomuna queste discipline è il metodo utilizzato.

Quanto al metodo , ho ritenuto che l’ordine dell’esposizione, per quanto chiaro, non sia da solo sufficiente, ma che si debba iniziare dalla materia dello Stato, quindi procedere alla sua

generazione e forma. e alla prima origine della giustizia. Infatti ogni oggetto viene conosciuto nel modo migliore a partire dalle cose che lo costituiscono. Come in un orologio o in un’altra macchina un poco complessa non si può sapere quale sia la funzione di ogni parte e di ogni ruota, se non lo si scompone, e si esaminano separatamente la materia, la figura, il moto delle parti, così nell’indagine sul diritto dello Stato e sui doveri dei cittadini si deve, se non certo scomporre lo Stato, considerarlo come scomposto, per intendere correttamente quale sia la natura umana, in quali cose sia adatta o inadatta a costituire lo Stato, e come debbano accordarsi gli uomini che intendono riunirsi.

De Cive pag. 71

Si noti che Hobbes elabora la propria teoria politica partendo dalla conoscenza della natura umana, egli scrive prendendo le mosse dall’autocoscienza e dall’esame di sé stesso, esamina il mondo attraverso l’occhio umano, poiché non è interessato ad altri punti di vista. Come è stato esposto poc’anzi, radicalmente diversa è la

posizione di Spinoza: quest’ultimo puntualizza che vige un diritto di natura capace di governare ciascun organismo e ogni ente. Secondo il parere del filosofo olandese tutto poggia su una teoria generale e metafisica che può essere ricavata dalla scienza naturale: in qualche modo il punto di vista umano umano si perde nell’immensità della natura.

Leo Strauss sostiene che è proprio questa radicale differenza, data dal diverso punto di vista assunto dai due, a rendere la filosofia politica di Thomas Hobbes più funzionale in confronto a quella di Spinoza: probabilmente questa è la ragione che ha reso il pensiero del filosofo inglese capace, più di ogni altro, di stravolgere e

determinare le regole della disciplina politica. Solo grazie ad un eccesso di audacia si potrebbe obiettare a questa considerazione di Leo Strauss, poiché la Storia è dalla sua parte. D’altra parte è meno rischioso ipotizzare che l’antropocentrismo, o l’egoismo della specie umana, che ha caratterizzato gli ultimi secoli, sia stato altrettanto eccessivo: questo punto rimette in gioco Spinoza. La catastrofe naturale che sta per abbattersi sulla specie umana e sul nostro pianeta è, principalmente, il frutto di questa posizione. E’ ammissibile considerare come parte dell’andamento della natura, l’estinzione di alcune specie animali, ma danneggiare il pianeta al punto da mettere in pericolo la sopravvivenza della propria specie, è pura follia.

Un tale risultato è stato ottenuto grazie ad atteggiamenti che non hanno nulla a che vedere con la razionalità, ma solamente con il tornaconto privato. Il cambiamento climatico è un tema complesso, che non è possibile liquidare in così poche righe. Ciò che si intende evidenziare, è la capacità della filosofia spinoziana di oltrepassare il punto di vista umano, per inserirlo in una più vasta visione d’insieme: nel far questo non lo annulla e non lo trascura. La filosofia spinoziana ha la capacità di aprire lo sguardo umano, al punto da rendere gli individui consapevoli di non essere al centro della natura: in altre parole, rompe l’antropocentrismo. E’ noto che a questo

problema non v’è altra altra soluzione che la ricerca dell’armonia con l’ambiente circostante, d’altronde solo quest’ultimo rende possibile la vita sul pianeta.

Concludendo, si potrebbe controbattere a Leo Strauss che la partita che si gioca fra le due posizioni politiche non è ancora finita.