Il tema dell’innovazione ha preso vigore negli ultimi anni in considerazione di alcuni rilevanti fenomeni sociali ed economici, che possono essere indicati come ulteriori driver effettivi o potenziali non trascurabili. In particolare possono essere richiamati quelli connessi all’evoluzione tecnologica (tecnologie ICT), la nuova immigrazione ed i cambiamenti nei tempi di lavoro, così come l’introduzione dell’euro e la crisi finanziaria, recepiti dai retailer come altrettanti segnali di adeguamento o innovazione dei propri sistemi di offerta.
A titolo di esempio, basta osservare i dati sulla fruizione di internet da parte della popolazione (Fig. 1.13). Questo dato è in crescita in tutti i paesi; in particolare una ricerca recente47 evidenzia che ad aprile 2010 in Italia i navigatori sono 25,2 milioni
(un milione in più rispetto al mese precedente e 3,5 milioni in più rispetto ad aprile 2009, circa il 16% in aumento). Il tempo speso online in media è di 29 ore e 10 minuti nel mese (http://iab.blogosfere.it/2010/05/nielsen-la-fruizione-di-internet-in- italia-ad-aprile-2010.html).
Fig. 1.13 - La fruizione di internet in Italia ad Aprile 2010
Fonte Nielsen, 2010.
Il dato, in continua crescita, fornisce un segnale chiaro ed importante anche sulle future conseguenze sull’evoluzione del comportamento di acquisto, tale da orientare le strategie dei distributori al dettaglio. Il consumatore infatti ha un lasso di tempo sempre più limitato a disposizione e di conseguenza è ipotizzabile che, rispetto ad attività più gratificanti, tenderà a dedicare meno tempo alla spesa e a velocizzare gli acquisti. Questa tendenza contribuisce, come già accennato più sopra, a spiegare la recente crisi di alcune forme distributive più time consuming (in primo luogo gli ipermercati) ed il crescente successo di quelle più time saving (convenience store e discount).
Un altro rilevante fenomeno in atto che, secondo studiosi e operatori del settore, influenzerà il cambiamento nelle strategie della distribuzione è la polarizzazione della domanda nelle fasce estreme della scala prezzi.
Il consumatore si sta sempre più orientando ad acquistare prodotti nelle fasce di prezzo estreme, la c.d. fascia “premium” (prezzi più bassi) da un lato e quella “value” (prezzi più elevati) dall’altro, a scapito di quella intermedia (detta anche “mainstream”)48. Tale tendenza, registrabile in maniera netta da qualche anno, sembra prescindere dalla semplice capacità di spesa del singolo cliente, ma dipende da una più ampia serie di cause.
Nel recente passato il segmento premium (prezzo e qualità alta) era acquistato dalla clientela più abbiente, mentre le fasce più povere preferivano rivolgersi al mercato del discount (primi prezzi con qualità modesta). I prodotti intermedi erano acquistati dal ceto medio in relazione a loro rapporto qualità/prezzo. Negli ultimi anni si è assistito ad una polarizzazione della domanda sulla fasce premium e value. Il fenomeno ha interessato tutte le categorie del LCC49, tra cui anche prodotti con un valore esiguo come la pasta. Secondo Bain & Company (2006), il segmento
premium rappresenta in Italia (nel 2006) il 5% del mercato, mentre il segmento value rappresenta l’11% del mercato; i due segmenti estremi cresceranno nel
48
Bain & Company (2006).
49 LCC è l’acronimo di Largo Consumo Confezionato (drogheria, bibite, alimentare, reparto fresco,
prossimo futuro fino al 15% e al 30% rispettivamente, con la conseguenza che il segmento intermedio (mainstream) finirebbe per ridursi dall’attuale 84% al 55%.
