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Gli album concettualisti e i knigi-ob’’ekty [libri-oggetto] degli anni ’80.

Questo periodo, ovvero la seconda metà degli anni ’70, rientra nell’analisi del ruolo di testo scritto e immagine all’interno di due progetti artistici, con i quali tendenzialmente si fa coincidere la vera arte non-ufficiale intesa come dichiarato dissenso nei confronti del potere: il circolo concettualista moscovita e la soc-art.

Ekaterina Degot’ sostiene che entrambi siano due varianti dell’estetica concettuale: “[se] in generale il concettualismo è una sorta di procedura mentale, praticata sul testo, allora in quel caso, quando il testo si identifica con l’ideologia sovietica e la procedura è

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un’immersione irrisoria in essa, allora ci troviamo ad avere a che fare con la soc-art”78.

Se si volesse intendere il testo in senso lotmaniano, ovvero come un’organizzazione (sistema circoscritto fissato in segni, che ne determinano l’espressività)79, allo stesso modo qui è intesa l’ideologia sovietica. Ed è proprio in questo “testo” che sono consci di vivere gli artisti concettualisti. Così come il testo, anche la vita quotidiana di un cittadino sovietico veniva vista come composta da diverse immagini, parole, tradizioni che andavano così a permeare ogni aspetto dell’esistenza, facendo svanire ogni traccia di vita80. Nella sua ripetizione e utilizzo, questo linguaggio aveva progressivamente perso il proprio significato e aveva smesso di svolgere il compito che spetta a una lingua: comunicare, rimandare a un significato. Ora, ciò che rimaneva per i concettualisti era un testo autoreferenziale, esistente forse solo come involucro e che da essi veniva tuttavia ancora usato trattandosi dell’unica via attraverso la quale esprimersi.

Il legame dell’arte concettuale con il testo si esprime anche nelle ricerche in cui si svolge questo progetto artistico, ovvero nella produzione di quelle che si possono definire “forme ibride”81, a metà tra arti figurative e letteratura, come la cartoteca di Lev

Rubinštejn, in cui le tessere destinate all’indicazione della collocazione dei libri in biblioteca diventano spazio dedicato a poche frasi, frammenti di discorsi, ricordi; i libri oggetto di Valerij e Rimma Gerloviny, in cui si nota la predominanza del testo dattiloscritto, simbolo della pubblicazione in samizdat. E proprio in relazione al samizdat viene spontaneo pensare al carattere “domestico, artigianale, cartaceo e quasi tattile”82 di

esso, che attira gli artisti concettualisti, i quali ne fanno uso, trasportandone le caratteristiche nel libro autoprodotto e nel genere dell’album, in quest’ultimo concretizzandosi in una sintesi di testo e immagine. In questo si vede un rapporto completamente diverso tra l’artista e la sua opera, che viene letteralmente manipolata, divenendo un oggetto dietro al quale vige un progetto, un concetto ben strutturato e ideato. Non avendo la possibilità di esporre, l’opera vive in uno stretto rapporto a due con il proprio creatore, il quale mette in essa le proprie idee, che si concretizzano nella forma, ma non sempre forma e significato hanno una corrispondenza diretta. Inoltre, nella ricerca e quasi feticismo per la carta come materiale privilegiato per le creazioni

78 “[…] концептуализм вообще есть род мыслительной процедуры, проделываемой над текстом,

то в том случае, когда этим является советская идеология, а процедурой – игровое погружение в нее, перед нами соц-арт.” (Degot, Russkoe iskusstvo, op.cit., p.167).

79 Ju. Lotman, La struttura del testo poetico, Milano 2000, p.67-68.

80Groys, The Total Art, op.cit., p.87.

81 Burini, “Fecondissimo nulla: alcuni esempi di semiotica dello zero nel concettualismo russo”, in

L’opera incompiuta, a cura di L. Omacini, Venezia 2008, p.192.

