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Un mondo descritto da parole e immagin

3.1 Le origini della mitologia tiškoviana

La mitologia artistica creata da Leonid Tiškov è legata alla regione degli Urali. Nella vignetta Karta naselenija ural’skich gor1 [Mappa della popolazione degli Urali], l’apparato digestivo della Russia che si era visto in Mappa anatomica della Russia, (capitolo 2) viene ora visto più da vicino in qualità di dimora dei vari personaggi nati dall’immaginazione dell’artista: gli Urali settentrionali (che corrispondono all’intestino retto [prjamaja kiška] e all’intestino crasso [tolstyj kišečnik]) sono abitati dai Vodolazy [Sommozzatori], poiché si tratta anche della parte più vicina al mare; nella parte centrale, in corrispondenza della parte sottile dell’intestino, del fegato e dello stomaco, sono insediati i Dabloidy; la parte meridionale è popolata dagli Živuščie v chobote [Abitanti della proboscide]2. In questa regione, quasi ovunque, vivono invece i Čurki [Pezzi di legno].

La creazione di questi personaggi nasce dalla necessità di inventare un proprio mondo, bisogno che, secondo Tiškov, è comune più o meno a tutti gli esseri umani per il loro desiderio di trovarsi al centro di qualcosa, del quale non siano semplici e passivi spettatori3. Vjačeslav Kuricyn parla di un vero e proprio “epos tiškoviano”4, riferendosi nello specifico all’album Ljudi moej derevni [La gente del mio villaggio, 1989], ma proponendo una definizione applicabile all’intera produzione di Tiškov (compresi i lavori da lui realizzati ai giorni nostri), capace di contenere dentro di sé una grande quantità di leggende, narrazioni e significati, paragonabili al bagaglio mitologico di una civiltà. Per questo motivo, addentrarsi nel mondo artistico di Tiškov equivale quasi ad abbracciare una nuova cultura, fatta di una propria memoria guidata dal pensiero dell’artista (i

1Tiškov, “Ural”, op.cit., p.11.

2 Nonostante anche gli Abitanti della proboscide facciano parte dell’immaginario mitologico qui preso

in analisi, si è deciso di non approfondire la loro natura e soprattutto la loro rappresentazione all’interno dell’opera tiškoviana. Questa scelta è dovuta all’assenza di lavori che facciano emergere la componente testuale in relazione a quella figurativa. La storia di questi personaggi, che vivono all’interno delle proboscidi di enormi elefanti, è stata prevalentemente raccontata in fogli attraverso illustrazioni accompagnate da brevi didascalie scritte a mano ed è caratterizzata da un forte esistenzialismo, visibile nella condizione di esistenza stessa nella proboscide, al contempo rifugio e prigione.

3 S. Martinova, Tiškov, “Sotvorennye miry’’, in Tiškov, Kak stat’ genial’nym chudožnikom, op.cit.,

p.291.

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continui rimandi da un personaggio all’altro ne sono un esempio e conferiscono un’idea di unità). Di questa memoria non si vuole perdere nulla, per questo è fondamentale il ruolo dell’immagine, che viene ulteriormente ribadita dall’intervento del testo scritto. In questo modo gli strumenti per decodificare questa narrazione mitologica sono addirittura in eccesso, dal momento che sia testo che immagine rimandano, nello stesso istante, alla medesima cosa. In alcuni casi, vi sono rimandi provenienti dall’esterno, dalla cultura vissuta in prima persona dall’artista nel “mondo reale”. Ne sono un esempio i riferimenti a istituzioni ufficiali sovietiche, alla vita nelle fattorie collettive, negli appartamenti condivisi, ai monumenti innalzati per i leader del Partito, agli scrittori, scienziati, botanici russi, appartenenti anche al secolo precedente. Questi simboli si insinuano nelle vicende raccontate negli album di Tiškov, intersecandosi con le narrazioni dedicate ai personaggi di invenzione dell’artista e influenzando l’interpretazione che il lettore/spettatore può darne.

