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3. Le teorie sull’innovazione

3.2 L’approccio evolutivo meccanicista

L’approccio evolutivo-meccanicista definisce la trasformazione di una formula distributiva al dettaglio come conseguenza di determinanti fattori influenzanti. Sebbene suggestive, ed utili per tentare riflessioni scientifiche, questo tipo di approcci è tuttavia oggetto di non poche critiche, sul piano della limitatezza della prospettiva di analisi, che si sintetizza con giudizi di eccessiva “superficialità” o “incompletezza”. Infatti, è difficile dimostrare (come tali contributi tendono a fare) che una o poche variabili possano condizionare l’evoluzione di un sistema altamente complesso come quello distributivo, ne è possibile dimostrare empiricamente ed in maniera soddisfacente le relazioni ipotizzate tra la causa (fattori condizionanti) e l’effetto (variazione della formula distributiva).

Per tali motivi, tali teorie sono state ampiamente criticate e i limiti evidenziati sono stati la base per l’elaborazione di studi più analitici. Se ne forniscono tuttavia in questa sede alcuni richiami di sintesi.

3.2.1 Teoria della “big disturbance”

E’ un derivato (Bliss, 960) di un’impostazione più generale fornita da J. Schumpeter nel proporre il modello “dinamico” dell’equilibrio economico, che ha nell’innovazione imprenditoriale uno dei suoi fondamenti. In tal senso, il sistema

distributivo subirebbe tensioni che sono generate dalla cosiddetta concorrenza innovativa32 che è il motivo esclusivo della evoluzione del contesto d’impresa. Secondo J. Schumpeter, l’introduzione di una nuova organizzazione provocherebbe una destabilizzazione del sistema (“big disturbance”), via via assorbita dal sistema stesso attraverso l’adozione e la diffusione dell’innovazione stessa, e dalla reazione delle imprese già presenti sul mercato. Le imprese commerciali concorrenti per evitare una “espulsione dal sistema” sarebbero costrette ad imitare l’innovazione e a lanciare una proposta commerciale soddisfacente per il consumatore. Il sistema

distributivo pian piano raggiungerà nuovamente il suo equilibrio che sarà caratterizzato da nuovi modelli organizzativi, nuovi sistemi di vendita ed una più efficiente gestione dei costi e dei ricavi.

La teoria della “big disturbance” (Bliss, 1960) ha di fatto spiegato alcuni importanti fenomeni innovativi che si sono verificati negli Stati Uniti d’America tra il 1930 e il 1955 e che sono poi stati ampiamente importati nei sistemi distributivi occidentali. L’avvento dei supermercati, dei grandi magazzini e della vendita per corrispondenza hanno sostituito i general stores33 e i punti vendita specializzati. In Italia, la teoria shumpeteriana potrebbe essere confermata dall’impatto in un certo senso “dirompente” (“big disturbance”) che i discount hanno avuto sul sistema distributivo nazionale alla fine degli anni ’80 (dopo un periodo di incerta gestazione) nei confronti della grande distribuzione consolidata (supermercati), che ha risposto con evidenti strategie di convergenza verso le politiche di convenienza adottate dalla nuova formula discount.

3.2.2 Teoria della ruota distributiva e sue varianti

I primi contributi specifici sul tema dell’innovazione di prodotto nel commercio risalgono al 1958 ad opera di M.P. McNair e Hollander (1960). La “teoria della Wheel of retailing”, formalizzata dai due autori nel 1960, ma lanciata da McNair

32Ogni qual volta si verifica un’attività concorrenziale il contesto distributivo è in evoluzione. La

concorrenza può essere generata dagli stessi punti vendita presenti sul mercato e appartenenti alla stessa tipologia o da una nuova organizzazione che entra nel mercato (concorrenza innovativa).

alcuni anni prima, nasce come tentativo di costruire un principio generale per governare l’evoluzione delle forme di vendita al dettaglio, e si fonda essenzialmente sui processi di innovazione e differenziazione basati sul mix prezzo- margini-servizio e sul concetto di “vuoto di offerta”.

