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Le sopravvenienze contrattuali: prospettive di diritto romano ed evoluzione nella giurisprudenza spagnola e nell'ordinamento giuridico italiano.

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Facoltà di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

Le sopravvenienze contrattuali:

Prospettive di diritto romano ed evoluzione nella

giurisprudenza spagnola e nell’ordinamento giuridico italiano

Relatore Candidato

Prof. Aldo Petrucci Alessandro Testa

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Indice

Introduzione ... p.6

Capitolo I: Il fenomeno delle circostanze sopravvenute: descrizione dell’esperienza del diritto romano

1. Introduzione ... p.7 2. Il principio pacta sunt servanda nel diritto romani ... p.8 3. Impossibilità sopravvenuta della prestazione ... p.12 4. Circostanza sopravvenuta e distribuzione dei rischi fra contraenti in base al tipo di contratto ... p.13 5. Circostanza sopravvenuta e rinegoziazione delle clausole

contrattuali ... p.28 6. Circostanze sopravvenute e loro previsione nel contratto o negli usi locali ... p.31 7. Agli albori della clausola rebus sic stantibus ... p.34 8. Circostanze sopravvenute e buona fede nell’esecuzione dei

contratti ... p.41 9. Circostanze sopravvenute e ruolo della causa di un’attribuzione

patrimoniale ... p.47 10. Circostanza sopravvenuta e recesso unilaterale del contraente ... p.51 11. Sopravvenienze e difficoltà di adempimento ... p.53 12. Conclusioni ... p.55

Capitolo II: Il tema dell’alterazione delle circostanze genetiche del contratto sviluppato dalla giurisprudenza spagnola: particolare riferimento alla clausola rebus sic stantibus

1. Premessa... p.58 2. Situazione presente in Spagna ... p.59 2.1. Introduzione ... p.59 3. Concetto e fondamento della clausola rebus sic stantibus ... p.62 4. Clausola rebus sic stantibus e altre soluzioni dottrinali ... p.63 5. El principio de buena fe ... p.65 6. La rinegoziazione delle clausole contrattuali e il concetto di

(3)

7. Teorie formulate dalla dottrina ... p.70 8. La clausola rebus sic stantibus nella giurisprudenza spagnola del

Tribunal Supremo Español ... p.73

8.1. Premessa ... p.73 8.2. 1940-1950: l’illustre controversia Carbonell

(el pleito Carbonell) ... p.75 8.3. 1950-1960: il criterio fissato dalla STS 17 mayo 1957 ... p.78 8.4. 1960-1970: consolidamento della supremazia del principio pacta

sunt servanda ... p.81

8.5. 1970-1980: il rapporto tra buona fede e la clausola rebus sic

stantibus ... p.82

8.6. 1980-1990: un caso raro di ammissione della clausola ... p.84 8.7. 1990-2001: l’incertezza determinata dalla giurisprudenza ... p.87 9. Verso un’applicazione normalizzata della clausola rebus sic stantibus nella giurisprudenza del Tribunal Supremo. Trattazione di una delle sentenze più recenti sulla materia ... p.91

9.1. Commentario alla STS 30 junio 2014 (RJ 2014, 3526) ... p.92 9.2. Riassunto della sentenza ed antecedenti di fatto ... p.92 9.3. Fondamenti di diritto ... p.94 9.4. Contesto interpretativo ... p.95 9.5. Concretizzazione applicativa della clausola ed effetti ... p.97 9.6. Applicazione della dottrina esposta al caso enunciato ... p.98 10. Sopravvenienze contrattuali all’interno della proposta di modernizzazione del codice civile spagnolo in materia di obblighi e contratti ... p.100

10.1. Introduzione ... p.100 10.2. L’articolo 1213 del progetto ... p.101 10.3. Descrizione ed analisi dei presupposti di fatto ... p.103 10.4. Le conseguenze giuridiche ... p.105

(4)

Capitolo III: Le sopravvenienze contrattuali nell’ordinamento giuridico italiano: tra figure espressamente regolamentate ed altre non disciplinate

1. Introduzione ... p.107 2. Le sopravvenienze positivamente disciplinate: l’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità ... p.108

2.1. L’impossibilità sopravvenuta della prestazione quale evento impeditivo del rapporto ... p.108 2.2. Presupposti ed effetti della risoluzione ... p.111 2.3. Impossibilità della prestazione ed impossibilità a ricevere ... p.112 2.4. L’impossibilità sopravvenuta della prestazione per fatto imputabile

al creditore ... p.113 2.5. Il principio di conservazione del contratto: adeguamento mediante

risoluzione della controprestazione e limiti all’esecuzione del recesso ... p.115 2.6. Le clausole sul rischio della sopravvenuta impossibilità nella

giurisprudenza: casistica ... p.117 2.7. Il patto di deroga all’articolo 1463 c.c. e l’alea contrattuale ... p.119 2.8. Il riequilibrio del rapporto su piani alternativi ... p.121 2.9. L’eccessiva onerosità della prestazione ... p.124 2.10. Applicazione e caratteri essenziali della eccessiva onerosità nei

contratti con prestazioni corrispettive ... p.128 2.11. Approfondimento dei presupposti... p.131 2.12. Contratto bilaterale ad esecuzione periodica. ... p.131 2.13. Eventi straodinari ed imprevedibili ... p.132 2.14. Alterazione dell’equilibrio tra le prestazioni ... p.134 2.15. L’istituto della eccessiva onerosità sopravvenuta e il problema

dell’equilibrio contrattuale ... p.135 3. Una figura di sopravvenienza contrattuale non prevista dal legislatore: la presupposizione ... p.141

3.1. Il fondamento della presupposizione ... p.143 3.2. Il rapporto tra presupposizione e le sopravvenienze espressamente

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Capitolo IV: Osservazioni conclusive ... p.148

Indice delle fonti ... p.153

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Introduzione

Il presente lavoro di tesi si inserisce in un’attività di ricerca riguardante il problema giuridico del mutamento successivo delle circostanze contrattuali, che affonda le sue radici nel mondo giuridico romano. Sinteticamente, il tema delle sopravvenienze contrattuali concerne la manifestazione di accadimenti di diritto o di fatto dopo la conclusione di un contratto, che alterano l’assetto di interessi sostanziali predisposto dalle parti e il nesso di reciprocità tra le prestazioni. Nel primo capitolo, attraverso un’attenta analisi delle fonti romane, verificheremo i moltissimi meccanismi utilizzati dalla giurisprudenza e dalla Cancelleria per far fronte agli effetti delle circostanze sopravvenute e i pareri forniti dai giuristi nell’esclusivo interesse dei contraenti.

L’indagine successivamente comprenderà lo sviluppo che la materia ha avuto nella legislazione europea, approfondendo particolarmente la giurisprudenza spagnola e l’ordinamento civile italiano.

Il secondo capitolo, infatti, riguarderà la posizione assunta dal Tribunal

Supremo Español a proposito della storica contrapposizione tra il principio pacta sunt servanda, in base al quale gli impegni contrattuali presi devono

essere mantenuti, nonostante l’alterazione della realtà, e la clausola rebus

sic stantibus, secondo la quale, invece, la parte pregiudicata dalle

sopravvenienze può invocare la revisione o la risoluzione dell’accordo. Il terzo capitolo si occuperà principalmente dell’esame delle due uniche figure di sopravvenienze contrattuali positivamente disciplinate dal Codice civile italiano, rispettivamente: l’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità.

Infine, il quarto capitolo consisterà in un’attività di comparazione che coglierà i punti in comune e le differenze presenti nelle tre esperienze giuridiche esaminate.

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Capitolo I: Il fenomeno delle circostanze sopravvenute:

descrizione dell’esperienza del diritto romano

1. Introduzione

Il tema delle sopravvenienze impreviste di diritto o di fatto dopo il perfezionamento di un accordo consensuale e legittimo tra due parti contraenti è certamente di enorme importanza nella disciplina contrattuale attuale sia nei Paesi di civil law che in quelli di common law. Per avere un quadro generale e completo sull’argomento sarà, quindi, fruttuoso ed opportuno fare un passo indietro nel tempo per scoprire dove il fenomeno delle circostanze sopravvenute affondi le proprie radici; in particolar modo vogliamo indagare se il diritto romano lo abbia conosciuto, come abbia affrontato gli effetti che provocava agli interessi sostanziali delle parti e come venisse complessivamente regolamentato.

