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Come dimostrato dai testi fino a questo momento valutati, il fenomeno della circostanze sopravvenute era ampiamente riconosciuto nel mondo giuridico romano e, secondo l’opinione di Andrea Landi47, i giuristi di allora cercarono di risolvere il problema del mutamento delle circostanze attraverso l’analisi del caso di specie; solo successivamente l’opera della giurisprudenza medievale condurrà ad una generalizzazione della loro

interpretatio, idonea alla nascita della teoria della clausola rebus sic stantibus. I due testi, che di seguito saranno approfonditi, sono introdotti

nella compilazione giustinianea. Il primo di essi appartiene al giurista Nerazio, tratto dal suo libro secondo delle Membranae, nel quale è sancito:

47

A. Landi, “Inderogabilità dell’autonomia private e rilevanza delle sopravvenienze. Un indagine sulla cosiddetta clausola rebus sic stantibus nel maturo diritto comune”, in Pacta sunt servanda, op. cit., pp. 89 e ss.

Quod Servius in libro de dotibus scribit, si inter eas personas, quarum altera nondum iustam aetatem habeat, nuptiae factae sint, quod dotis nomine interim datum sit, repeti posse, sic intellegendum est, ut, si divortium intercesserit, priusquam utraque persona iustam aetatem habeat, sit eius pecuniae repetitio, donec autem in eodem habitu matrimonii permanent, non magis id repeti possit, quam quod sponsa sponso dotis nomine dederit, donec maneat inter eos adfintas: quod enim ex ea causa nondum coito matrimonio datur, cum sic detur tamquam in dotem perventurum, quamdiu pervenire potest, repetitio eius non est48.

Il passo tratta del tema della ripetizione di dote, in particolare, della possibilità di richiedere la restituzione di quanto dato alla donna, al suo

pater o a chi l’ha costituita per lei, in vista della celebrazione del

matrimonio; Nerazio richiama la posizione assunta dal giurista Servio Sulpicio Rufo nel libro sulle doti, in base alla quale, si concedeva comunque la condictio per la ripetizione del denaro dato a titolo di dote rispetto a un matrimonio invalido per vizio d’età di uno degli sposi49 (quod

Servius in libro de dotibus scribit, si inter eas personas, quarum altera nondum iustam aetatem habeat, nuptiae factae sint, quod dotis nomine interim datum sit, repeti posse).

Nerazio corregge la più rigida posizione del giurista precedente distinguendo a seconda che sia intervenuto “un divorzio” del matrimonio invalido oppure se i soggetti continuano a vivere insieme: egli ritiene che la ripetizione di ciò che era stato dato, a titolo di dote, per il matrimonio potesse avvenire solo se fosse intercorso il “divortium” prima che entrambe le persone avessero l’età prescritta (sic intellegendum est, ut, si divortium

48

D.12.4.8.

49

intercesserit, priusquam utraque persona iustam aetatem habeat, sit eius pecuniae repetitio).

Qui, come è stato giustamente rilevato 50, il termine “divortium” è improprio, essendo il frammento incentrato sull’assenza del matrimonio per mancanza dell’età prescritta: logicamente, se non vi è matrimonio, non vi può essere nemmeno divorzio. Secondo Alessandro Cassarino51, il termin “divortium” deve essere interpretato nel pieno senso etimologico, come separazione di due persone o cose.

Nell’ipotesi, al contrario, in cui le due persone continuano a vivere insieme, non sarà possibile ripetere l’attribuzione dotis causa (donec autem in

eodem habitu matrimonii permanent, non magis id repeti possit). Nerazio

motiva la sua soluzione paragonando il caso esaminato ad una fattispecie, nella quale, costituita la dote da una fidanzata, promessa sposa, al proprio fidanzato, suo promesso sposo, non sarà possibile restituirla finchè rimanga l’affinità (adfinitas) tra essi (quam quod sponsa sponso dotis nomine

dederit, donec maneat inter eos adfintas).

In tutte e due le situazioni, infatti, è esistente la possibilità della futura conclusione del matrimonio o della successiva convalida del matrimonio viziato con il compimento dell’età richiesta (quod enim ex ea causa

nondum coito matrimonio datur, cum sic detur tamquam in dotem perventurum, quamdiu pervenire potest, repetitio eius non est).

Preme sottolineare come, ancora una volta, la risoluzione del caso, contemperati gli interessi sostanziali delle parti, sia finalizzata alla massima soddisfazione delle situazioni giuridiche dei privati.