Le imprese commerciali dovranno verificare continuamente questi trend di polarizzazione delle diverse categorie di prodotto al fine di non avere conseguenze negative sulla redditività dell’impresa a seguito di un ri-posizionamento eccessivamente sbilanciato verso le fasce di prezzo ai margini. In realtà, è ancora relativamente presto per modificare il posizionamento: da un lato il peso oggettivo
del segmento premium è ancora molto inferiore al segmento value e dall’altro certamente la contribuzione al profitto commerciale e industriale dei primi prezzi non riesce a superare quella del segmento intermedio (Lugli, 2005).
Sarebbero opportune a questo riguardo attente disamine delle ragioni alla base del nuovo rilevante fenomeno tendenziale, già oggetto di diverse interpretazioni su cui vale la pena soffermarsi brevemente.
La spiegazione meno convincente è quella di un progressivo impoverimento del ceto medio a fronte di un arricchimento di quello più abbiente, fenomeno che riguarda molti paesi industrializzati a prescindere dalle politiche redistributive della ricchezza implementate dai governi locali.
Un’altra ipotesi più convincente è invece collegata ad un diverso orientamento dello stesso ceto medio, che in alcune categorie sceglie un trading up e in altre categorie opta per un trading down.
Le ragioni del trading down sono molteplici. Alcuni consumatori desiderano risparmiare risorse economiche da impiegare per gli acquisti di categorie nuove e/o premium. Altri orientano i propri acquisti verso la fascia discount perché è stato definitivamente percepito un graduale incremento qualitativo dei primi prezzi, cosa che non si registra nei segmenti intermedi. Il trading down conduce pertanto allo rinnovato sviluppo del discount, formato distributivo che coniuga la convenienza di
prezzo con un servizio grandemente richiesto dal consumatore e specifico di questa tipologia di punti vendita: la velocità di spesa connessa al ridotto numero di referenze trattate (Lugli, 2007).
Per quanto riguarda invece la parallela polarizzazone verso la fascia alta (trading
acquisti dal segmento intermedio a quello premium a causa della riduzione progressiva del peso dei consumi grocery sulla spesa complessiva50 a vantaggio di nuovi consumi (culturali, tempo libero, vacanze, viaggi) e alla parallela preferenza a destinare tale quota alle merci più qualificate piuttosto che a quelle intermedie. In termini di effetti sull’innovazione di formula/formato, secondo uno studio condotto dalla Bain & Company (vedi fig. 1.14) e realizzato per INDICOD-ECR, le aziende commerciali dovranno reagire tempestivamente alle mutazioni del mercato al fine di non perdere quote di mercato. Alcune potranno introdurre nuovi formati distributivi (scelta specialistica) e rivolgersi ad uno specifico segmento di domanda (value o premium), altre potranno adattare l’offerta in modo da soddisfare tutti i segmenti di domanda51 (scelta generalista). Queste due tendenze opposte non sono al momento supportate da basi analitiche sufficientemente documentate a livello di ricerca, tanto da dare prevalenza all’una o all’altra, ma restano valide ipotesi alternative su cui le imprese dovranno necessariamente compiere delle scelte
Figura 1.14 – Polarizzazione della domanda: ipotesi di scenario a medio-lungo termine Oggi Domani Totale mercato 0% 20% 40% 60% 80% 100% Mainstream 84% Value 11% Premium 15% Mainstream 55% Premium 5% Value 30%
Fonte: Bain & Company, 2006 50
Secondo Eurostat, l’incidenza dei consumi grocery (FMCG) sul totale della spesa è diminuita in Europa dal 21% del 1994 al 18,5% del 2003. In Inghilterra, l’incidenza di cibo, bevande e tabacco, è passata dal 15,5% nel 1995 al 12,7% nel 2005.
Secondo U.S.Department of Agriculture, l’incidenza degli acquisti grocery sulla spesa annuale è calata negli Stati Uniti dal 16,9% del 1950 al 6,1% nel 2003.
51Ad esempio, Miroglio distribuisce il suo prodotto di moda attraverso negozi tradizionali