Per quanto riguarda l’aspetto figurativo, le radici di questo mondo, come è già stato visto, sono da ricercare nei tempi delle caricature e delle illustrazioni, nel contesto di un’Unione Sovietica immersa nella stagnazione brežneviana. Il gusto per il black humor e l’assurdo sta alla base di questa nuova narrazione. In particolare, l’assurdo si ricollega alla natura stessa del mito:

Dal momento della comparsa della specie homo sapiens, l’umanità si è ritrovata alla ricerca del significato della propria esistenza. Spesso, non riuscendo a scoprirlo, arrivava alla conclusione dell’insensatezza della vita. Perciò, l’idea del caos e dell’assurdità della vita umana trovano un corrispettivo nella creazione dei miti5.

Di fronte all’inenarrabile, soprattutto al momento che concerne l’origine del tutto, il mito diventa un punto di riferimento, la spiegazione di un evento mancante di razionalità, compiuta attraverso mezzi assurdi.

L’origine della narrazione mitica di Tiškov non si colloca molto lontano da questo, se si pensa alla figura che ha dato inizio a ogni cosa, ovvero Dablus. Oltre a essere il nome della casa editrice indipendente fondata dallo stesso artista, Dablus è il principio

5“С момента рождения биологического вида homo sapiens человечество пребывает в поисках

смысла собственного существования и нередко, не обнаружив такового, приходит к мысли об абсурдности бытия. Представления о хаотичности, бесмысленности, абсурдности человеческой жизни находят воплощение уже в мифологическом творчестве.” (M. A. Kravčenko, O. V. Kravčenko,

Javlenija jazykovogo absurda: metalingvističeskij, kognitivno-diskursivnyj i semiotičeskij aspekty, Rostov

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androgino e perfetto presente all’inizio di ogni atto artistico di Tiškov: “Dablus si presenta sia come principio femminile, poiché è dotato di due seni, sia come maschile, per la forma fallica. Dablus è un ermafrodita, è la cosa che conosciamo meglio di tutte: è la materia prima”6. La componente androgina assume un ruolo importante nella mitologia di Tiškov, facendo la propria comparsa già al momento della stesura di Padremadre. Da questa creatura, nella quale maschile e femminile convivono, nascono i Dabloidy, figure centrali nella produzione artistica tiškoviana a partire dalla seconda metà degli anni ’80. “Dabloid è la creazione ideale. Nella mia testa gli ho dato una forma, poi ho preso della carta del formato di un album, un pennello, l’inchiostro e ho iniziato a disegnare la grande pianta di un piede con una piccola testa”7. Le prime raffigurazioni dei Dabloidy risalgono a due dipinti del 1989, nei quali i personaggi dalla forma di piede rosso impersonano san Sebastiano e santa Barbara al momento del martirio (fig. 39). Nel corso degli anni, Tiškov ha tessuto con cura la narrazione di questi personaggi, insistendo sul loro significato. Essi, infatti, non sarebbero poi così estranei all’uomo, in quanto nella pianta del piede si concentra un gran numero di terminazioni nervose, collegate a diversi organi del corpo umano8. Inoltre, la loro “esistenza”, sembra essere legittimata da alcune credenze antiche

e comuni a quasi tutto il mondo slavo. A tal proposito, Tiškov segue: “E poi lo sanno tutti: nella pianta del piede si nasconde l’anima. Quindi, i Dabloidy sono l’essenza dell’uomo”9. L’idea dell’anima avente una collocazione fisica in varie parti del corpo, tra

cui i piedi, si esprime nella cultura russa attraverso alcune espressioni verbali, come “duša ne na meste” [c’è qualcosa che non va], che letteralmente significa “l’anima non è al proprio posto”10. La definizione del “posto” non è univoca, poiché secondo diverse

credenze, l’anima si può trovare sia nella testa, nella gola, negli occhi, nelle ossa e, come scrive Dal’, un po’ più in basso rispetto al cuore, nello stomaco11. Ancora una volta torna

6 “Он [Даблус] представляет собой и женское: груди, соски и мужское – они образуют фаллос.

