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obblighi verso il fisco (non … si neves cadent …. non si febricitavero ….

non, si spondere me in incertium iubebis, si fisco obbligabis) che, in punto

di partenza, non erano stati previsti e nel caso in cui sia stato promesso di essere presenti in giudizio, non sarà data l’azione contro tutti i promittenti, poiché la forza maggiore è da considerarsi, come causa di esonero secondo quanto puntualizza Alessandro Cassarino58, (vadimonium promittimus,

tamen deserti non in omnes datur actio: deserentem vis maior excusat).

8. Circostanze sopravvenute e buona fede nell’esecuzione dei contratti

Tra i principi che spostano gli equilibri nella contrapposizione tra il principio pacta sunt servanda e la clausola rebus sic stantibus, di grande importanza è il principio di fides bona.

I giuristi e la Cancelleria imperiale le attribuiscono un ruolo fondamentale nella gestione delle sopravvenienze al fine di perfezionare o riequilibrare la volontà delle parti, il regime proprio del tipo contrattuale e mantenere il sinallagma tra le obbligazioni dei contraenti, di fronte al verificarsi di eventi imprevisti sopraggiunti alla conclusione del contratto, come sostiene Aldo Petrucci59.

Gli esempi pratici che prendiamo in esame sono ancora i contratti di locazione e di compravendita, essendo i tipici contratti consuensuali sinalligmatici, fondati sulla buona fede oggettiva che si sostanziava in un canone fondamentale di correttezza e di lealtà cui dovevano attenersi i contraenti.

Il primo di tali esempi è un passo che appartiene ai libri postumi di

58

A. Cassarino, Due testi della giurisprudenza, op. cit., p. 58.

59

Labeone, epitomati da Giavoleno dove si dice:

Bona fides non patitur, ut, cum emptor alicuius legis beneficio pecuniam rei venditae debere desisset antequam res ei tradatur, venditor tradere compelletur et re sua cararet. Possessione autem tradita futurum est, ut rem venditor aeque amitteret, utpote cum petenti <-eam rem emptor exceptionem rei venditae et traditae opponere possit->…60

La fattispecie ha ad oggetto la compravendita di un fondo ed è interessante notare come Labeone offra due soluzioni diverse a seconda del momento in cui si è verificata la circostanza sopravvenuta, elevando a criterio di valutazione del caso concreto la buona fede. L’ accadimento successivo alla conclusione della compravendita è una legge che, secondo la riscostruzione più attendibile, consisterebbe nella trasmissione forzata di terre a favore dei veterani di guerra e la rimessione per l’ acquirente del pagamento del prezzo (cum emptor alicuius legis beneficio pecuniam rei venditae debere

desisset antequam res ei tradatur). Il giurista fonda il suo ragionamento in

base ad una rigida alternativa: se la trasmissione del fondo sia avvenuta o meno da parte del venditor all’emptor. Nel caso in cui il possesso del fondo non fosse stato trasferito, prima della circostanza sopravvenuta, Labeone sostiene che, in base alla buona fede il venditore sarà legittimato a non adempiere la propria prestazione, determinando la risoluzione del contratto. Ponderando la funzione svolta dalla buona fede, si deduce che ha un impatto importantissimo sulla soluzione della fattispecie, dato che Labeone la utilizza per giustificare il fatto che il venditore non fosse assolutamente obbligato a consegnare il fondo, privandosi di esso. Il principio di fides

bona riequilibra le posizioni della parti contraenti, le cui prestazioni erano

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state alterate dall’evoluzione della realtà. Nel caso in cui fosse stata realizzata la consegna del fondo, Labeone non chiama più in causa la buona fede come parametro di valutazione ma, semplicemente, stabilisce che il rischio del mutamento successivo alla formalizzazione dell’accordo grava sul venditore che deve sopportare la perdita del bene senza ricevere il corrispettivo patrimoniale.