Per quel che concerne il primo interrogativo, la risposta è senza dubbio positiva, in quanto è dimostrato che sia la giurisprudenza1 romana sia poi la Cancelleria imperiale erano al corrente del fenomeno e lo disciplinavano. Invece, alla seconda domanda la risposta verrà ricercata con la ponderazione delle tante fonti romane pervenute sul tema. Una delle discussioni più accese, soprattutto oggi in epoca moderna, riguarda la

1

I giuristi romani erano fautori dell’interpretatio prudentium che, a partire dal III secolo a.C., emerse prepotentemente come fonte creatrice di diritto, e non come una mera attività interpretativa delle norme vigenti. La sua funzione principale era, difatti, creare un diritto originale attraverso i consulta dei giuristi che estrapolavano i principi presenti nello ius civile per soddisfare le imminenti e nuove esigenze della società, partendo dall’ analisi dei casi concreti. La tecnica utilizzata rappresenta sicuramente una delle più importanti ragioni per considerare i giuristi romani tra i più grandi esperti di diritto di ogni tempo. Per un approfondimento sul tema vedi A. Petrucci, Corso di diritto pubblico romano, Torino, 2012, pp. 179 e ss.

(8)

contrapposizione tra il rispetto del principio pacta sunt servanda e la clausola rebus sic stantibus. La locuzione latina pacta sunt servanda (in italiano: i patti devono essere osservati), formulata in età medievale, esprime un principio fondamentale del diritto civile e del diritto internazionale; nel primo indica il carattere vincolante del contratto, per cui le parti contraenti, dopo la formalizzazione di un accordo, devono attuare gli impegni assunti originariamente. Nel diritto internazionale, palesa che i patti, i trattati, le intese o più in generale gli accordi tra Stati vanno rispettati. La clausola latina rebus sic stantibus (in italiano: stando così le cose), al contrario, permette che, le parti di un contratto o di un trattato internazionale stipulato, di fronte all’avvenuto mutamento di una o entrambe le situazioni sostanziali, a seguito di accadimenti imprevedibili, straordinari e sopravvenuti possono chiedere la modificazione o la risoluzione dell’intesa raggiunta precedentemente.

L’esperienza romana evidenza che la scelta tra applicare il principio pacta

sunt servanda e la clausola rebus sic stantibus rappresenta solo uno dei

tanti modi di risolvere il mutamento successivo delle circostanze contrattuali, data la complessità e l’ampiezza della materia.

Per questa ragione appare logico illustrare un quadro generale delle diverse ipotesi che emergono nelle fonti.

2. Il principio pacta sunt servanda nel diritto romano

La conclusione che il principio pacta sunt servanda, sebbene non formulato in questi termini, fosse messo in pratica dai giuristi romani si evince dall’ampia elaborazione della teoria della centralità dell’accordo di

(9)

volontà delle parti (conventio)2. Tra i tanti testi che si richiamano a questo principio è sufficente fare riferimento a tre, due dei quali appartengono a Ulpiano e uno alla Cancelleria imperiale di Diocleziono.

Il primo è tratto dal commentario di Ulpiano all’editto del pretore, nella parte riguardante l’azione di deposito (actio depositi):

Si convenit, ut in deposito et culpa praestetur, rata est conventio: contractus enim legem ex conventione accipiunt3.

Del frammento appena citato preme sottolineare la rilevanza attribuita dal giurista alla volontà delle parti, in quanto era ammessa la possibilità di modificare, sulla base del loro accordo, il regolamento contrattuale tipico mediante l’inserimento di clausole aggiuntive per adattarlo alle proprie esigenze con effetti vincolanti per le stesse. Nel caso specifico il depositario, che è responsabile, per il diritto civile, della non restituzione della cosa oggetto del deposito per dolo, avrebbe potuto convenzionalmente estendere la propria responsabilità anche alla colpa (Si

convenit, ut in deposito et culpa praestetur); la clausola di estensione della

responsabilità era considerata legittima (rata est conventio), dato che i contratti ammettevano l’inserimento di clausole con effetti vincolanti, sulla base dell’accordo tra le parti (contractus enim legem ex conventione

accipiunt).

Il secondo testo di Ulpiano è uno dei più famosi del Digesto e proprio per la sua importanza è collocato dai Compilatori di Giustiniano fra le “regole

2

A. Petrucci, Il principio pacta sunt servanda ed il mutamento successivo delle circostanze contrattuali: breve quadro dell’esperienza del diritto romano, in Pacta sunt servanda y rebus sic stantibus. Desarrollos actuales y perspectivas históricas in Atti del Congresso internazionale, Città del Messico 29-30 gennaio 2014, a cura di C. Soriano Cienfuegos, Mexico 2014, p. 19.

3

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dell’antico diritto” (De diversis regulis iuris antiqui)4:

Sed haec ita, nisi si quid nominatim convenit (vel plus vel minus) in singulis contractibus: nam hoc servabitur, quod initio convenit (egem enim contractus dedit)5.

Il noto giurista in questo frammento ribadisce la centralità dell’accordo di volontà delle parti, sottolineando come esse fossero assolutamente libere di aggiungere clausole che assumessero poi un carattere vincolante. Nella fattispecie in esame Ulpiano afferma che i contraenti avrebbero potuto ridurre o aumentare la portata dei criteri di responsabilità nei singoli contratti (Sed haec ita, nisi si quid nominatim convenit (vel plus vel minus)

in singulis contractibus) e naturalmente, una volta introdotte, le clausole andavano osservate. Le parti avrebbero douto rispettare quanto pattuito al momento della conclusione del contratto ( nam hoc servabitur, quod initio convenit). L’autonomia delle parti nel disporre , convenzionalmente, circa i criteri di responsabilità per inadempimento incontrava un limite, secondo ciò che riteneva Celso, nel non poter escludere quella per dolo, come si deduce dalla continuazione del passo6.

Infine il terzo testo riconducibile alla Cancelleria di Diocleziano, conservato nel Codice di Giustiniano e datato 293 d.C. afferma:

Sicut initio libera potestas unicuique est habendi vel non habendi contractus, ita renuntiare semel constitutae obligationi adversario non consentiente minime potest. Quapropter intellegere debetis voluntariae obligationi semel vos nexos ab hac non consentiente altera parte, cuius

4

A. Petrucci, Il principio pacta sunt servanda, op. cit., p. 21.

5

Ulp.29 ad Sab. D.50.17.23.

6

(11)

precibus fecisti mentionem, minime posse discedere7.

Il testo ci mostra in modo ancora più chiaro, rispetto ai frammenti di Ulpiano, l’elevata considerazione che veniva riservata al principio pacta

sunt servanda e alla sua attuazione; infatti, dopo essersi dichiarata la piena

libertà contrattuale delle parti di concludere un accordo (Sicut initio libera

potestas unicuique est habendi vel non habendi contractus) il rescritto

dispone che, una volta assunta l’obbligazione, il contraente può sciogliersi dal vincolo obbligatorio solo se la sua controparte è consenziente in considerazione della non derogabilità degli impegni assunti originariamente (ita renuntiare semel constitutae obligationi adversario

non consentiente minime potest). La Cancelleria aveva risposto in modo

negativo al quesito di due privati chiamati Camerino e Marciano, i quali avrebbero voluto recedere in via unilaterale da un contratto concluso liberamente8 (quapropter intellegere debetis voluntariae obligationi semel

vos nexos ab hac non consentiente altera parte, cuius precibus fecisti mentionem, minime posse discedere). La circostanza che non sia descritta

la fattispecie che aveva determinato il rescritto, evidenzia ancor di più la portata generale del principio pacta sunt servanda: i contraenti sono obbligati ad adempiere gli impegni assunti originariamente e la modifica degli stessi può avvenire solo bilateralmente.

