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Circostanze sopravvenute e ruolo della causa di un’attribuzione patrimoniale

Fino a questo momento abbiamo osservato che l’effetto principale e più comune di una circostanza sopravvenuta alla stipulazione di un contratto fosse l’impossibilità di una o di entrambe le prestazioni delle parti contraenti, ma non è l’ unico: le fonti romane ci suggeriscono che, tra gli esiti possibili di una sopravvenienza, vi rientra il venir meno della causa di un’ attribuzione patrimoniale antecedente, configurando una datio sine

causa65.

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R. Cardilli, “Bona fides”, op. cit., p. 235.

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Analizziamo, perciò, due testi che evidenziano tale effetto. Il primo appartiene ad Ulpiano che esamina un caso della realtà, presentandolo così:

Si fullo vestimenta lavanda conduxerit, deinde amissis eis domino pretium ex locato conventus praestiterit posteaque dominus invenerit vestimenta, qua actione debeat consequi pretium quod dedit? Et ait Cassius eum non solum ex conducto agere, verum condicere domino posse: ego puto ex conducto omnimodo eum habere actionem: an autem et condicere possit, quaesitum est, quia non indebitum dedit: nisi forte quia sine causa datum sit putamus condici posse: etenim vestimentis inventis quasi sine causa datum videtur66.

La fattispecie concerne un fullo, che in base ad una locatio conductio

operis, riceve dei vestiti dal dominus al fine di lavarli, ma li smarrisce,

senza sapere se per fatto a lui imputabile o meno, così il proprietario dei vestiti chiama in giudizio il lavandaio per il versamento della somma di denaro pari al valore pecuniario dei vestiti perduti (Si fullo vestimenta

lavanda conduxerit, deinde amisseis domino pretium ex locato conventus praestiterit), ma in seguito, ed è questo l’ accadimento sopravvenuto, il

proprietario li rinviene ed allora il problema affrontato da due giuristi Cassio Longino e Ulpiano verte su quale azione possa essere esercitata dal

lavator per riavere la somma pagata. Cassio Longino, il cui pensiero è

riportato da Ulpiano, nel I secolo d.C. sostiene che il lavandaio avesse a disposizione due tipi di azione: l’ azione nascente dal contratto, contratto d’ opera avente ad oggetto la pulizia delle vesti stipulato con il proprietario, e l’azione di ripetizione dell’indebito (et ait Cassius eum non solum ex

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conducto agere, verum condicere domino posse) dato che, nel momento in

cui sono stati ritrovate le vesti andate perse, la somma pagata dal lavandaio è senza causa, configurando un ingiustificato arricchimento. Ulpiano, invece, due secoli più tardi, nel III secolo d.C. non è molto convinto sul fatto che il lavandaio potesse disporre, contemporaneamente, di due azioni; egli gli attribuisce l’azione nascente dal contratto d’opera (ego puto ex

conducto omnimodo eum habere actionem), ma diffida a riguardo alla

titolarità dell’azione di ripetizione, ritenendo che, quando il fullo aveva pagato il denaro al dominus, non si potesse parlare di ingiustificato arricchimento (an autem et condicere possit, quaesitum est, quia non

indebitum dedit) perchè le vesti erano state, veramente, disperse,

comportando il diritto al risarcimento del danno del proprietario legittimo. Alla fine le perplessità mosse da Ulpiano vengono da lui stesso sciolte, convincendosi del fatto che il lavandaio avesse diritto di esercitare anche l’azione di ripetizione per effetto della circostanza sopravvenuta, il ritrovamento dei vestiti perduti, che fa diventare il pagamento effettuato

sine causa (nisi forte quia causa datum sit putamos condicti posse: etenim vestimentis quasi sine causa datum videtur).

Il frammento di Ulpiano è importante, in quanto mostra due pareri differenti a distanza di due secoli, di due illustri giuristi riguardo a quale tipologia di azione, tra quelle presenti nell’ editto del pretore, assegnare ad una delle parti contraenti. Interessante è notare che, al di là del tipo di contratto stipulato, l’avvenimento non previsto dalle parti si verifica in un momento diverso e successivo rispetto agli esempi sin qui esposti e cioè, a vincolo contrattuale concluso, dato che il lavandaio aveva provveduto a risarcire il proprietario a causa del suo inadempimento. Ora la soluzione proposta da Cassio Longino è importante perché riflette il pensiero della giurisprudenza del secondo e primo secolo a.C. e della scuola Sabiniana, di cui egli era uno degli iniziatori, secondo la quale tutte le attribuzioni

patrimoniali prive di una giusta causa avrebbero sempre legittimato chi le avesse compiute all’ esercizio di un’ azione di ripetizione per recuperarle; a quest’azione si sarebbe potuta anche accompagnare quella nascente dallo specifico contratto concluso. Secondo detta impostazione, dunque, l’assenza di una causa che giustificasse l’ altrui arricchimento permetteva l’esercizio di un’ azione per ottenere la restituzione. Nel caso specifico è proprio il fatto sopravvenuto, il rinvenire dei vestiti, che origina l’ingiustificato arricchimento del proprietario dei vestiti. Ulpiano, inizialmente, si basa sul presupposto che, una volta riconosciuta l’azione nascente dal contratto d’opera, al lavandaio non potesse essere concessa anche l’azione di ripetizione perché, nel momento del pagamento effettuato al proprietario dei vestiti, ciò era dovuto data la perdita della cosa oggetto del contratto e quindi non poteva rappresentare un indebito. Ciò che fa spostare il ragionamento di Ulpiano nella direzione dell’attribuzione al lavandaio, anche, della seconda azione è l’evento successivo che cambia gli interessi delle parti e soprattutto fa cadere la legittimità della corresponsione della somma di denaro del lavandaio al proprietario dei vestiti. Concludendo, i due pareri, nella fattispecie presa in considerazione, risultano coincidenti proprio per la presenza dell’evento imprevisto.

Il secondo testo, sempre di Ulpiano, recita così:

Sed et si ob causam promisit, causa tamen secuta non est, dicendum est condictionem locum habere. Sive ab initio sine causa promissum est, sive fuit causa promittendi quae finita est vel secuta non est, dicendum est condictioni locum fore67.

Dal frammento possiamo subito capire che non si tratta di un caso specifico

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come il precedente, bensì di una enunciazione a carattere generale con la quale il giurista ha l’obiettivo di affermare che l’azione di ripetizione era possibile esperire anche quando era stata fatta una promessa di pagamento e, successivamente o sin dall’ inizio, era venuta meno la causa. L’azione di ripetizione ha la funzione, in questo caso, di liberare il promittente (condictio liberationis) dalla promessa fatta per una causa venuta meno successivamente (sive fuit causa promittendi quae finita est vel secuta non

est) o era senza la stessa sin dall’inizio (sive ab initio sine causa promissum est). Quindi possiamo stabilire, con certezza, che qualsiasi attribuzione

patrimoniale realizzata o promessa non sarebbe stata soggetta all’azione di ripetizione solo se il presupposto in presenza del quale era stata fatta o promessa rimaneva inalterato.

In definitiva sul tema è stato dimostrato che, verificatasi una circostanza sopravvenuta alla conclusione di un contratto, tale da provocare la cessazione della causa esistente, l’equilibrio delle posizioni patrimoniali viene reintegrato assegnando alla parte che ha compiuto il pagamento l’azione di ripetizione di quanto dato in precedenza. Quindi possiamo affermare che l’elemento della causa di una dazione fatta o promessa veniva utilizzato dai giuristi romani come meccanismo per bilanciare le situazioni delle parti, al pari della buona fede.