Даблус – некий гермафродит. Это все самое привычное. Первоматерия.” (Tiškov, L. Peskov, “Fragmenty besedy”, in Ne tol’ko Dabloidy: izbrannye besedy, Moskva 1992, p.5).

7 “Даблоид – идеальное творение. Я мысленно придал ему форму, взял бумагу альбомного

формата, кисть, тушь и начал рисовать большую стопу с маленькой головой.’’ (Tiškov, Kak stat’

genial’nym chudožnikom, op.cit., p.187).

8 Ibidem. Tiškov si esprime definendo la pianta del piede la “mappa dell’organismo umano”.

9 “А еще всем известно: в пятке прячется душа. Так что Даблоид является выражением сущности

человека.” (Ibidem).

10 Per un’analisi approfondita delle credenze popolari slave legate alla concezione e alla localizzazione

dell’anima, si veda S.M. Tolstaja, “Slavjanskie mifologičeskie predstavlenija o duše”, in L.N. Vinogradova, E.E. Levikevskaja, S.M. Tolstaja, Slavjanskij i balkanskij fol’klor: narodnaja demonologija, Moskva 2000, pp.52-95.

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a predominare la semantica anatomica, dettata dall’interesse da parte dell’artista per ciò che riguarda l’uomo, sia dal punto di vista spirituale, sia dal punto di vista fisiologico. La stranezza dell’aspetto di un Dabloid è motivo di smarrimento per chi lo guarda; a disorientare sono prima di tutto le sue proporzioni: la pianta gigante contrasta con la piccola testa situata in cima. Le dita lunghe e l’aspetto rugoso della pelle – anche se non è mai stato chiarito da Tiškov se si tratti di pelle o meno – sono gli elementi che rendono questo personaggio grottesco, strano e inquietante. La stranezza di un Dabloid è la stessa stranezza che può caratterizzare un ritratto di Lenin. Se ci si soffermasse attentamente sul volto di quest’ultimo, sarebbe possibile notare un’ampia fronte, elemento che ormai non spicca più e non lo rende più così buffo, poiché per anni è sempre stato sotto gli occhi di tutti12. I Dabloidy, invece, sono una novità, la loro presenza non è usuale. Inoltre, essendo essi una “copia” delle persone, un contenitore del loro ampio spettro di emozioni e di pensieri, a partire da quelli più nobili per arrivare a quelli più abbietti, diventa ancora più difficile accettare la loro natura.

Dabloid è il nostro cammino verso la conoscenza, verso la comprensione del nostro significato attraverso l’assurdità della vita, il grottesco e l’umorismo. Dabloid è la coscienza dell’artista, che in

12 L. Pesok, Tiškov, “Fragmenty Besedy’’, in Tiškov, Ne tol’ko Dabloidy: izbrannye besedy,

illjustrirovannye avtorom, Moskva 1992, p.6.

Fig. 39 (a sinistra) L. Tiškov, Dabloid n.4, Svjatoj Sebast’jan [Dabloid n.4, San Sebastiano], olio su tela, 200x150 cm, 1989; (a destra) L. Tiškov, Dabloid n.5, Svjataja Varvara [Dabloid n.5, Santa Barbara], olio su tela, 200x150 cm, 1989

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un qualche modo ha deciso di cambiare se stesso e il mondo che lo circonda per mezzo della propria arte. […] Ha sempre lo stesso aspetto, ma rappresenta l’ombra delle cose, create dall’uomo con la propria coscienza13.