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concettuali e, soprattutto nella predilezione per ciò che è stato creato autonomamente, sembra di sentire riecheggiare l’attività congiunta dei futuristi, i cui libri, inizialmente, venivano prodotti con i pochi materiali a disposizione. Ciò che però distingue i concettualisti dalle avanguardie di inizio secolo è la mancanza di una pretesa di ricostruire il mondo, che, identificandosi appunto in quel linguaggio impossibile perché carente di una funzione comunicativa, produce opere d’arte che non sono azioni, ma, contrariamente, inattività, inerzia: “l’unica forma possibile diviene l’assenza della forma, il nulla, il vuoto in tutte le sue ipostasi”83. Il vuoto e il nulla, a più riprese associati al

bianco delle tele suprematiste di Malevič, sono una valida chiave di lettura degli album di Kabakov, realizzati a partire dall’inizio degli anni ’70, e dedicati alle storie di personaggi che sono anche i ritratti di “piccoli uomini sovietici”: Archipov, Primakov, Surikov, Malygin (alcuni dei protagonisti della serie Desjat’ personažej [Dieci personaggi]) sono gli anti-eroi di nuovi racconti gogoliani, personaggi senza tratti distintivi particolari, come Akakij Akak’evic o Čičikov, le cui azioni vengono descritte o dettate da quelle voci fuori campo, trasportate in un testo scritto dall’artista e che corrispondono alla controparte testuale dell’album (fig.10).

Il testo e la rappresentazione sono fatti l’uno per l’altro, impossibile dire qual è il principale e quale il secondario; si tratta di una sorta di tautologia strutturale: il testo ripete l’immagine, oppure l’immagine ripete il testo. […] il testo è costruito come una lista immobile, un registro, un’enumerazione di quello che è rappresentato o non rappresentato […] o di ciò che possono pensare gli spettatori guardandolo. Non si tratta di una narrazione consequenziale, ma di un insieme di tutte le possibili espressioni verbali che si riferiscono al rappresentato84.

Negli album di Kabakov la parola non ha quindi nessun rimando, è un “segno non complementare all’immagine”85 e in essa si realizza quella stessa pustota [vuoto] che

accoglie i dieci personaggi alla fine di ogni album: l’ultima pagina bianca, il nulla, il destino che spetta a tutti. Lo svuotamento del senso della parola fa avvicinare il testo –

83 Ivi, p.199. 84 Ivi, pp. 200-201. 85 Ivi, p. 203.

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compreso quello poetico – concettualista a una dimensione dell’assurdo, attraverso una scrittura priva di uno stile che la identifichi e che sappia rendere diversa l’una dall’altra ogni sua manifestazione. Questa idea si esprime attraverso la ripetizione di cliché, suoni, parole, strutture, indicativa dell’impossibilità di aggiungere qualcosa di nuovo. E in questo sembra di veder tornare la poetica obėriuta, con le parole di Charms in quelli che risultano essere i suoi scritti forse più emblematici di “questa poetica del vuoto”, Myr [Mundo, 1930] e Nul’ i nol’ [Lo zero e il nulla, 1931].

Insieme a Kabakov, anche Pivovarov si cimentò con il genere dell’album. La loro attività di illustratori per l’infanzia si è conservata anche nello stile delle loro opere; nel caso di Pivovarov ciò viene suggerito dallo stile dei disegni negli album, realizzati con colori sgargianti, che rendono riconoscibile la mano dell’artista; il tratto delle linee, il carattere dei testi inevitabilmente collegati alle immagini: il tutto si concentra in uno stile minimale, simile a quello kabakoviano, per il quale però risalta la formazione grafica dell’autore.

L’utilizzo del genere dell’album portò il libro a fare parte della pratica concettuale, attraverso forme non del tutto tradizionali, come le raccolte contenenti i testi che accompagnavano le performance: “Spesso il libro finiva per essere una mera aggiunta al sistema di strategie varie, ma allo stesso tempo fungeva anche da unico oggetto materiale

Fig. 10 I. Kabakov, V škafu sidjaščij Primakov [Primakov seduto nell’armadio], dalla serie Desjat’ personažej, inchiostro, acquerello,1974

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che rimanesse dopo una performance o un’installazione”86. Nascendo come

indispensabile supporto documentativo, questi libri venivano redatti in pochi esemplari, come le descrizioni delle performance del gruppo Kollektivnye dejstvija [Azioni collettive].