7

C.4.10.5.

8

(12)

3. Impossibilità sopravvenuta della prestazione

Il primo effetto prodotto dalle circostanze sopravvenute alla conclusione di un contratto che esaminiamo è l’impossibilità sopravvenuta della prestazione. Preliminarmente, è rilevante sottolineare la differenza che esiste tra l’impossibilità originaria e l’impossibilità sopravvenuta della prestazione: la prima impedisce la nascita stessa dell’obbligazione in quanto non avrebbe senso un’obbligazione senza alcun oggetto9, in base alla famosa massima impossibilium nulla obligatio est espressa da Celso10 in materia di stipulatio, la seconda, invece, interviene quando il contratto è stato formato.

L’impossibilità sopravvenuta della prestazione può essere occasionata da tante situazioni come, ad esempio, l’attività posta in essere da una delle parti (tipico, nel contratto di locazione, è il caso del perimento della cosa causato dalla negligenza del conduttore per la sua manutenzione) o da forza maggiore (vis maior) ovvero da caso fortuito (casus o casus fortuitus). I giuristi romani erano dell’opinione che, qualora la vis maior o il casus

fortuitus non fossero previsti dai contraenti, si seguiva la regola formulata

dai giuristi Sabino ed Ulpiano che segna il limite del principio pacta sunt

servanda, per cui il debitore è liberato dall’adempimento dell’obbligazione,

come evidenzia il frammento che segue11:

Animalium vero casus mortesque, quae sine culpa accidunt, fugae servorum qui custodiri non solent, rapinae, tumultus, incendia, aquarum

9

Cfr. le considerazioni di P. Pichonnaz, “From clausula rebus sic stantibus to hardship: aspects of the evolution of the judge’s role”, in Fundamina: A journal of legal history 17, 2011, pp. 127 e ss.

10

8 dig. D.50.17.185.

11

(13)

magnitudines, impetus praedonum a nullo praestantur12.

Il testo elenca una serie di casi fortuiti, come le morti degli animali, che avvengono senza colpa. la fuga degli schiavi, che non si è soliti custodire, le rapine, i tumulti, le alluvioni, gli assalti dei nemici (Animalium vero

casus mortesque, quae sine culpa accidunt, fugae servorum qui custodiri non solent, rapinae, tumultus, incendia, aquarum magnitudines, impetus praedonum) che non erano imputabili a nessuna delle parti e quindi non

veniva attribuita loro responsabilità (a nullo praestantur).

In altri casi concreti, invece, per l’applicazione del regime inerente al tipo contrattuale o per volontà delle parti o in base agli usi, il debitore non veniva liberato dall’adempimento della propria prestazione, ma il rischio di un accadimento successivo gravava su di lui. I contratti di locazione e di compravendita sono due importanti esempi che provano tale situazione.

4. Circostanza sopravvenuta e distribuzione dei rischi fra contraenti in base al tipo di contratto

Passiamo ad analizzare alcuni testi relativi ai contratti di locazione di fondi (locatio rei) e di vendita (venditio), nei quali il rischio di un evento determinato da vis maior grava su uno o l’altro contraente a seconda del regime giuridico previsto per quel tipo contrattuale. Partiamo con analizzare un noto frammento di Servio Sulpicio Rufo, riportato nei libri

ad edictum di Ulpiano:

Si vis tempestatis calamitosae contigerit, an locator conductori aliquid

12

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praestare debeat, videamus. Servius omnem vim, cui resisti non potest, dominum colono praestare debere ait, ut puta fluminum graculorum sturnorum et si quid simile acciderit, aut si in cursus hostium fiat; si qua tamen vitia ex ipsa re oriantur, haec damno coloni esse, veluti si vinum coacuerit, si raucis aut herbis segetes corruptae sint. Sed et si labes facta sit omnemque fructum tulerit, damnum coloni non esse, ne supra damnum seminis amissi mercedes agri praestare cogatur. Sed et si uredo fructum oleae corruperit aut solis fervore non adsueto id acciderit, damnum domini futurum: si vero nihil extra consuetudinem acciderit, damnum coloni esse. Idemque dicendum, si exercitus praeteriens per lasciviam aliquid abstulit. Sed et si ager terrae motu ita corruerit, ut nusquam sit, damno domini esse; oportere enim agrum praestari conductori, ut frui possit13.

Il passo si sostanzia nel parere fornito da Servio Sulpicio Rufo concernente l’accollo del rischio di circostanze sopravvenute, dipese da un caso di forza maggiore, al locatore (dominus) o al conduttore (colonus). Innanzitutto il giurista pone una distinzione generale supportata da esempi: in senso generale il dominus deve praestare, cioè rispondere al colonus, per non avergli garantito il pieno godimento del fondo agricolo e della conseguente possibilità di trarne i frutti, tutte le volte in cui si presenta un accadimento consistente in una forza esterna all’attività del conduttore alla quale non si può resistere (vis cui resisti non potest), come ad esempio: una tempesta disastrosa (tempestatis calamitosae) fiumi che sfociano, cornacchie, storni o incursione dei nemici (puta fluminum graculorum sturnorum aut si in

cursus hostium fiat). Al contrario, quando gli accadimenti, qualificati come

vizi, sono interni perché originati dall’attività che il colono svolge sul fondo agricolo locato (vitia -quae- ex ipsa re oriuntur) ovvero quella di

13

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“colere”, il damnum sarà sopportato dal colonus stesso: così se il vino si trasforma in aceto o le messi siano andate distrutte a causa di vermi o delle erbacce (haec damno coloni esse, veluti si vinum coacuerit, si rancis aut

herbis segets corruptae sint…).

In seguito il giurista inserisce qualche precisazione riguardante singole ipotesi di vis. Ricade sul locatore il rischio che deriva da una frana che abbia distrutto i frutti e la perdita dell’olive causata da una malattia della pianta o dall’ inconsueto calore del sole (si labes facta sit omnemque

fructum tulerit, damnum coloni non esse, ne supra damnum seminis amissi mercedes agri praestare cogatur. Sed et si uredo fructum oleae corruperit aut solis fervore non adsueto id acciderit, damnum domini futurum). In

questi casi sarebbe troppo oneroso per il conduttore imporgli il pagamento della mercede dopo la perdita delle sue utilità. Invece qualora l’accadimento non ecceda la normalità (consuetudo), il colonus deve sopportare il rischio, come nel caso in cui un esercito indisciplinato, passando, abbia portato via qualcosa (si exercitus praeteriens per lasciviam

aliquid abstulit). Infine, se un terromoto distrugga il campo agricolo

completamente, il damnum è del dominus. Come si può evincere dallo studio del testo, risulta necessario per la comprensione del parere di Servio Sulpicio Rufo la distinzione tra vis cui resisti non potest e vitia ex ipsa re. La vis è stata qualificata come irresistibile e i vitia come interni, cosicchè sarebbe possibile pensare a vis irresistibile contrapposta a vitia resistibili per il colono e quindi evitabili con la normale diligenza oppure ad una vis esterna contrapposta a vitia interni. Per quel che concerne l’espressione vis

cui resisti non potest, aldilà di tutte le altre espressioni con le quali essa è

sostituibile, come ad esempio vis extraria, vis maior etc.., essa ha una chiara valenza semantica: forza esterna irresistibile, nel senso che non è

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riconducibile al colono e non può evitarla14. A dimostrazione di quanto appena detto possiamo citare tre testi, due dei quali appartengono ad Alfeno ed uno a Sabino, sempre tratti dal Digesto; il primo recita così:

Colonus villam hac lege acceperat, ut incorruptam redderet praeter vim et vetustatem: coloni servus villam incendit non fortuito casu. Non videri eam vim exceptam respondit nec id pactum esse, ut, si aliquis domesticus eam incendisset, ne praestaret, sed extrariam vim utrosque excipere voluisse15.