Il processo innovativo deriva dall’introduzione di una nuova formula che deve soddisfare una richiesta di alternative inferiori di prezzo (vuoto di offerta) e offrire gli stessi prodotti distribuiti da formule consolidate (fase dell’introduzione). La nuova forma distributiva appare sul mercato sotto forma di discount con tecniche di vendita pressoché simili tanto che il nuovo prodotto commerciale è considerato omogeneo, ma si differenzia dalle formule preesistenti dal momento che è in grado di garantire un livello di prezzi accessibile reso possibile da ricarichi più modesti (a seguito di contrazione del livello di servizio e di economie di scopo e di scala). L’innovazione viene rapidamente imitata, poiché non è brevettabile e non richiede cospicui investimenti.

Finché la domanda non è satura, la formula innovativa attrae i consumatori (sottraendoli alla formule che adottano tecniche di vendita tradizionali) e accresce il fatturato grazie ai prezzi bassi.

La politica di prezzo aggressiva, tuttavia, non può essere conservata nel tempo. Infatti, l’aumento della rotazione degli stock dovuta al basso prezzo di vendita è fonte di redditività utilizzata per rendere più competitive le strutture fisiche e i servizi erogati alla clientela (trading up). Ne consegue un accrescimento dei costi di gestione e dei costi operativi e dei margini che si riflettono sui prezzi di vendita finali (Vedi Fig. 1.5). A questo punto (fase di maturità), la formula distributiva perde i connotati del discounter, la competizione di prezzo lascia spazio ad una

competizione non price34 (Goldman, 1975) ovvero una concorrenza basata sulla

differenziazione dell’offerta che si traduce in arricchimento del prodotto, innalzamento della qualità, ampliamento dell’assortimento.

La formula, perdendo il suo carattere di discounter, sarà costretta a lasciare spazio ad una nuova istituzione (per via del vuoto di offerta che si è creato) che entra sul mercato praticando un ricarico più basso rispetto a quello della formula precedente.

Il trading up35, ovvero l’abbandono di una politica di prezzo aggressiva e basata sull’impoverimento del prodotto (imposta dalla saturazione del mercato), continua finché nel mercato non si crea un nuovo vuoto d’offerta di dimensioni tali da attirare una nuova forma distributiva.

Tale ciclo si ripete all’infinito in modo da assicurare la permanenza potenziale di una rivalità di prezzo.

La lunghezza dei periodi per fare maturare la nuova formula distributiva non è sempre la stessa: essa dipende dal tempo necessario per realizzare e sviluppare una nuova idea in risposta alle trasformazioni operate sulla formula originaria.

Fig. 1.3 – La ruota del dettaglio

DETA - de Luca EGIC 34

The Wheel of Retailing

1. Fase di entrata

2. Fase di trading up 3. Fase di

debolezza

Nuova forma distributiva:

-servizio minimo - assortimento limitato - ambiente essenziale - politica di prezzo discount

-incremento livello servizio - ampliamento assortimento - migliori localizz. e ambienti di vendita - crescita del livello di prezzo - sistema distributivo caratterizzato da un servizio commerciale “pesante” a prezzi elevati Fonte: De Luca P., 2002.

Da alcune critiche mosse alla teoria è stata formulata una nuova elaborazione della stessa36 (Vedi fig. 1.4). Alcuni autori contestano la versione tradizionale della teoria

35La differenziazione dell’offerta commerciale attraverso un progressivo arricchimento del livello e

della qualità dei servizi offerti.

36

Nel corso degli anni sono state proposte alcune varianti della Wheel of retailing. Il primo contributo ad opera di E. Kaynak (1979) suppone che il margine è strettamente correlato con l’andamento macroeconomico. Le imprese commerciali lo determinano in funzione di esso. Il

secondo cui i ricarichi che si succedono nel corso del tempo avrebbero un andamento decrescente. Il nuovo orientamento ritiene viceversa che i margini praticati dalla nuova formula distributiva abbiano un andamento crescente e siano inferiori a quelli praticati da tutte le organizzazioni presenti sul mercato in quel periodo, ma non è detto che lo siano rispetto a quelli della formula precedente, soprattutto se si ipotizza un livello di prezzi inferiori relativo ad un'offerta qualitativa migliore.