Questi testi sono puliti, bezdejatel’nye87 [inerti], caratterizzati da uno stile minimale che utilizza il linguaggio plastico (plastičeskij jazyk)88 del testo redatto in samizdat, ovvero dattiloscritto. Lo stile utilizzato per ristampare le opere censurate per poterle fare circolare clandestinamente si impresse persino in quelle riviste che, come “Sintaksis” e “Chronika tekuščich sobytij” [Cronaca degli avvenimenti correnti], sorte rispettivamente nel 1959 e nel 1968, si facevano portavoce dell’ambiente non ufficiale. Allo stesso modo, anche Nekrasov, Rimma e Valerij Gerloviny, Dmitrij Prigov e Andrej Monastyrskij si avvicinarono a questo linguaggio “plastico” e i testi da loro creati, nei diversi contesti delle performance o degli oggetti realizzati, rappresentavano anche un nuovo e paradossale rapporto con il pubblico: il pubblico poteva rimanere interdetto davanti a

Ob’’ekt v vide knigi. Jama [Oggetto dall’aspetto di un libro. Buca, 1985] (fig.11) di

Prigov, che può essere sfogliato ma non letto, poichè le pagine sono state ritagliate al centro in modo da ricreare la forma di una vera e propria buca, in fondo alla quale, nel baratro, si scorge un quadratino nero; oppure poteva assistere alle letture performative della cartoteca di Lev Rubinštejn, o leggere individualmente questi testi, come le poesie laconiche di Nekrasov.

Degot’ individua nel corso degli anni ’80 l’emergere di una tendenza verso il genere del libro, inteso in questo caso come rukotvornyj [realizzato a mano]: “È come se questi libri non fossero affatto tali, o per lo meno non sono soltanto dei libri, è come se fossero il risultato secondario di un’altra attività”89. L’altro tipo di azione di cui si parla può

essere individuato nei tentativi di narrazione o di teatralizzazione, oppure, più semplicemente, nell’utilizzo dello spazio del libro come superficie per la propria pittura o per la propria poesia. Rispetto al libro futurista, la procedura adottata da questi artisti si distingue per essere il prodotto di un’attività individuale. Lo spazio privato, come si è

86 “Часто книга оказывалась лишь дополнением к системе разнообразных стратегий, но в то же

время служила и единственным материальным объектом, оставшимся после акций или инсталляций.” (A. Čudeckaja, “Katalog knig, prednaznačennych ne tol’ko dlja čtenija”, in Kniga

chudožnika 1970-1990, Moskva 1999, p.5).

87 Dёgot,’, Russkoe iskusstvo, op.cit., p.186.

88 Ibidem.

89 “Эти книги – как будто не совсем книги или, во всяком случае, каждый раз не только книги,

каждый раз они есть побочный продукт некоего другого рода деятельности.” (Degot’, “Odinokie knigi, knigi odinokich”, in Avangard i tradicija: knigi russkich chudožnikov XX veka, Moskva 1991, p.14).

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visto, diventa fondamentale per un artista non-conformista, in quanto tipico di questa arte non allineata è l’individualità dell’autore, che è unico creatore della propria arte; allo stesso modo, anche quando si tratta dell’oggetto del libro, si sta producendo una creatura intrisa di questo senso di solitudine. È un libro “unico”, creato per se stessi, diverso da ciò che veniva stampato per il samizdat, che era comunque pensato per la diffusione. In questo gesto presenziano a-politicità, a-socialità e forse anche la volontà di vedere nella creazione di questo oggetto qualcosa che si avvicini a un rito.

Fig. 11 D. Prigov, Ob’’ekt v vide knigi. Jama [Oggetto dall’aspetto di un libro. Buca], carta, dattilografia, inchiostro, 1985

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Capitolo 2