Il passo riguarda la locazione di una villa che il colonus si era impegnato a restituire al dominus in modo integro eccetto eventi di forza maggiore e l’usura del tempo (incorruptam redderet praeter vim et vetustatem), ma la villa viene bruciata non fortuito casu da un servo del colono (coloni servus

villam incendit non fortuito casu) , e così il giurista si interroga se al

colono sia addebitabile il rischio dipeso da tale circostanza sopravvenuta. Ora, in questa sede, interessa spiegare il motivo per cui al conduttore siano imputabili anche quei danni derivanti alla cosa dal comportamento di terzi, secondo l’applicazione del criterio per cui costui sarebbe indennizzato per gli eventi derivanti da vis cui resisti non potest, lasciando da parte la lunga riflessione fatta dalla dottrina sul reale valore della lex contractus concernente la responsabilità del colonus16. Alfeno sostiene, a riguardo,

che il conductor sarebbe stato esonerato solo per i damna derivanti da un agente esterno la cui forza fosse stata irresistibile e non per la condotta dannosa del servus che non si può considerare derivante da un evento vis

14

R. Fiori, La definizione della “locatio conductio”.Giurisprudenza romana e tradizione romanistica, Napoli, 1999, pp. 84-86.

15

Alf.3 dig a Paul. epit. D.19.2.30.4.

16

Cfr. per la quale rimando a R.Cardilli, L’obbligazione di praestare e la responsabilità contrattuale in diritto romano, Milano, 1995, pp. 258 e ss. e 311, secondo il quale il colono verrebbe a rispondere dell’incendio come evento dannoso collegato all’esercizio di una specifica attività economica organizzata sul fondo.

(17)

cui resisti non potest17. I comportamenti dei domestici, da intendersi non

solo come schiavi, ma come tutte le persone della casa, quindi, ricadevano normalemente, pur se non in modo assoluto, nella sfera responsabilistica del colonus poiché egli se ne serviva nella gestione del fondo rustico. Il secondo testo recita quanto segue:

In lege locationis scriptum erat: redemptor silvam ne caedito neve cingito neve deurito neve quem cingere caedere urere sinito. quaerebatur, utrum redemptor, si quem quid earum facere vidisset, prohibere deberet an etiam ita silvam custodire, ne quis id facere possit. Respondi verbum sinere utramque habere significationem, sed locatorem potius id videri voluisse, ut redemptor non solum, si quem casu videsset silvam caedere, prohiberet, sed uti curaret et daret operam, ne quis caederet18.

Il passo sottolinea, a conferma di quanto detto fino a questo momento, che, affinché il locatore potesse sopportare il rischio di un evento di vis maior, fosse necessaria non solo la presenza di una forza esterna ma anche il suo carattere irresistibile per il colono. Nella fattispecie in esame dominus e

colonus concludono un contratto di locazione avente ad oggetto una foresta

(silva), inserendo una clasuola che obbligava il colonus a non tagliare, né recintare, né bruciare la stessa e a non permettere che terzi facessero altrettanto. Alfeno ritiene che il compito del conduttore fosse quello di impedire in assoluto il comportamento dannoso dei terzi, non limitandosi a proibire queste attività a coloro che le avessero compiute in sua presenza, cogliendoli in flagranza, ma agendo attivamente per evitare che nessuno tagliasse, recintasse, incendiasse la foresta. Dal punto di vista della

17

R. Fiori, La definizione, op. cit., pp. 86 e ss.

18

(18)

responabilità il redemptor lo era per tutte quelle condotte pregiudizievoli, anche se occasionate da un agente esterno, che avrebbe potuto evitare utilizzando la normale diligenza, mentre non gli sarebbe stato addossato alcun onere nei confronti del locatore per tutte quelle situazioni, la cui forza fosse stata irresistibile19.

Il terzo testo è di Giavoleno e richiama il parere di Massurio Sabino, illustrando la seguente situazione:

Marcus domum faciendam a Flacco conduxerat:deinde operis parte effecta terrae motu concussum erat aedificium. Massurius Sabinus si vi naturali, veluti terrae motu, hoc acciderit, Flacci esse periculum20.

Il passo riguarda una locatio domus faciendae conclusa tra il locator Flacco e il conductor Marco. In seguito alla costruzione di parte dell’opera l’edificio crolla a causa di un terremoto. Per il giurista, se il crollo dell’edificio è dovuto ad una forza naturale, come un terromoto, il

periculum è del locatore, nel senso che è lui il soggetto al quale viene

accollato il rischio delle conseguenze della vis maior. Il giurista, infatti, non vuole addebitare al conductor gli eventi, come il crollo, causati da forze irresistibili, non provenienti dall’opera dell’uomo, ma dalla natura. L’espressione forza naturale, quindi, rapportata con la vis cui resisti non

potest di Servio indica tutte quelle ipotesi che consistono in forze

irresistibili per l’uomo, proprie del mondo della natura, scartando quelle che si riferiscono al mondo degli uomini21(eccetto una guerra o ad un’incursione dell’esercito).

19

R. Fiori, La definizione, op. cit., pp. 88 e ss.

20

D.19.2.59.

21

R. Cardilli, L’obbligazione di praestare e la responsabilità contrattuale in diritto romano, op. cit., pp. 416 e ss.

(19)

Spiegato il significato dell’espressione vis cui resisti non potest, adesso è opportuno verificare la comprensione del termine vitia ex ipsa re, oggetto di molte discussioni. Tra le diverse interpretazioni, Roberto Fiori22 accoglie quella del Sitzia e del Capogrossi Colognesi23, secondo la quale vitia ex

ipsa re allude ai rischi intrinsecamente connessi alla natura dell’attività

agricola, dove res sta ad indicare questa attività svolta dal conduttore sul terreno.

Proseguendo nella valutazione del passo di D.19.2.15.2, capiamo che questa opposizione tra forza esterna resistibile e vizi interni resistibili, per stabilire a quale delle due parti contraenti addossare il rischio, non viene applicata rigidamente per tutte le circostanze soppravvenute, in quanto Servio Sulpicio Rufo sviluppa, nel suo ragionamento, altre due opposizioni terminologiche per completare il suo responso. La prima è quella della normalità-eccezionalità dell’evento, in base alla quale per tutti i danni causati da accadimenti, non importa se interni o esterni, che rientrano nella normalità (nihil extra consuetudinem), interpretata in termini di possibilità per il conductor di usufruire del fondo e di produrre i frutti, è responsabile il colonus. La seconda opposizione, invece, si fonda sul criterio della esiguità-gravità del danno, per cui il danno arrecato dall’esercito che sottrae qualcosa al colono, nonostante sia esterno, viene accollato al

colonus proprio per la sua esiguità, mentre il terremoto che distrugge il

fondo, data la sua gravità in termini di capacità di produrre frutti, resta a carico del locator24.

Concludendo lo studio del testo, si può affermare che il locator risponderà per i danni determinati da una forza alla quale non è possibile resistere,

22

R. Fiori, La definizione op. cit., p. 93.

23

F. Sitzia, Considerazioni in tema di “periculum locatoris e remissio mercedis”, in Studi G. D’Amelio, I, Milano 1978, pp. 334 e ss.; L. Capogrossi Colognesi, Ai margini della proprietà fondiaria, Roma, 1998, pp. 217 e ss.

24

(20)

essendo imprevedibile e grave a tal punto da non permettere l’uti frui che egli deve praestare al conductor. Infatti, se il locatore non riesce a metter a disposizione del conduttore il fondo oggetto del contratto, non si può certo dire che egli abbia adempiuto alla sua obbligazione. Il conductor sopporterà- oltre ai danni interni che derivano dai vizi intrinsechi all’attività esercitata da lui stesso perchè, in questo caso, si può dire che il

locator abbia adempiuto la propria prestazione- anche i danni che, normali

e non gravosi, siano tali da consentirgli, seppure in modo meno utile, di sfruttare il fondo agricolo.