Il legame con l’anima non è una caratteristica esclusiva dei Dabloidy, ma anche delle altre creature che, in diverse zone, popolano idealmente gli Urali e quindi il paesaggio dell’infanzia dell’artista. Stomaki, Čurki e Vodolazy a loro volta sono caricature della natura umana, che dopotutto risulta essere il vero e proprio oggetto dell’analisi artistica di Tiškov. Ciascuno di loro, con le proprie caratteristiche, mette in evidenza comportamenti, disagi, emozioni e paure, che all’origine del tutto sono racchiuse nell’unico Dablus. Nel modo di raccontare le storie dei suoi personaggi, Tiškov riconosce un procedimento affine alla psicoanalisi: “Tutta la mia arte è una sorta di psicanalisi. Gli Stomaki, ad esempio, sono una condizione crepuscolare, vera e propria follia, un insieme di complessi e di paure. Tutto questo, inconsciamente, ha effetto su alcune persone”14. Con l’album Stomaki, una delle figure più popolari nell’immaginario tiškoviano a partire dalla fine degli anni ’80, diventa protagonista della propria storia. Lo stomaco nasce come ricordo del periodo universitario, immagine legata ai cadaveri dissezionati, e quindi, inevitabilmente, all’atmosfera nervosa e grottesca del mondo dello studio della medicina, così come veniva percepito dal giovane Tiškov. Ljudmila Lunina ne parla in termini di “allucinazione”, un soggetto che dentro di sé non racchiude più una quantità spropositata di gemme preziose, come in Lo stomaco di cristallo dell’angelo, ma bensì valori più intangibili come emozioni, paure, complessi: “The Stomach is a caricature of the soul, the soul inside out. When a person sleeps and the fetters of reason don’t reign over his soul, the delicate shoots of the Stomach grow out of his body as from the earth”15.

L’aspetto dello Stomak riproduce il tratto gastro-intestinale, che funge da involucro per una persona di cui si vedono solamente i piedi. Gli Stomaki hanno sempre con sé un fegato, contenitore della loro anima. Il luogo a cui appartengono e nel quale si muovono

13 “Даблоид – наш путь к осознанию, путь познания самого себя через абсурдности бытия, через

гротеск и юмор. Даблоид – сознание художника, который решил каким-то образом изменить себя и окружающий его мир через свое искусство.[…] Выглядит он всегда одинаково, но обозначает тьму вещей, созданных человеческим сознанием.’’

(I. Ševelev, L. Tiškov, “Vremja Dabloidov”, in https://vz.ru/culture/2006/7/27/43173.html, consultato il 22/11/2017).

14“ Все мое искусствo – своего рода психоанализа. Если взять стомаков, это препарированное

безумие – сумеречные состояния, комплексы, страхи. На некоторых людей это очень действует. На подсознательном уровне.” (L. Lunina, Tiškov, “Izbrannaja boltovnja”, in Ne tol’ko Dabloidy, op.cit., p. 11).

15 Lunina, “The Mythology of Leonid Tiškov: sources, heroes, actions, traditions”, in Tiškov, Creatures,

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è l’apparato digerente umano, entrando così in contatto con l’immenso mondo interiore della persona che li porta. Tiškov dà al corpo umano in questione una connotazione più affine alla cultura russa, definendolo rodina [patria]: “La patria dello Stomak è l’uomo, il suo mondo interiore, all’interno del quale lo stomaco nasce, cresce, matura e infine muore, percorrendo tutte le vie intricate dell’apparato intestinale”16.

All’interno delle narrazioni a essi dedicati, gli Stomaki entrano spesso in conflitto con i Čurki, che sono pezzi di legno (dotati anch’essi di piedi). Rispetto ai primi, questi possiedono una minore sensibilità e sono creature meno “introspettive’’. Sono semplici, nati in modo grossolano e quasi grezzo, rispetto agli altri personaggi:

Falegnami e carpentieri si riuniscono, trovano della legna secca e ne fanno dei blocchi. Poi trovano delle asce e usando quelle ne ricavano i Čurki. I Čurki sono fatti da questi uomini, grezzamente, e non sono squadrati. Se ne stanno in fila di notte, nella baracca oscura della fabbrica al limite della città, aspettando la propria ora17.

