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Spinoza nell’​Appendice ​alla prima parte dell’​Etica​ individua la genesi della superstizione religiosa nel pregiudizio finalistico. Si potrà via via notare come

quest’ultimo sia una struttura universale insita nell’essere umano, ma trova la propria attualizzazione nelle istituzioni teologiche e politiche. Il filosofo olandese coglie, così, l’occasione per confrontarsi con la teologia cristiana e pagana, al fine di contrapporre la propria idea di Dio e della religione alla visione superstiziosa della divinità.

E siccome tutti i pregiudizi che qui mi accingo a denunciare dipendono unicamente dal fatto che gli uomini comunemente suppongono che tutte le cose naturali agiscano, come loro, in vista di un fine, e anzi tengono per certo che Dio stesso diriga tutte le cose verso un certo fine, dicono che Dio avrebbe fatto tutte le cose per l’uomo, e l’uomo a sua volta perché rendesse culto a lui.

Et App I

L’obiettivo polemico di questo passo è il pregiudizio finalistico di matrice teologica: il filosofo olandese qui tralascia la critica al finalismo umano, al quale dedica la ​Prefazione​ alla IV parte dell’​Etica​. E’ bene specificare che il primo è generato dal secondo, per questo motivo è necessario capire brevemente in cosa consista il finalismo umano.

La maggior parte degli esseri umani si serve della conoscenza immaginativa per comprendere e conoscere le cose. Questa procura un sapere limitato e parziale, poiché l’immaginazione è composta da idee confuse e manchevoli: questa non permette di cogliere la vera causa degli eventi, che può essere ricostruita soltanto attraverso la conoscenza razionale. L’essere umano non si limita ad utilizzare l’immaginazione per conoscere le cose esterne: l’individuo usufruisce dello stesso metodo per comprendere le proprie azioni. In altre parole, egli non è conscio delle cause che lo spingono

all’azione, per questo motivo egli crede che le sue decisioni siano il frutto di una libera scelta, consapevolmente adottata per raggiungere un fine.

L’essere umano percepisce di essere orientato all’azione dal proprio desiderio individuale e di agire in vista di un obiettivo, il quale coincide con il proprio utile. Si potrebbe dire, altrimenti, che l’uomo è convinto di esser mosso dalle cause finali, non dalle cause efficienti. D’altro canto, egli è determinato dal proprio ​conatus​, ciò lo rende consapevole soltanto delle proprie volizioni, le quali lo spingono ad agire in vista del fine che lui stesso desidera ottenere. Guidato da questa prospettiva, l’uomo prova interesse a conoscere soltanto le cause finali. In altre parole, il ​conatus​ è orientato ad assumere una visione finalistica del mondo, poiché esso è costitutivamente orientato alla soddisfazione del proprio desiderio: ciò che il ​conatus​ tralascia sono le miriadi di cause che lo determinano alla volizione. Da quanto detto, si evince che l’uomo percepisce come anteriore ciò che è posteriore: questo errore è frutto di una conoscenza inadeguata. Una tale ignoranza consente all’uomo di pensarsi libero di agire in vista di un fine e

autonomo nel desiderare: egli ignora le cause che lo determinano all’azione e al desiderio. Se gli esseri umani avessero un’adeguata conoscenza delle cause efficienti, essi non potrebbero pensare di agire sospinti del libero arbitrio.

Gli uomini, una volta giunti a queste conclusioni, proiettano sul mondo il medesimo processo: il risultato è la creazione di una lettura antropocentrica degli eventi. Così le azioni e i decreti di Dio risultano anch’essi mossi da una causa finale: il bene, ovvero l’utile della specie umana.

Spinoza è di tutt’altro avviso, egli si scaglia contro la convinzione che Dio agisca in vista di un fine, poiché egli ritiene che questa facoltà non possa appartenere al divino. Il filosofo olandese ritiene che questo equivarrebbe a considerare imperfetto ciò che è perfettissimo: Dio non può agire in vista di uno scopo, poiché questo implica la mancanza di ciò a cui si tende. Spinoza nega con forza l’esistenza di modelli ideali nella Sostanza: quest’ultima non si pone fini, dal momento che, in essa, tutto è come deve essere. Egli propone un Dio indifferente, le cui azioni sono conoscibili attraverso la ragione, in questo modo Spinoza elimina la legittimità dello stupore e dell’ignoranza

Siccome poi scoprono in sé stessi e fuori di sé non pochi mezzi che contribuiscono al raggiungimento del loro utile, come per esempio gli occhi per vedere, i denti per masticare, i vegetali e gli animali per nutrirsi, il sole per illuminare, il mare per alimentare i pesci, va a finire che considerano tutte le cose naturali come mezzi per il loro utile; e poiché quei mezzi sanno di averli scoperti, ma senza averli predisposti, ne hanno tratto motivo per credere che ci sia qualcun'altro che li avrebbe predisposti ad uso loro.

Et App I

Gli uomini proiettano la propria prospettiva sulla natura, in questo modo essi danno vita all’antropomorfismo. Questi si convincono che Dio agisce per raggiungere un fine, il quale coincide con il bene della specie umana: i sostenitori di questa dottrina

giustificano la bontà divina con il bisogno di Dio di essere amato dagli uomini. Vale a dire che l’uomo ama Dio perché quest’ultimo amministra l’universo in vista del bene della sua creatura, a patto che questa lo ami a sua volta. Spinoza critica aspramente questa teologia obiettando che Dio non manca di nulla, quindi è un’assurdità pensare che questo agisca perché bisognoso d’amore.

La convinzione che sia Dio a provvedere e predisporre il bene per l’intera specie umana, ha portato alla creazione di valori oggettivi. Sotto il presunto patrocinio di Dio, si è imposta una scala di valori basati sull’utile umano: così si sono distinte le cose buone dalle cattive, le perfette dalle imperfette e così via, fino a determinare canoni morali ed estetici. In questa prospettiva non è contemplata o giustificata una reazione soggettiva agli eventi.

Ciò è frutto del pregiudizio finalistico, dal quale Spinoza vuole liberare l’uomo. Il filosofo olandese sostiene che ogni individuo è caratterizzato dal proprio peculiare conatus​, il quale lo spinge a desiderare in maniera individuale. Dal momento che l’immaginazione produce un giudizio che nasce dal contatto tra l’individuo e la cosa esterna, ogni opinione è necessariamente personale. Da questo si evince che il giudizio morale non può essere affidato ad un canone esterno, ma è legato alla deliberazione personale. Inoltre, il pregiudizio teologico ha creato un Dio antropomorfico e

antropocentrico, per questo quegli stessi valori che l’uomo ha considerato universali e oggettivi vengono utilizzati per giudicare lo stesso Dio. Il criterio che in tal caso viene utilizzato prevede di considerare oggettivamente buono ciò per cui la natura ha

raggiunto il suo scopo, ovvero l’utile della specie umana.

Si crea così un sistema basato sulla conoscenza immaginativa, che risulta coerente al suo interno. In tal modo prende vita una tesi circolare: i finalismo induce a notare e persuadere che in natura vi siano cose buone ed ordinate, allo stesso tempo è questa stessa teoria a spiegare il motivo dell’esistenza di tanta perfezione e bontà, utilizzando come parametro di giudizio l’utile della specie umana. Spinoza riesce a rompere questo circolo ponendosi al di fuori del finalismo.