Appare utile ponderare altri pareri serviani per avere la conferma dell’applicazione dello stesso criterio di ripartizione contrattuale del rischio tra locator e conductor. Il primo testo è di Alfeno discepole di Servio, che ne riferisce il parere, recitando quanto segue:

Aedilis in municipio balneas conduxerat, ut eo anno municipes gratis lavarentur: post tres menses incendio facto respondit posse agi cum balneatore ex conducto, ut pro portione temporis, quo lavationem non praestitisset, pecuniae contributio fieret25.

Il testo riguarda un magistrato municipale che prende in locazione dei bagni termali, affinchè gli abitanti di un municipio, per un anno, si lavino gratuitamente e fruiscano dell’immobile (Aedilis in municipio balneas

conduxerat, ut eo anno municipes gratis lavarentur); appena dopo tre mesi

però, a causa di incendio, i balnea divengono inutilizzabili. L’incendio rappresenta un accadimento, una vis cui resisti non potest, non imputabile al conductor, che, secondo Servio, avrebbe dovuto essere addebitato al locatore, nel caso in esame il balneator. Il giurista ritiene che debba essere

25

(21)

attribuita l’actio ex conducto al conduttore per poter citare in giudizio il locatore ed ottonere da lui la remissio mercedis per il periodo di non godimento dell’immobile (respondit posse agi cum balneatore ex conducto,

ut pro portione temporis, quo lavationem non praestitisset, pecuniae contributio fieret).

L’obbligo del pagamento del canone per il conductor viene meno nel monento in cui svanisce l’occasione di effettivo godimento del bene oggetto del contratto per la manifestazione di una forza irresistibile.

Un altro testo interessante che ci permette di capire che cosa la giurisprudenza romana intendesse per impossibilità sopravvenuta di godimento è il seguente, ancora appartenente, ad Alfeno, dove come spesso avviene, riecheggia un parere serviano:

Habitatores non, si paulo minus commode aliqua parte caenaculi uterentur, statim deductionem ex mercede facere oportet: ea enim condicione habitatorem esse, ut, si quid transversarium incidisset, quamobrem dominum aliquid demoliri oporteret, aliquam partem parvulam incommodi sustineret: non ita tamen, ut eam partem caenaculi dominus aperuisset, in quam magnam partem usus habitator haberet26.

Il testo si sostanzia nella spiegazione che, ai fini della detrazione del canone per il conduttore (deductio ex mercede), è necessaria la presenza di eventi qualificabili come vis maior, la cui forza esterna non sia resistibile e che il danno causato determini una rilevante riduzione dell’utilità connessa al godimento del bene. Tutti gli altri eventi che, sicuramente, causano una diminuzione dell’uti frui sono considerati dal giurista vitia ex ipsa re, intrinsecamente e fisiologicamente connessi al godimento della casa

26

(22)

(caenaculi), e rientrano nella sfera giuridica del conduttore (habitator). Nella fattispecie in esame Alfeno stabilisce che gli inquilini dovranno sostenere gli incomodi di tenue entità (aliquam partem parvulam

incommodi sustineret) come la caduta di una trave di un tetto. Parlando in

termini moderni, possiamo dedurre dal testo che gli interventi sulla cosa oggetto del contratto di “ordinaria amministrazione” (si quid

transversarium incidisset) non gravano sul locatore come, invece, quelli di

“straordianaria amministrazione” 27

(non ita tamen, ut eam partem

caenaculi dominus aperuisset).

Si prenda, infine, in esame il successivo passo, tratto ancora dai Digesti di Alfeno:

Iterum interrogatus est, si quis timoris causa emigrasset, deberet mercedem necne. Respondit, si causa fuisset, cur periculum timeret, quamvis vere non fuisset, tamen non debere mercedem: sed si causa timoris iusta non fuisset, nihilo minus debere28.

Il caso riportato può apparire di sostanza diversa rispetto a quelli presi in considerazione precedentemente, in quanto l’evento impeditivo è di natura psicologica, il timor del conduttore, a determinare la cessazione del godimento della res per sè medesimo. In senso lato, si utliizza, comunque, lo stesso criterio di ripartizione del rischio: quello fondato sulla presenza o meno di una vis (extraria) cui resisti non potest. La fattispecie ha ad oggetto un conductor che decide di smettere di proseguire nel godimento della cosa oggetto del contratto per un timore non meglio specificato; il giurista Alfeno riporta il parere di Servio che si pronuncia sulle sorti della

27

R. Fiori, La definizione, op. cit., p. 100.

28

(23)

obbligazione di pagare il canone: se vi fosse stata una giusta causa di temere il verificarsi di un danno, il conductor sarebbe stato esonerato dall’adempimeto della prestazione, altrimenti avrebbe dovuto pagare il canone (respondit, si causa fuisset, cur periculum timeret, quamvis vere

non fuisset, tamen non debere mercedem: sed si causa causa timoris iusta non fuisset, nihilo minus debere) Sul passo appaiono condivisibili le

riflessioni di Fiori29 e di Capogrossi Colognesi30. Secondo il primo Autore, nonostante la circostanza sopravvenuta alla stipulazione dell’accordo, che altera le situazioni sostanziali delle parti, sia di natura psicologica ed immateriale come il timor, Servio non si sente pregiudicato a considerarla un tipo di forza alla quale non si può resistere, in quanto esercita una coazione a livello psicologico sulle scelte del conduttore. Inoltre, come sottolineato da Capogrossi, la giustificabilità del timor non dipende dal verificarsi dell’evento dannoso e quindi la vis, anche se oggettivamente non esistente, quando è sentita soggettivamente in modo consistente è sufficiente per il giurista Alfeno ad addossarne il rischio al locator, liberando il conductor dal pagamento del canone. Concludendo, in base ai criteri di ripartizione del rischio negoziale emersi dalla ponderazione del testo D.19.2.15.2 la vis maior, non di tipo fisico ma di tipo psiclogico, è considerata legittima per giustificare l’esenzione del conductor dal pagamento del canone, con l’eccezione dei seguenti casi: l’evento temuto è impossibile a priori o è qualificato come resistibile ovvero rientra nel novero degli eventi, fisiologicamente, connessi al naturale utilizzo dell’immobile.

Per quel che concerne le conseguenze patrimoniali dell’assunzione di tali rischi da parte del locatore, abbiamo un approfondimento nel testo che

29

R. Fiori, La definizione, op. cit., pp. 101 e ss.

30

L. Capogrossi Colognesi, Ai margini della propietà fondiaria. Una storia tra logiche di sistema e autorità della norma, Roma, 1998, pp. 193 e ss.

(24)

segue, appartenente ad Africano, dove il giurista applica una distinctio serviana (che Servio aveva formulato in tema di locazione di insulae) all’ ipotesi di locazione di un fondo. La distinzione ha ad oggetto i casi nei quali sia reso impossibile per il colonus l’uti frui: qualora l’impedimento non sia imputabile al dominus, si ha solo remissio mercedis, qualora ci sia una colpa del locator, lo stesso diviene responsabile per l’id quod interest31. Africano riproduce il pensiero del suo maestro Giuliano integrandolo con il proprio e recita quanto segue:

Si fundus quem mihi locaveris publicatus sit, teneri te actione ex conducto – Iulianus ait-,ut mihi frui liceat, quamvis per te non stet, quo minus id praestes: quemadmodum, inquit, si insulam aedificandum locasses et solum corruisset, nihilo minus teneberis …. Similiter igitur et circa conductionem servandam puto, ut mercedem quam praestiterim restituas, eius scilicet temporis, quo fruitus non fuerim …32

Confermando la soluzione di Servio Sulpicio Rufo, Giuliano ritiene che il rischio delle conseguenze di un accadimento esterno (nel caso in esame un atto della pubblica autorità che decreta la confisca dei beni del locatore, perchè probabilmente condannato per un crimine dove è prevista tale pena33), successivo alla perfezione dell’accordo, incombe sul locator per non aver permesso al conductor, nonostante non fosse la sua volontà, il pieno godimento del fondo agricolo: alla parte lesa sia attribuita così l’azione nascente dal contratto (Si fundus quem mihi locaveris publicatus

sit, teneri te actione ex conducto – Iulianus ait-,ut mihi frui liceat, quamvis

31

R. Fiori, La definizione, op. cit., pp. 231 e ss.

32

D.19.2.33.

