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Nel precedente capitolo dedicato a Spinoza si è trattato dell’uomo nello stato di natura: una condizione di guerra perenne in cui ogni cosa tende a far prevalere il proprio conatus​, in cui dunque si sperimenta il costante timore della morte. A questo punto il filosofo olandese ha affermato che la potenza del singolo uomo può essere rafforzata dall’alleanza con un altro essere umano, a condizione che entrambi agiscano guidati dalla ragione. Si è spiegato che l’immaginazione chiude l’uomo in un microcosmo, ovvero in un mondo costruito dalla sua personale sensibilità: passioni incomunicabili lo isolano dai suoi simili. Ciò che riconcilia l’individuo con il cosmo al di fuori di sé è la ragione, questa lo rende curioso e desideroso di conoscere: gli affetti razionali lo

spingono verso il vero utile, quest’ultimo contempla anche l’alleanza con un altro essere umano.

La questione che subentra a questo punto del ragionamento riguarda la natura degli uomini. Nel XVI capitolo del ​Trattato teologico-politico​ è scritto chiaramente che

(...) tutti nascono ignari di tutto (...). TTP cap XVI

Spinoza riconosce un’uguaglianza naturale fra gli uomini: se qualcuno utilizza la ragione in maniera più efficace di altri, questo vantaggio è semplicemente frutto dell’esercizio e dell’educazione. Non c’è una discriminazione alla nascita fra chi sa usare la ragione e chi preferisce la guida delle passioni; questo rende ogni cittadino esposto al cambiamento, di conseguenza viene meno l’esigenza di costruire una società di eletti o di saggi, perché non esistono uomini speciali. Esistono uomini virtuosi e meno virtuosi, ma i fattori esterni potrebbero cambiare le carte in tavola in qualunque momento.

Ma questa guerra è per sua natura perpetua, perché non può concludersi con nessuna vittoria, a causa dell’uguaglianza dei contendenti: infatti, anche sui vincitori incombe sempre il pericolo, e si deve considerare un miracolo se qualcuno, per quanto forte, muore di vecchiaia.

De Cive pag. 87

Lo stesso Hobbes dà una grande importanza all’uguaglianza degli uomini nello stato di natura: la differenza di ​status​ sociale nasce con l’entrata nella società civile. E’ proprio la parità naturale cui si trovano nello stato di natura, data dall'uguale capacità di uccidere, a rendere ogni uomo una minaccia. Difatti è proprio l’uguaglianza naturale, con l’incentivo delle precarie condizioni di vita, ad innescare la situazione di guerra in cui l’uomo si trova nello stato di natura. Per questo motivo gli unici strumenti per creare una società civile sono o l’alleanza o la forza, ovvero il riconoscimento di una

supremazia.

Nella filosofia di Spinoza ogni essere umano, perfino il più saggio fra gli uomini, è esposto all’influenza dei corpi esterni. Di conseguenza non è sufficiente che un uomo abbia la padronanza dei propri affetti, o la conoscenza del mondo, per considerarsi esente dall’influenza delle passioni. L’uomo resta uomo e la stabilità da questo raggiunta non può mai esser considerata definitiva: il mondo esterno potrebbe in ogni

momento colpirlo in modo tanto potente da risvegliare la sua immaginazione, fino al punto da farle riprendere il sopravvento. In altre parole, nessuna stabilità può essere considerata definitiva, dal momento che l’essere umano è per definizione una cosa finita.

Di rado accade, tuttavia, che gli uomini vivano guidati dalla ragione; ma la loro condizione è tale per cui siano nella maggior parte dei casi invidiosi e reciprocamente ostili. Ciononostante possono a malapena sopportare una vita solitaria, tanto che ai più piace la definizione dell’uomo come animale sociale.

Et IV prop 35

Occorre puntualizzare che la maggior parte degli esseri umani è trascinata dalle passioni. A tal proposito Spinoza afferma che, nonostante gli affetti tendano a porre gli uomini gli uni con gli altri a causa dell’invidia o dell’ostilità, l’uomo non ama la vita solitaria. Si evidenzia come fra le righe sopra citate ci sia un rimando ad Aristotele. E’ bene sottolineare che l’uomo dotato di ragione cerca l’alleanza con un altro essere umano tramite una scelta consapevole, la quale è dettata dalla conoscenza del vero utile. Al contrario quando Spinoza parla dell’uomo passionale cita Aristotele e la definizione di ​animale sociale : in questo caso l’intento del filosofo olandese è quello di 31

sottolineare la componente istintiva che concerne la ricerca di alleati, da parte dell’essere umano.