Per quel che concerne il passo appena esaminato, è opportuno effettuare ancora alcune importanti osservazioni: la prima consiste nel fatto che una delle parti, il venditor, è giudicato in modo diverso, a seconda se abbia adempiuto alla sua prestazione o non l’ abbia fatto al momento della circostanza sopravvenuta che ha alterato gli interessi delle parti; Labeone, infatti, decide di applicare un diverso regime giuridico nei confronti del venditore, in base al mutamento in cui si è verificato l’accadimento successivo: se il possesso è stato trasferito, il rischio della circostanza sopravvenuta ricade sul venditore e così l’emptor è esonerato dall’adempimento della sua prestazione, il pagamento del prezzo; mentre se il possesso non è stato ancora trasferito, il venditore non è obbligato a consegnarlo e il rapporto si estingue. Ciò è dovuto, secondo l’interpretazione prevalsa in dottrina, dal fatto che fino al compimento della consegna (traditio) le obbligazioni reciproche coesistono e con esse permane il nesso d’interdipendenza che le lega sulla base del criterio della buona fede, mentre, con l’estinzione dell’obbligazione di consegnare, viene meno tale nesso e l’ obbligazione ancora esistente, quella di pagare il prezzo, segue la propria sorte. La seconda osservazione che preme compiersi è quella che riguarda la contrapposizione tra il principio di buona fede e il principio periculum est emptoris. Labeone, nonostante fosse al corrente di tale ultimo principio, decide di non applicarlo perché ritiene la vendita forzata non equiparabile ai casi che determinano il perimento della res, testimoniando che i giuristi romani applicavano alternativamente

il principio periculum venditoris ed il principio periculum emptoris, secondo l’apprezzamento delle circostanze sopravvenute o dell’applicazione della fides bona per riequilibrare le posizioni sostanziali dei contraenti.

Per una ulteriore attestazione del ruolo ricoperto dalla buona fede nel controllo degli esiti delle circostanze sopravvenute, è possibile citare e studiare altri due testi romani che appartengono al giurista Africano e alla Cancelleria di Alessandro Severo. In riferimento al frammento del giurista, in esso si dice:

Et haec distinctio convenit illi, quae a Servio introducta et ab omnibus fere probata est, ut, si aversione insulam locatam dominus reficiendo, ne ea conductor frui possit, effecerit, animadvertatur, necessario necne id opus demolitus est … intellegendum est autem nos hac distictione uti de eo, qui et suum praedium fruendum locaverit et bona fide negotium contraxerit …61

Il passo si sostanzia nell’ applicazione della distinctio Serviana, approvata da quasi tutti i giuristi successivi (quae a Servio introducta et ab omnibus

fere probata est), all’ ipotesi di locazione di un edificio a più piani (insula).

La circostanza sopravvenuta consiste nella demolizione da parte del

dominus dell’edificio, dato in locazione per intero, per poi ricostruirlo,

rendendo impossibile al conductor il suo pieno godimento durante lo svolgimento dei lavori (si aversione insulam locatam dominus reficiendo,

ne ea conductor frui possit, effeceri). Sarebbe stato opportuno sindacare la

necessità o meno della demolizione (animadvertatur, necessario necne id

61

opus demolitus est) contrapponendola al pregiudizio subito dal colonus:

qualora la stessa fosse risultata indispensabile per rifare l’edificio a più piani, il dominus avrebbe dovuto, solamente, procedere ad una remissio

mercedis corrispondente al periodo di tempo in cui il conduttore non aveva

fruito dell’ insula, mentre, per contro, qualora la demolizione fosse apparsa non necessaria, e quindi volontaria, il locator avrebbe dovuto risarcire tutti i danni causati al conductor per il mancato sfruttamento dell’edificio. La soluzione riportata da Africano dimostra che i giuristi romani, affrontando e maneggiando il problema delle circostanze sopravvenute, impiegavano il principio di fides bona come filtro attraverso il quale risolvere le loro conseguenze sulle obbligazioni reciproche dei contraenti, ripristinando l’equilibrio delle situazioni sostanziali quando queste diventassero toppo svantaggiose per uno o per entrambi.