33

A. Petrucci, Il principio pacta sunt servanda ed il mutamento successivo delle circostanze contrattuali, op. cit., p. 26.

(25)

per te non stet, quo minus id praestes). Successivamente Africano riporta

un secondo parere del maestro in relazione ad una seconda fattispecie avente ad oggetto la locazione di un edificio ancora da realizzare e l’evento che sopraggiunge è la frana del suolo dove va realizzata la costruzione. Il giurista afferma che, per il periodo di tempo in cui il conductor non aveva potuto sfruttare ciò che era stato dato in locazione, il locator avrebbe dovuto restituire al conduttore la mercede ricevuta (mercedem quam

praestiterim restituas, eius scilicet temporis, quo fruitus non fuerim), dato

che l’impedimento per il conduttore dell’uti frui non dipendeva da colpa del dominus, ma da eventi di vis maior.

Il criterio applicato da Giuliano, sia per la ripartizione dei rischi negoziali sia per le conseguenze patrimoniali, è coincidente a quello di Servio Sulpicio Rufo.

Passando al regime della compravendita34, valeva la massima periculum est

emptoris35 -il rischio è del compratore- e ciò significava che doveva essere il compratore a sopportare il rischio della prestazione divenuta impossibile a causa dell’ evento non imputabile alle parti.

Un esempio in tal senso è dato dalle Istituzioni di Giustiniano:

Cum autem emptio et venditio contracta sit … periculum rei venditae statim ad emptorem pertinet, tamenetsi adhuc ea res emptori tradita non sit.

34

Cfr. M. Talamanca, “Vendita(diritto romano)”, in Enciclopedia del Diritto,vol.XLVI, Milano, 1992, p. 450, dove si afferma che nei contratti sinallagmatici, quale è la compravendita, si ha un problema di ripartizione del rischio quando divenuta impossibile una delle prestazioni per fatto non imputabile al debitore, si determina se, la prestazione della controparte ancora possibile debba considerarsi dovuta. Per la compravendita la prestazione pecuniaria del compratore non può mai divenire impossibile e ,quindi, il problema del rischio concerne il caso dell’impossibilità sopravvenuta dell’obbligazione del venditore a lui non imputabile.

35

Cfr., M. Talamanca, “Vendita (diritto romano)”, op. cit., p. 451. dove si rileva che la maggioranza degli studiosi della dottrina tradizionale era concorde sulla vigenza, nel periodo classico, del principio periculum est emptoris anche ante traditionem, una volta che il negozio avesse raggiunto lo stadio dell’emptio perfecta: erano isolate le voci che ritenevano che il rischio gravasse sul venditore fino al momento della consegna della cosa stessa: periculum venditoris.

(26)

Itaque si homo mortuus sit …. aut aedes totae aut aliqua ex parte incendio consumptae fuerint, aut fundus vi fluminis totus vel aliqua ex parte ablatus sit … emptori damnum est, cui necesse est, licet rem non fuerit nanctus, pretium solvere. Quidquid enim sine dolo et culpa venditores accidit, in eo venditor securus est …36

Dal testo si deduce, chiaramente, l’applicazione della regola periculum est

emptoris in base alla quale, in un contratto di compravendita concluso, il

rischio della perdita della cosa comprata per fatto non imputabile a nessuna delle parti gravasse sul compratore, anche quando la stessa non gli fosse stata consegnata (cum autem emptio et venditio contracta sit […] periculum

rei venditae statim ad emptorem pertinet, tamenetsi adhuc ea res emptori tradita non sit); il testo elenca tutta una serie di circostanze: la morte

naturale dello schiavo comprato, la distruzione totale o parziale, per incendio, dell’edificio e il disfacimento di un fondo a causa di un alluvione non rendevano libero il compratore dall’adempimento della sua prestazione, il pagamento del prezzo per la cosa oggetto del contratto (itaque si homo

mortuus sit […] aut aedes totae aut aliqua ex parte incendio consumptae fuerint, aut fundus vi fluminis totus vel aliqua ex parte ablatus sit … emptori damnum est, cui necesse est, licet rem non fuerit nanctus, pretium solvere). Processualmente parlando, si possono verificare due ipotesi: nella

prima, il compratore cita in giudizio il venditore con l’azione nascente dal contratto, l’actio empti, accusandolo per l’inadempimento dell’obbligazione di fornigli la cosa; il venditore si difenderà adducendo la circostanza che la cosa dovuta è perita per forza maggiore e sostenendo che la sua obbligazione di consegna si è estinta per impossibilità sopravvenuta a lui non imputabile, il giudice di conseguenza dovrà assolverlo. Nella

36

(27)

seconda ipotesi, viceversa, è il venditore a citare in giudizio il compratore con l’azione nascente dal contratto, l’actio venditi, adducendo l’inadempimento della prestazione di pagare il prezzo; il compratore si difenderà sostenendo che il venditore non gli ha consegnato la cosa, ma il venditore potrà rispondere dicendo che egli non ha adempiuto per impossibilità a lui non imputabile, allora il giudice, constatata l’esattezza dei fatti prodotti, applicherà la regola periculm est emptoris, liberando il venditore, esente da dolo o da colpa, dalle sue obbligazioni, e condannando il compratore all’adempimento della sua obbligazione37.

Tuttavia i giuristi romani, a testimonianza ancora una volta del fatto che emanavano consulta per la soluzione di casi concreti nell’esclusivo interesse dei privati, senza essere ingessati dalle regole generali, decisero di applicare, in alcune circostanze, un criterio diametralmente opposto a quello enunciato precedentemente, il periculum venditoris38, per cui il rischio dell’inadempimento dell’obbligazione veniva accollato al venditore in luogo del compratore. Un esempio importante di quanto sostenuto è dimostato del testo di Africano avente ad oggetto la locazione di fondi agricoli:

Nam et si vendideris mihi fundum isque priusquam vacuus traderetur publicatus fuerit, tenearis ex empto: quod hactenus verum erit, ut pretium restituas, non etiam id praestes, si quid pluris mea interist eum vacuum mihi tradi39.

37

C.A. Cannata, Sul problema della responsabilità contrattuale nel diritto romano, Catania, 1996, pp. 82-86.

38

Cfr., M. Talamanca, “Vendita (diritto romano)” op. cit., p. 451, dove si rileva che, a fronte dell’esito finalenella compilazione giustinianea, è stato constatato un’ampia applicazione del periculum venditoris ed una marginalizzazione dell’applicazione del periculum emptoris alla vendita degli schiavi.

39

(28)

Africano afferma che, dopo che è stata perfezionata una compravendita di un fondo, anche qualora lo stesso non fosse stato consegnato dal venditor all’emptor a causa di una circostanza sopravvenuta, la sua confisca, l’ acquirente con l’ azione nascente dal contratto (nam et si vendideris mihi

fundum isque priusquam vacuus traderetur publicatus fuerit, tenearis ex empto) avrebbe potuto chiedere conto al venditore del suo inadempimento

e così potrà ottenere ristoro dal venditore che sarà tenuto a restituire il prezzo della compravendita, ma non risarcire al compratore i danni nella misura del suo interesse (ut pretium restituas, non etiam id praestes, si quid

pluris mea interist eum vacuum mihi tradi). Come ritiene Aldo Petrucci40, il giurista ha addebitato il rischio della confisca della cosa perduta al

venditor perchè non l’ha considerata equiparabile al suo perimento.