Hobbes assume una posizione molto diversa per quanto riguarda la massima

aristotelica: il filosofo inglese riconosce che gli uomini traggono vantaggio dalla vita in società, ma la convivenza con i propri simili non nasce da un istinto naturale che li avvicina agli altri con gratuità e benevolenza. Secondo Hobbes gli uomini per natura si temono, poiché riconoscono nell’altro un potenziale nemico che minaccia la propria sopravvivenza. E’ solo l’educazione a plasmare la natura umana, ad acquietare le passioni, in maniera tale da rendere gli uomini adatti alla condizione civile. D’altro canto il fine dell’educazione è quello di alimentare la ragione, proprio quella facoltà autrice di quel precetto che spinge l’uomo a ricercare la pace con ogni mezzo. E’ chiaro che la prima forma di educazione è la legge civile, poiché questa prescrive le regole

della convivenza, obbligando ogni suddito ad acquietare i propri impulsi. In questo modo l’uomo diventa socievole.

I satirici deridano pure quanto vogliono le faccende umane, le deplorino i teologi, e facciano i melanconici tutti gli elogi della vita primitiva e rustica, disprezzino gli uomini e ammirino le bestie; gli uomini sperimenteranno comunque di potersi procurare molto più facilmente con l’aiuto reciproco le cose di cui hanno bisogno, e di non poter sfuggire ai pericoli da ogni parte incombenti senza l’unione delle forze; per non dire quanto più valga e quanto più sia degno della nostra conoscenza l’occuparci dei fatti degli uomini piuttosto che di quelli delle bestie.

Et IV prop 35 scolio

In questo passo Spinoza inveisce contro coloro che propagandano una vita

antisociale, ovvero quelle posizioni che di fondo celano un disprezzo dell’uomo, oltre che del mondo. In qualche modo tali posizioni avvicinano chi li professa al desiderio della morte. I satirici, come Burton , si prendono gioco delle debolezze e delle passioni 32

degli uomini, in altre parole li considerano degli stolti. Si cela nel pensiero satirico un giudizio che un uomo fa ricadere sul suo prossimo, ma è una tipologia di giudizio che sminuisce l’altro. Nei satirici non v’è nessun intento di emancipazione: una derisione tanto sterile delle debolezze umane non lascia spazio ad alcuna redenzione dell’oggetto della critica. Tale atteggiamento ostacola una possibile emancipazione dell’uomo, mentre questa sarebbe molto utile alla costruzione dello stato civile.

In precedenza è già stata analizzato il rapporto con i teologi, per questo è la volta di approfondire i melanconici. Questi ultimi sono componenti di una corrente che professa una vita bucolica e solitaria. La quale può essere riassunta nella contemplazione di un paesaggio, il quale contiene in sé un retrogusto mortale: l’appagamento solo

momentaneo del desiderio è dato dalla contemplazione di cose finite e cangianti, per questo motivo esso lascia un retrogusto amaro nel melanconico che ne gode. Il riferimento di Spinoza ai melanconici è supportato dal possesso, da parte del filosofo olandese del ​De vita solitaria​ di Francesco Petrarca, oltre che del ​Et de Arcadia ego . 33

Nel passo precedente Spinoza difende strenuamente e senza batter ciglio l’essere umano. Infatti, dopo aver spiegato l’importanza dell’incremento della potenza della ragione, egli ammette che qualunque uomo, qualunque sia la sua costituzione, può

rivelarsi utile a qualunque altro essere umano. Da questo si evince che l’obiettivo del filosofo olandese non è più difendere la ragione, ma l’alleanza.

Quanto si è ora mostrato lo conferma l’esperienza di tutti i giorni, con tante e così illuminanti testimonianze, da far quasi dire a tutti che l’uomo è Dio per l’uomo. Di rado accade, tuttavia, che gli uomini vivano guidati dalla ragione; ma la loro condizione è tale per cui sono nella maggior parte dei casi invidiosi e reciprocamente ostili.

Et IV pt XXXV prop scolio

L’espressione ​homo homini deus è una criptocitazione, scelta da Spinoza per 34

ribadire che il modo più efficace che l’uomo ha per potenziare il proprio ​conatus​, è l’alleanza o l’unione con i propri simili.