50

R. Cardilli, “Bona Fides” tra storia e sistema, Torino, 2010, p. 180.

51

A. Cassarino, Due testi della giurisprudenza romana agli albori della clausola rebus sic stantibus, in Pacta sunt servanda, op. cit., pp. 55 e ss.

Il secondo frammento appartiene al giurista Africano, tratto dal settimo libro delle Questiones, il quale dichiara:

Cum quis sibi aut Titio stipulatus sit, magis esse ait, ut ita demum recte Titio solvi dicendum sit, si in eodem statu maneat, quo fuit, cum stipulatio interponeretur: ceterum sive in adoptionem sive in exilium ierit vel aqua et igni ei interdictum vel servus factus sit, non recte ei solvi dicendum: tacite enim inesse haec convetio stipulationi videtur ‘si in eadem causa maneat’.52

Il giurista Africano riporta il pensiero del suo maestro Giuliano relativo ad un caso di stipulatio con la facoltà, per il debitore, di adempiere correttamente la prestazione al creditore o ad un adiectus solutionis causa che era un soggetto, nel diritto romano, diverso dal creditore, legittimato a ricevere validamente il pagamento per conto del creditor da parte del

debitor, che in tal modo si liberava ed estingueva l’obbligazione. Giuliano

ritiene che potesse essere considerata adempiuta correttamente la prestazione al terzo solo se quest’ultimo fosse rimasto nel medesimo stato giuridico nel quale si trovava, al tempo della conclusione della stipulazione (cum quis sibi aut Titio stipulatus sit, magis esse ait, ut ita demum recte

Titio solvi dicendum sit, si in eodem statu maneat, quo fuit, cum stipulatio interponeretur).

Il giurista sostiene che, se il terzo avesse subito un mutamento in negativo di status, anche una minima capitis deminutio, nel caso di adozione, nel caso di esilio o nel caso di interdizione, l’ obbligazione non sarebbe stata considerata adempiuta correttamente (ceterum sive in adoptionem sive in

exilium ierit vel aqua et igni ei interdictum vel servus factus sit, non recte

52

ei solvi dicendum). Come si evince dal testo, risulta di grande rilevanza il

mutamento di stato, data la funzione tipica dell’adiectus, rispetto alla liberazione del debitore. Giuliano argomenta la propria tesi attraverso la condizione implicita ricondotta ad una convezione tacita nella stipulatio (tacite enim inesse haec convetio stipulationi videtur ‘si in eadem causa

maneat’). Sarà lo stesso giurista classico ad elaborare la teoria della

conventio tacita inerente la stipulatio53.

È evidente come il mutamento delle circostanze, all’interno della giurisprudenza romana, non trovi una soluzione univoca. Secondo quanto sostiene Alessandro Cassarino54, nella risoluzione dei casi concreti, si valutavano le tante conseguenze che sarebbero derivate nell’adattare il contenuto dei patti e degli accordi in corrispondenza dei nuovi accadimenti e sostanzialmente venivano contemperati gli interessi in gioco per cercare di ristabilire l’equilibrio tra le obbligazioni.

Anche due autori del mondo romano, come Cicerone e Seneca, sebbene non fossero esponenti della giurisprudenza perchè ritenuti filosofi e retori, documentano, ancora una volta, la conoscenza del fenomeno della sopravvenienza e mutamento delle circostanze contrapponendo il principio

pacta sunt servanda e la clausola rebus sic stantibus (nonostante non

utilizzassero tale terminologia). Per quel che concerne Cicerone, egli si domanda se i patti e le promesse debbano essere conservati, secondo quanto stabilisce l’editto del pretore e riportato da Ulpiano, nel Digesto, dove è detto:

Pacta conventa, quae neque dolo malo, neque adversus leges plebis scita senatus consulta decreta edicta principium, neque quo fraus cui eorum fiat

53

R. Cardilli, “Bona fides”, op. cit., pp. 207-208.

54

erunt, servabo.55

Dal testo si può chiaramente dedurre che il pretore avrebbe fatto osservare i patti e gli accordi, se non fossero stati né con dolo, né in contrasto con leggi, plebisciti, senatoconsulti, editti, decreti dei principi.

Cicerone risponde al suo quesito in un passo di una delle sue opere principali, il De officiis, dove è riportato un esempio pratico di mutamento di circostanze successivo alla conclusione di un contatto di deposito:

Ergo et promissa non facienda non numquam neque semper deposita reddenda. Si glaudium quis apud te sana mente deposuerit, repetat insanies, reddere peccatum sit, officium non reddere56.