5. Circostanza sopravvenuta e rinegoziazione delle clausole contrattuali

Ora prendiamo in esame un’altra sfaccettatura degli esiti delle circostanze sopravvenute: la rinegoziazione delle clausole contrattuali in base alla quale i contraenti le ridefiniscono rispetto alle condizioni iniziali. Ulpiano, in un testo del Digesto avente ad oggetto un contratto pluriennale di locazione di un fondo agricolo, riporta la prospettiva di Papiniano:

Papinianus libro quarto responsorum ait, si uno anno remissionem quis colono dederit ob sterilitatem, deinde sequentibus annis contiget ubertas, nihil obesse domino remissionem, sed integram pensionem etiam eius anni quo remisit exigendam […] sed et si verbo donationis dominus ob

40

A. Petrucci, Il principio pacta sunt servanda ed il mutamento successivo delle circostanze contrattuali, op. cit., p. 29.

(29)

sterilitatem anni remiserit, idem erit dicendum, quasi non sit donatio, sed transactio. Quid tamen, si novissimus erat annus sterilis, in quo ei remiserit? Verius dicetur et si superiores uberes fuerunt et scit locator, non debere eum ad computationem vocari41.

L’accadimento di forza maggiore seguente alla conclusione del contratto consiste in una cattiva annata agraria, non imputabile alle parti del contratto, che, in base al regime della ripartizione del rischio applicato nel precedente testo di D.19.2.15.2, gravava sul conductor perché considerato evento interno resistibile dell’attività e non esterno irresistibile.

Papiniano dimostra , nella fattispecie in esame, che a volte la circostanza che sopraggiunge e porta all’impossibilità della prestazione è prevista dai contraenti, i quali attraverso la rinegoziazione delle clausole contrattuali riescono a riequilibrare l’assetto di interessi originario. Le due parti, infatti, raggiungono un’intesa per mezzo della quale il locatore rimette il canone di locazione (remissio mercedis) per quell’anno al conductor, (si uno anno

remissionem quis colono dederit ob sterilitatem), salvo poi eventualmente

recuperarlo successivamente, se gli anni seguenti saranno fertili (deinde

sequentibus annis contigit ubertas, nihil obesse domino remissionem, sed integram pensionem etiam eius anni quo remisit exigendam).

Papiniano precisa che è stata una transazione tra dominus e colonus a dar luogo alla remisione del canone e non una donazione (sed et si verbo

donationis obsterilitatem anni remiserit, idem erit dicendum, quasi non sit donatio, sed transactio). Solo nel caso in cui la transactio non abbia luogo,

il giurista suggerisce il criterio alternativo della ponderazione tra annate produttive, destinato a valere anche quando l’anno sterile sia l’ultimo del quinquennio e gli altri precedenti siano fertili (quid tamen, si novissimus

41

(30)

erat annus sterilis, in quo ei remiserit? Verius dicetur et si superiores uberes fuerunt et scit locator, non debere eum ad computationem vocari).

Papiniano prosegue, puntalizzando, caratteristiche e i limiti della remissione del canone:

Ubicumque tamen remissionis ratio habetur ex causis supra relatis, non id quod sua interest conductor consequitur, sed mercedis exonerationem pro rata: supra denique damnum seminis ad colonum pertinere declatur.

Come si evince, si tratta di una remissio pro rata42, una remissione parziale commisurata a singole annualità, in base alla quale il colonus è esonerato dal pagamento di una sola rata del canone (conductor consequitor, sed

mercedis exonerationem pro rata) corrispondente all’anno sterile e non

dall’intero valore della mercede. I danni derivanti dalle sementi andate perse erano considerate da Papiniano di pertinenza del colono (supra

denique damnum seminis ad colonum pertinere declatur).

Concludendo, possiamo sostenere che, se si fosse applicato, in presenza della circostanza sopravvenuta, il principio pacta sunt servanda, il conduttore sarebbe stato costretto al pagamento del canone per tutto il tempo della locazione, rendendo la sua situazione troppo svantaggiosa, mentre applicando il meccanismo della rinegoziazione contrattuale orginaria, introdotto dalla giurisprudenza, per far fronte all’ evento di vis

maior, vengono riequilibrate le posizioni delle parti, in particolare quella

del conductor.

42

(31)

6. Circostanze sopravvenute e loro previsione nel contratto nel contratto o negli usi locali

Prendiamo in considerazione, per la prima volta, il regime giuridico applicabile ogniqualvolta l’evento di forza maggiore o di caso fortuito fosse contemplato dai contraenti o dalla consuetudine del luogo: per quanto riguarda gli accordi conclusi dai contraenti che, convenzionalmente, regolamentavano gli effetti determinati da un accadimento di vis maior o di

casus fortuitus, è fondamentale, per la sua chiarezza, un passo delle

Istituzioni di Giustiniano, riguardante la compravendita, che afferma:

Quod si fugerit homo qui veniit aut subreptus fuerit, ita ut neque dolus neque culpa venditoris interveniat, animadvertendum erit, an custodiam eius usque ad traditionem venditor susceperit. Sane enim, si susceperit, ad ipsus periculum is casus pertinet: si non susceperit, securus erit43.

Dal passo è chiaro che il principio della sopportazione del rischio a carico del compratore (periculum est emptoris) previsto nei contratti di compravendita, può essere completamente ribaltato dalla volontà delle parti le quali, convenzionalmente e contestualmente alla regolamentazione del loro accordo, possono determinare di accollare il rischio al venditore (periculum est venditoris). Nella fattispecie in esame venditor e emptor decidono di addebitare il rischio della sottrazione dello schiavo venduto da consegnarsi in seguito, al primo invece che al secondo (animadvertendum

erit, an custodiam eius usque ad traditionem venditor susceperit), cosicchè

il venditor avrebbe subito le conseguenze della fuga dello schiavo o del suo furto (si fugerit homo qui veniit aut subreptus fuerit, ita ut neque dolus

43

(32)

neque culpa venditoris interveniat […] si susceperit, ad ipsius periculum is casus pertinet)44.

Il testo è una testimonianza notevole di come, nel diritto romano, alle parti venisse lasciata ampia libertà di manovra al fine di regolamentare la propria situazione sostanziale tale da poter, appunto, derogare un principio generale e importante quale era il periculum emptoris.

Per quanto riguarda la previsione delle circostanze sopravvenute negli usi locali, che derogano la regolamentazione legale degli effetti di un mutamento successivo delle situazioni originarie all’accordo, un rescritto della Cancelleria imperiale di Diocleziano e Massimiano del 293 d.C., collocato nel codice di Giustiniano, è rilevante perché recita quanto segue:

Circa locationes atque conductiones maxime fides contractus servanda est, si nihil specialiter exprimatur contra consuetudinem regionis. Quod si alii remiserunt contra legem contractus atque regionis consuetudinem pensiones, hoc aliis praeiudicium non possit adferre45.

I due imperatori stabiliscono che gli usi del luogo, dove il contratto è stipulato, possono operare come un criterio di disciplina delle circostanze sopravvenute alla conclusione del contratto sia quando i contraenti non prevedono, originariamente, la possibilità di integrazione sia quando la legge non disponga nulla contro l’uso della consuetudine della regione. Nel caso in questione viene specificato come fosse necessario rispettare il contenuto del contratto di locazione (circa locationis atque conductiones

maxime fides contractus servanda) secondo il principio pacta sunt

44

A. Petrucci, Il principio pacta sunt servanda ed il mutamento successivo delle circostanze contrattuali, op. cit., p. 33.

45

(33)

servanda, ma, una volta avvenuto l’accadimento di vis maior, le

consuetudine del luogo, in alternativa al regime del tipo contrattuale e alle previsioni delle parti, ne avrebbe potuto regolamentare gli effetti prodotti, nonostante da un’analisi superficiale del testo potrebbero sembrare limitare la volontà delle parti (si nihil specialiter exprimatur contra consuetudinem

regionis). Effettuando, invece una ponderazione del passo, si deduce che le

stesse venissero utilizzate, anche, come criterio per interpretare tale volontà; infatti alcuni locatori avevano rimesso il canone ai conduttori in presenza di circostanze diverse contemplate dal contratto e dagli usi regionali (si alii

remiserunt contra legem contractus atque regionis consuetudinem pensiones).