Il riferimento del filosofo olandese è Erasmo da Rotterdam, autore degli ​Adagia​. Secondo alcune ricerche quest’ultimo non è stato il primo a coniare tale espressione , probabilmente questa è stata ripresa e trascritta, da Erasmo, ispirandosi ad alcuni antichi paremiografi . Nel passo I 1,69 degli35 ​ Adagia​ Erasmo si sofferma lungamente sulla

spiegazione di quest’espressione, che scopriamo esser seguita da un’altra celebre sentenza: ​homo homini lupus . Le due frasi sembrano completarsi a vicenda: l’una 36

sostiene che qualora l’uomo scelga di agire bene, il potere della sua azione è tale da influire in maniera determinante nella vita altrui; mentre, qualora egli scegliesse di commettere atti malvagi, la sua azione sarebbe tanto potente da risultare un grande pericolo per gli altri uomini. Questi due aspetti non si escludono in Erasmo.

E’ noto che Spinoza si limita a citare la prima parte della sentenza, infatti il suo intento è quello di dare enfasi all’aspetto socievole della natura umana. Ciò non annulla quanto fin qui detto, poiché subito dopo il filosofo olandese afferma che gli uomini sono invidiosi e ostili gli uni gli altri: il motivo di questa discordanza fra i due passi è data dalla differenza di obiettivi che Spinoza si è posto. In questo caso il filosofo olandese intende sottolineare che l’uomo ha una natura socievole, nonostante gli affetti rendano complicata la sua convivenza con i propri simili: ricordiamo che nell’Appendice alla I parte dell’​Etica​ Spinoza aveva dichiarato che in natura le cose non si possono

34 Erasmo, ​Adagia​, Salerno Editrice, Roma, 2002, I 1,69.

35​Cf. Zenob. vulg. 1,91, Diogenian. 1,8, Diogenian. Vind. 1,96, Greg. Cypr. L. 1,50, Apo-stol. 3,10,

distinguere sin buone o cattive, ma sono indifferenti. Riassumendo, si può affermare che Spinoza non intende santificare l’essere umano o celarne le contraddizioni, bensì lui vuole mostrare come gli uomini tendano naturalmente alla socialità, nonostante questi siano spesso preda degli egoismi personali o siano addirittura spinti all’azione da questi egoismi. Si ricorda, inoltre, che nello stato di natura, fra gli uomini vige una guerra perenne, quindi questi percepiscono una costante minaccia di morte, che deriva dai propri simili.

Così nessuno accetta di buon grado la solitudine: l’uomo è il più grande vantaggio per l’uomo qualora questo viva secondo ragione, poiché in questo caso c’è un

rafforzamento del ​conatus​; mentre, se l’uomo vivesse sotto la spinta delle passioni, egli sarebbe comunque in grado di scorgere, forse per istinto, i vantaggi della vita civile su quella naturale. Questa convinzione di Spinoza poggia sull’assunto che fra due mali l’uomo scelga il minore.

Certamente, si afferma con verità sia che ​l’uomo è per l’uomo un dio​, sia che ​l’uomo è per

l’uomo un lupo​. De Cive pag. 64

Hobbes cita Erasmo da Rotterdam nella lettera al conte del Devonshire: quest’ultimo era un nobile inglese e sostenitore della monarchia, del quale il filosofo fu a lungo precettore. L’epistola, cui qui si fa riferimento, è stata successivamente adottata come prefazione al ​De Cive​.

L’espressione ​homo homini lupus​ è formulata per la prima volta da Erasmo, probabilmente influenzato dall’espressione ​lupus est homo homini​, scritta da Plauto negli Asinaria. Una lunga tradizione esegetica ha focalizzato la propria attenzione sul significato di questa frase: quasi in maniera unanime si sostiene che la parola ​lupus​ stia ad indicare lo straniero; quest’ultimo non è altro che un uomo di cui è bene diffidare, poichè estraneo alle leggi, alle usanze ed ai valori della propria comunità di

appartenenza.

E’ opportuno segnalare che un’espressione simile è stata utilizzata anche da Francis Bacon negli ​Instauratio Magna , ove questa è stata scelta per segnalare la pericolosità 37

di un sistema giudiziario corrotto. Si presume che, nonostante lo stretto rapporto che legava Hobbes e Bacon, del quale l’autore del ​Leviatano​ fu segretario, probabilmente non fu lui la fonte principale da cui ha estrapolato il motto. Si scopre infatti che gli Adagia​ di Erasmo nell’Inghilterra del XVI e XVII secolo ebbero una grande fortuna, tanto che le espressioni da lui elaborate si diffusero in maniera capillare nella cultura britannica del tempo . 38