Il frammento del De Officiis asserisce che, dopo la conclusione del contratto di deposito, si presenta una causa di forza maggiore, la follia del depositante, che sconvolge l’assetto di interessi presenti: Cicerone ritiene che sarebbe colpa della parte debitrice restituire l’oggetto del contratto mentre sarebbe suo dovere non restituirla (...reddere peccatum sit, officium

non reddere).

Il pensiero del famoso retore ed avvocato è chiaro: nel momento in cui interviene una causa esterna alla clausole inserite nel contratto, non prevista e non imputabile a nessuna delle parti contraenti, sarà oppurtuno applicare la clausola rebus sic stantibus e non il principio pacta sunt

servanda. Cicerone afferma che sarà il depositario a dover ponderare

l’effetto della consegna rispetto al momento della conclusione del deposito, al fine di eseguire la propria prestazione e decidere se mettere in pratica il

55

D.2.14.7.7.

56

principio pacta sunt servanda, riconsegnando la spada al depositante nel segno del rispetto degli accordi presi originariamente, o la clausola rebus

sic stantibus, non restituendogli la spada in concomitanza al mutamento

degli ineressi sostanziali in gioco.

Concludendo con l’illustre filosofo Seneca, nel De Benificiis, si presenta un ulteriore esempio pratico di mutamento delle circostanze:

Ad cenam, quia promisi, ibo, etiam si frigus erit; non quidem, si nives cadent. Surgum ad sponsalia, quia promisi, quamvis non concoxerim; sed non, si febricitavero. Sponsum descendam, quia promisi; sed non, si spondere me in incertun iubebis, si fisco obligabis. Subest, inquam, tacita exceptio: si potero, si debebo si haec ita erunt. Effice, ut idem status sit, cum exigis, qui fuit, cum promiterem: destituere levitas erit. Si aliquid intervenit novi, quid miraris, cum condicio promittentis mutata sit, mutatum esse consilium? Eadem mihi omnia praesta, et idem sum. Vadimonium promittimus, tamen deserti non in omnes datur actio: deserentem vis maior excusat57.

Il frammento mostra in modo inequivocabile il peso degli eventi seguenti la promessa di un accordo raggiunto o la stipulazione di un contratto legale e come abbiano una funzione decisiva nel giustificare il mancato adempimento di ciò che era prestabilito. Di fatti Seneca dichiara che, per la conservazione della parola data dalla parte, debba necessariamente rimanere il medesimo status di quando è stata fatta la promessa ( … Effice,

ut idem status sit, cum exigis, qui fuit, cum promitterem). In particolare, il

testo riporta un notevole numero di eventi fortuiti, non imputabili a colui il quale ha fatto la promessa, come per esempio: le avverse condizioni

57

climatiche, la salute, l’incertezza dell’ oggetto dell’ obbligazione o gli obblighi verso il fisco (non … si neves cadent …. non si febricitavero ….

non, si spondere me in incertium iubebis, si fisco obbligabis) che, in punto

di partenza, non erano stati previsti e nel caso in cui sia stato promesso di essere presenti in giudizio, non sarà data l’azione contro tutti i promittenti, poiché la forza maggiore è da considerarsi, come causa di esonero secondo quanto puntualizza Alessandro Cassarino58, (vadimonium promittimus,

tamen deserti non in omnes datur actio: deserentem vis maior excusat).

8. Circostanze sopravvenute e buona fede nell’esecuzione dei contratti

Tra i principi che spostano gli equilibri nella contrapposizione tra il principio pacta sunt servanda e la clausola rebus sic stantibus, di grande importanza è il principio di fides bona.

I giuristi e la Cancelleria imperiale le attribuiscono un ruolo fondamentale nella gestione delle sopravvenienze al fine di perfezionare o riequilibrare la volontà delle parti, il regime proprio del tipo contrattuale e mantenere il sinallagma tra le obbligazioni dei contraenti, di fronte al verificarsi di eventi imprevisti sopraggiunti alla conclusione del contratto, come sostiene Aldo Petrucci59.

Gli esempi pratici che prendiamo in esame sono ancora i contratti di locazione e di compravendita, essendo i tipici contratti consuensuali sinalligmatici, fondati sulla buona fede oggettiva che si sostanziava in un canone fondamentale di correttezza e di lealtà cui dovevano attenersi i contraenti.

Il primo di tali esempi è un passo che appartiene ai libri postumi di

58

A. Cassarino, Due testi della giurisprudenza, op. cit., p. 58.

59