Nel caso appena esaminato sarebbe stato troppo gravoso per il colonus imporgli il pagamento del canone, dal momento in cui non aveva potuto fruire dell’insula; diventava, allora, opportuno ponderare le ragioni che avevano portato alla sua demolizione: se inevitabile, dato che non si poteva configurare una culpa del dominus in quanto l’ evento non dipendeva dalla sua volontà, l’applicazione della buona fede comportava una sospensione dell’obbligazione del conductor di pagare il canone (che andava rimesso), adeguando il contratto all’accadimento sopraggiunto. La demolizione volontaria dell’edificio a più piani, che, privava ugualmente il colonus del suo sfruttamento, configurava un’ipotesi di culpa del locator per l’inadempimento della sua obbligazione che causava una risoluzione del contratto e con conseguente responsabilità del dominus per l’id quod

interest.

Anche la Cancelleria di Alessandro Severo si occupò della regolamentazione degli eventi sopravvenuti sulla base del criterio di buona fede. Il rescritto che segue ha ad oggetto la locazione di un fondo, nel quale

né i contraenti né le consuetudini del luogo avevano previsto il rischio dei danni causati dalle avversità atmosferiche e la compensazione tra annate cattive e buone. La Cancelleria stabilisce questa soluzione:

rationem tui iuxta bonam fidem haberi recte postulabis, eamque formam qui ex appellatione cognoscet sequetur62.

Dal rescritto si evince che il giudice che giudicherà in appello dovrà tener conto del criterio della buona fede oggettiva, in quanto che né le parti in causa né gli usi locali (rationem tui iuxta bonam fidem haberi recte

postulabis, eamque formam qui ex appellatione cognoscet sequetur)

avevano stabilito su chi ricadeva il rischio degli accadimenti successivi alla conclusione del contratto; nel caso in esame, come pensa Aldo Petrucci63, il contratto è di locazione di un fondo, dove i contraenti non hanno previsto né la ripartizione del rischio di danni causati dalle avversità atmosferiche né la compensazione tra annate cattive e buone (si qua labe tempestatis vel

alio caeli vitio damna accidissent, et quae evenerunt sterilitates ubertate aliorum annorum repensatae non probabuntur) e ciò non era neppure

regolato dagli usi regionali . L’imperatore stabilisce che fosse necessario per risolvere la fattispecie applicare il criterio della buona fede oggettiva la quale permetteva di reintegrare le posizioni delle parti contraenti e non rendere l’ obbligazione del conduttore troppo onerosa. Si deduce che il regime giuridico incontrato nei testi precedenti ed applicato dalla maggior parte dei giuristi romani nei contratti di locazione, in base al quale gli eventi esterni al contratto determinati da casi fortuiti o forza maggiore vis

cui resisti non potest, come i cambiamenti climatici, le calamità, fossero

62

C.4.65.8. cit.

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sopportati dal locatore per non aver garantito al conduttore il pieno godimento del fondo agricolo ed invece gli eventi sopravvenuti che dipendevano dalla mera attività interna del conduttore, i cosiddetti vitia

quae ex ipsa re oriuntur, come ad esempio la semina, la coltivazione, la

raccolta, la produzione, il vino che si trasforma in aceto, la distruzione del raccolto per le erbacce o per i vermi della terra64 fossero sopportati dal conduttore poiché erano resistibili e intrinsechi alla attività, non venisse attuato in modo automatico, ma fosse corretto o, eventualmente, sostituito mediante il criterio di buona fede, in relazione alla situazione concreta, per riequilibrare le situazioni sostanziali delle parti. Come, già visto ed evidenziato più volte, era consuetudine del mondo romano che i consulta adottati dai giuristi e le soluzioni di diritto che ne seguivano potevano variare a seconda dei casi specifici e della miglior realizzazione degli interessi in gioco.

9. Circostanze sopravvenute e ruolo della causa di un’attribuzione