Anche la storia dei Vodolazy ha radici nei ricordi d’infanzia dell’artista. Ai tempi dell’Unione Sovietica il sommozzatore era considerato un simbolo, uno di quegli eroi della patria che, accanto a kosmonavty [astronauti] e morjaki [marinai], rappresentavano l’orgoglio di tutte le repubbliche. A questo soggetto si era dedicata anche l’artista Vera Muchina nel 1937, dopo aver realizzato la statua Rabočij i kolchoznica [L’operaio e la kolchoziana]. Il progetto di una statua raffigurante un sommozzatore, ma al contempo dotata della funzione di faro, doveva essere realizzato a Balaklava, in Crimea. Come scrisse Muchina in una lettera al comandante dell’EPRON [Ėkspedicija Podvodnych

Rabot Osobogo Naznačenija; Spedizione speciale per operazioni sottomarine]: “Voglio

che questo sommozzatore sia un faro, alto circa 40 metri. Il riflesso sbiadito dell’acciaio sembrerà il riflesso della traccia di bagnato lasciata dall’acqua sui vestiti. Questo gigante d’argento invierà segnali di salvataggio verso il mare”18. Questo progetto, che non venne

mai realizzato, fu ripreso nel 2010 da Tiškov, che si dedicò a uno studio approfondito 16 “Родина стомака – человек, его внутренний мир – в нем рождается стомак, растет, воспитывается и умирает, проходя все извилистые желудочно-кишечные пути человека.’’ (Tiškov, V poiskach, op.cit., p.122). 17 “Собираются плотники и столяры, находят сухое дерево и заготавливают болванки. Потом берут тупые топоры и рубят из них чурок. Грубо сделанные мужчинами, неотесанные существа, стоят они в ряд в темном сарае деревообрабатывающего завода на окраине города и ждут своего часа.’’ (Ivi, p.134). 18 “Я хочу сделать этот маяк в виде водолаза, вышиной сорок метров. Неяркий блеск стали будет ассоциироваться с блеском мокрой от воды одежды. Серебряный гигант станет посылать спасательные лучи в море.’’ (V. Muchina in Tiškov, “Vodolaz-Majak’’, in

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della progettazione del faro, legandolo a una tematica fondamentale all’interno della sua produzione: l’utopia. Prendendosi carico della realizzazione dell’utopia mancata di Muchina, Tiškov si impegnò nella costruzione della statua di bronzo alta circa tre metri, con un faro inserito in corrispondenza dell’oblò. La prima versione del faro- sommozzatore venne esposta proprio a Balaklava, nel punto indicato da Muchina, per essere poi posizionata al Gor’kij Park di Mosca, sulla Puškinskaja Naberežnaja [lungofiume Puškin]. Sono interessanti gli studi effettuati dall’artista prima della realizzazione del monumento, che sono stati raccolti sotto forma di album contente disegni a penna e testi, riprendendo così la forma prediletta negli anni ’90. In una delle pagine, Tiškov presenta il progetto di Vera Muchina con un disegno molto simile a un prospetto stilato da un architetto (fig. 40). Particolare attenzione viene data all’elmo della statua del sommozzatore, che avrebbe dovuto contenere una terrazza panoramica e una stazione radio. Ai piedi della statura sarebbero dovuti essere collocati un museo dedicato alla storia dei sommozzatori, un cinema, una biblioteca e un archivio, elementi che Tiškov elenca nei paragrafi descrittivi. Il tono progettuale dell’album, che a momenti sembra richiamare la celebrazione sovietica dei grandi monumenti, si stempera nell’ultima pagina, nella quale è visibile il ritratto di una piccola Vera Muchina seduta accanto ad un sommozzatore, che guarda verso un grande faro, la sua futura utopia. Nella saga iniziata più di dieci anni prima, uno dei simboli culturali identificativi dell’Unione Sovietica si trasformava in qualcosa di più intimo, caricato anche di una valenza emotiva, legata ad un episodio in particolare vissuto dall’artista durante l’infanzia:

Per la prima volta vidi i sommozzatori sulla riva del lago, mentre ve ne uscivano con i loro tubi dell’ossigeno che affondavano nella superficie d’acqua. Il velluto nero dei loro scafandri, che erano la loro pelle, mi ricordava quello degli orsacchiotti di peluches, mentre il tubo lungo era come un cordone ombelicale infinito, che li teneva collegati alla terra e all’eternità19.