Il fatto che le consuetudini regionali e le previsioni dei contraenti svolgessero, per la cancelleria imperiale, un ruolo di primaria importanza e soprattutto operassero nei casi concreti è dimostrato anche da un altro rescritto della Cancelleria imperiale di Alessandro Severo del 231 d.C. dove si afferma:

Licet certis annuis quantitatibus fundum conduxeris, si tamen expressum non est in locatione aut mos regionis postulat, ut, si qua labe tempestatis vel alio caeli vitio damna accidissent, ad onus tuum pertineret, et quae evenerunt sterilitates ubertate aliorum annorum repensatae non probabuntur …46

Il passo riguarda, ancora una volta, un contratto di locazione di un fondo agricolo di durata pluriennale per il quale il conduttore paga un certo ammontare annuo come canone (licet certis annuis quantitatibus fundum

conduxeris) e si discute a riguardo della ripartizione del rischio per cause di

46

(34)

forza maggiore, come, ad esempio, qualche tempesta o altri eventi atmosferici (si qua labe tempestatis vel alio caeli vitio damna accidissent) e della compensazione tra annate ricche ed annate sterili per il pagamento del canone (et quae evenerunt sterilitates ubertate aliorum annorum

repensatae non probabuntur).

Preme sottolineare come la Cancelleria, affermando che nulla viene indicato dalle parti o previsto dalla consuetudine (si tamen expressum non

est in locatione aut mos regionis postulat), implicitamente conferma che gli

usi regionali e l’autonomia dei contraenti avrebbero potuto dare una soluzione al caso e che il suo intervento, per fornire una decisione, ha carattere meramente suppletivo.

7. Agli albori della clausola rebus sic stantitubs

Come dimostrato dai testi fino a questo momento valutati, il fenomeno della circostanze sopravvenute era ampiamente riconosciuto nel mondo giuridico romano e, secondo l’opinione di Andrea Landi47, i giuristi di allora cercarono di risolvere il problema del mutamento delle circostanze attraverso l’analisi del caso di specie; solo successivamente l’opera della giurisprudenza medievale condurrà ad una generalizzazione della loro

interpretatio, idonea alla nascita della teoria della clausola rebus sic stantibus. I due testi, che di seguito saranno approfonditi, sono introdotti

nella compilazione giustinianea. Il primo di essi appartiene al giurista Nerazio, tratto dal suo libro secondo delle Membranae, nel quale è sancito:

47

A. Landi, “Inderogabilità dell’autonomia private e rilevanza delle sopravvenienze. Un indagine sulla cosiddetta clausola rebus sic stantibus nel maturo diritto comune”, in Pacta sunt servanda, op. cit., pp. 89 e ss.

(35)

Quod Servius in libro de dotibus scribit, si inter eas personas, quarum altera nondum iustam aetatem habeat, nuptiae factae sint, quod dotis nomine interim datum sit, repeti posse, sic intellegendum est, ut, si divortium intercesserit, priusquam utraque persona iustam aetatem habeat, sit eius pecuniae repetitio, donec autem in eodem habitu matrimonii permanent, non magis id repeti possit, quam quod sponsa sponso dotis nomine dederit, donec maneat inter eos adfintas: quod enim ex ea causa nondum coito matrimonio datur, cum sic detur tamquam in dotem perventurum, quamdiu pervenire potest, repetitio eius non est48.

Il passo tratta del tema della ripetizione di dote, in particolare, della possibilità di richiedere la restituzione di quanto dato alla donna, al suo

pater o a chi l’ha costituita per lei, in vista della celebrazione del

matrimonio; Nerazio richiama la posizione assunta dal giurista Servio Sulpicio Rufo nel libro sulle doti, in base alla quale, si concedeva comunque la condictio per la ripetizione del denaro dato a titolo di dote rispetto a un matrimonio invalido per vizio d’età di uno degli sposi49 (quod

Servius in libro de dotibus scribit, si inter eas personas, quarum altera nondum iustam aetatem habeat, nuptiae factae sint, quod dotis nomine interim datum sit, repeti posse).

Nerazio corregge la più rigida posizione del giurista precedente distinguendo a seconda che sia intervenuto “un divorzio” del matrimonio invalido oppure se i soggetti continuano a vivere insieme: egli ritiene che la ripetizione di ciò che era stato dato, a titolo di dote, per il matrimonio potesse avvenire solo se fosse intercorso il “divortium” prima che entrambe le persone avessero l’età prescritta (sic intellegendum est, ut, si divortium

48

D.12.4.8.

49

(36)

intercesserit, priusquam utraque persona iustam aetatem habeat, sit eius pecuniae repetitio).

Qui, come è stato giustamente rilevato 50, il termine “divortium” è improprio, essendo il frammento incentrato sull’assenza del matrimonio per mancanza dell’età prescritta: logicamente, se non vi è matrimonio, non vi può essere nemmeno divorzio. Secondo Alessandro Cassarino51, il termin “divortium” deve essere interpretato nel pieno senso etimologico, come separazione di due persone o cose.

Nell’ipotesi, al contrario, in cui le due persone continuano a vivere insieme, non sarà possibile ripetere l’attribuzione dotis causa (donec autem in

eodem habitu matrimonii permanent, non magis id repeti possit). Nerazio

motiva la sua soluzione paragonando il caso esaminato ad una fattispecie, nella quale, costituita la dote da una fidanzata, promessa sposa, al proprio fidanzato, suo promesso sposo, non sarà possibile restituirla finchè rimanga l’affinità (adfinitas) tra essi (quam quod sponsa sponso dotis nomine

dederit, donec maneat inter eos adfintas).

In tutte e due le situazioni, infatti, è esistente la possibilità della futura conclusione del matrimonio o della successiva convalida del matrimonio viziato con il compimento dell’età richiesta (quod enim ex ea causa

nondum coito matrimonio datur, cum sic detur tamquam in dotem perventurum, quamdiu pervenire potest, repetitio eius non est).

Preme sottolineare come, ancora una volta, la risoluzione del caso, contemperati gli interessi sostanziali delle parti, sia finalizzata alla massima soddisfazione delle situazioni giuridiche dei privati.

50

R. Cardilli, “Bona Fides” tra storia e sistema, Torino, 2010, p. 180.

51

A. Cassarino, Due testi della giurisprudenza romana agli albori della clausola rebus sic stantibus, in Pacta sunt servanda, op. cit., pp. 55 e ss.

(37)

Il secondo frammento appartiene al giurista Africano, tratto dal settimo libro delle Questiones, il quale dichiara:

Cum quis sibi aut Titio stipulatus sit, magis esse ait, ut ita demum recte Titio solvi dicendum sit, si in eodem statu maneat, quo fuit, cum stipulatio interponeretur: ceterum sive in adoptionem sive in exilium ierit vel aqua et igni ei interdictum vel servus factus sit, non recte ei solvi dicendum: tacite enim inesse haec convetio stipulationi videtur ‘si in eadem causa maneat’.52

Il giurista Africano riporta il pensiero del suo maestro Giuliano relativo ad un caso di stipulatio con la facoltà, per il debitore, di adempiere correttamente la prestazione al creditore o ad un adiectus solutionis causa che era un soggetto, nel diritto romano, diverso dal creditore, legittimato a ricevere validamente il pagamento per conto del creditor da parte del

debitor, che in tal modo si liberava ed estingueva l’obbligazione. Giuliano

ritiene che potesse essere considerata adempiuta correttamente la prestazione al terzo solo se quest’ultimo fosse rimasto nel medesimo stato giuridico nel quale si trovava, al tempo della conclusione della stipulazione (cum quis sibi aut Titio stipulatus sit, magis esse ait, ut ita demum recte

Titio solvi dicendum sit, si in eodem statu maneat, quo fuit, cum stipulatio interponeretur).

Il giurista sostiene che, se il terzo avesse subito un mutamento in negativo di status, anche una minima capitis deminutio, nel caso di adozione, nel caso di esilio o nel caso di interdizione, l’ obbligazione non sarebbe stata considerata adempiuta correttamente (ceterum sive in adoptionem sive in

exilium ierit vel aqua et igni ei interdictum vel servus factus sit, non recte

52

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