Questi elementi (lo scafandro nero, il tubo dell’ossigeno) diventeranno poi i tratti distintivi dei Vodolazy, presenti nella sua arte fin di tempi delle caricature, se si ripensa a quella raffigurante i due sommozzatori che portano una bambina verso il mare (si veda il secondo capitolo), dalla quale, nel 1997, Tiškov ricavò una vignetta, Družnaja sem’ja

19 “Впервые я увидел водолазов на берегу озера, они вышли из воды, их кислородные шланги

уходили в глубину водоема. Черный бархат их кожи-скафандра напоминал плющевых медведей, длинный шланг – бесконечную пуповину, соединяющую с землей и вечностью.’’ (Ivi, p.162).

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vodolazov idet na pogruženie [Un’allegra famiglia di sommozzatori sta andando ad

immergersi] (fig 41).

Fig. 40 L. Tiškov, Vodolaz-majak: balaklavskij proekt po idee Very Muchinoj [Il sommozzatore-faro: il progetto di Balaklava secondo l’idea di Vera Muchina], penna su carta, 2009

Fig. 41 L. Tiškov, Družnaja sem’ja vodolazov idet na pogruženie [Un’allegra famiglia di sommozzatori sta andando ad immergersi], china su carta, 1997

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I Vodolazy, così come gli Stomaki, che si muovevano nel percorso dell’apparato digerente umano, trovandosi ad affrontare situazioni e stati d’animo che rispecchiavano l’interiorità dell’uomo, a loro volta si muovono in uno spazio indefinito, che nella maggior parte delle illustrazioni sembra essere un deserto che non conduce a nulla. Essi si muovono lentamente, impediti dai loro pesanti scafandri, che simbolicamente sono una trasposizione del corpo, visto come qualcosa di materiale e di provvisorio, sotto il quale si cela il vero volto della persona. Allo stesso modo, i Vodolazy portano su di sé una corazza che copre la loro vera essenza, ma non è detto tuttavia che sotto di essa vi si possa trovare qualcuno; è infatti possibile che si tratti dell’oscurità, della luna, dell’universo, di uno stormo di gabbiani, di due persone contemporaneamente o del nulla assoluto (figg. 42-43). Rispetto alle raffigurazioni di Dabloidy, Stomaki e Čurki, quella dei Vodolazy è più cupa anche dal punto di vista cromatico, perché costituita da una tavolozza limitata che spazia tra nero, grigio e color seppia. Ciò conferisce alle scene un aspetto quasi tedioso, incrementato anche dalla sensazione di lentezza data dal passo pesante dei sommozzatori. Questa atmosfera si addice ai contenuti delle loro storie, focalizzate su

Fig. 42 L. Tiškov, V odnom vodolaze dvoe ne uživutsja [In un Vodolaz non ce ne possono vivere due], china su carta, 1996

Fig. 43 L. Tiškov, My ne dumali, čto u nego v golove celyj mir [Non pensavamo che nella sua testa ci fosse un mondo intero], china su carta, 1998

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azioni riguardanti la nascita, la morte, la sopravvivenza nel mondo insieme alle altre persone o nel vuoto deserto. D’jakonov menziona una certa somiglianza con le figure umane nei lavori di Salvador Dalì20, dimostrando nuovamente l’influenza della pittura surrealista. Tutti i personaggi appartenenti a questa mitologia (definibile anche Nižnij mir [Mondo di sotto]21) sono espressione di una relazione diretta con gli stadi più bassi della psiche umana, legati al subconscio22 e sembrano muoversi in un paesaggio o in un contesto surreale, nei quali non vi sono tracce delle leggi della logica, ma i fatti e le azioni avvengono sotto dettatura degli impulsi più incontrollabili e inspiegabili.