La teoria è stata dimostrata parzialmente con l'introduzione del supermercato a scapito del grande magazzino o dell'ipermercato/discount a scapito del supermercato. In altri casi, la teoria non è stata confermata. Basti pensare a tutte quelle formule distributive innovative che si sono da subito collocate sul mercato con un posizionamento di prezzo alto (es. le vendite per corrispondenza, i centri commerciali e la distribuzione automatica).

miglioramento degli standard di vita ha come conseguenza l’immediato innalzamento del prezzo di vendita finale dell'assortimento dell'insegna che risulta accessibile solo dai segmenti di clientela ricchi. Pertanto, le nuove organizzazioni distributive si posizioneranno nelle fasce di reddito basso colmando il vuoto di offerta che si era automaticamente generato per via della situazione economica. Un secondo contributo elaborato da J. B. Jeffreys (1954) ipotizza che l’andamento dei margini crescente dipende dall’incidenza dei costi di ammodernamento necessari per rendere attrattiva la formula distributiva.

H. Levy (1947) e S. C. Hollander (1960) ritengono che l’accrescimento del ricarico dipenda dalla stanchezza degli imprenditori che dopo un periodo di tempo esauriscono la loro carica combattiva. Di carattere generale è l’ipotesi di A. C. R. Dresmann, il quale lega l’aumento del margine ad una serie di fattori che sono: l’incremento della qualità, i rischi crescenti che si presentano nel corso del tempo, la bassa produttività del settore distributivo rispetto ad altri settori come l’industria e l’agricoltura, che induce l’impresa a ricercare una migliore efficienza.

Di particolare interesse è l’interpretazione alla teoria della ruota distributiva suggerita da O. Main e E. Zaninotto (1989). I due autori associano la teoria della ruota del dettaglio a quella della differenziazione verticale.

Le strategie di differenziazione sono il principale modo, insieme alle strategie basate sul vantaggio di costo, attraverso il quale le imprese ottengono vantaggi competitivi. Si distingue tra differenziazione orizzontale, quando a parità di prezzi e di reddito i consumatori manifestano preferenze diverse per prodotti diversi, e differenziazione verticale, quando a parità di prezzi e di reddito tutti i consumatori esprimono la stessa scala di valutazione distinguendo tra prodotti di “qualità elevata” e prodotti di “qualità bassa”. Calando il modello nell’ambito della teoria della ruota del dettaglio, è possibile definire due varianti della stessa (Brown S., 1988, The Wheel of the Wheel of Retailing, in International Journal of Retailing, n. 3). La prima, lega l’evoluzione delle formule distributive ad una innovazione a livello di prodottoe/o di processo(differenziazione orizzontale) mentre la seconda all’offerta dei medesimi servizi a qualità superiore (differenziazione verticale). Alla differenziazione verticale consegue un processo di:

- trading up per via di una variazione di alcune variabili capaci di attirare la clientela;

- ingresso di nuove imprese che vanno a coprire i segmenti di clientela che richiedono un livello

Nonostante ci sia un miglioramento37 rispetto alla visione tradizionale, anche questo modello è stato ampiamente criticato per due ordini di ragioni:

- esclude la reazione delle istituzioni preesistenti che potrebbero imitare la nuova struttura o competere su altri fattori;

- non prende in considerazione i fattori ambientali (es. costo dei fattori produttivi, contesto socio-economico, domanda di servizi, etc.). L’innovazione del settore distributivo sembrerebbe quindi stimolata solo da un meccanismo interno all’offerta.

Fig. 1.4 – Processo evolutivo delle formule distributive al dettaglio

TEMPO RICARICO Periodo formula I Periodo formula II Periodo formula III a b c d f e A B C D passato futuro basso alto

Fonte: Gist R.R., Retailing: Concept and Decisions, John Wiley & Sons, New York, 1968 .Fig. 1.5 – Evoluzione delle formule distributive al dettaglio secondo il nuovo orientamento

37

Il miglioramento della teoria rispetto all’orientamento tradizionale è dovuto all’abbandono dell’ipotesi di creazione di un vuoto di offerta nella fascia bassa di prezzo. Il trading up produce un ampliamento della base clienti. Le aziende tendono ad acquisire altri segmenti di clientela e non a sostituirle.

TEMPO RICARICO Periodo formula I Periodo formula II Periodo formula III A B C D passato futuro basso alto Periodo formula IV Fonte: Gist R.R., Retailing: Concept and Decisions, John Wiley & Sons, New York, 1968.

3.2.3 Teoria della fisarmonica

Una successiva elaborazione del pensiero di Hollander viene rappresentata in letteratura con la “Teoria della Fisarmonica”, focalizzata più che sulle dinamiche di prezzo-servizio, sulla componente “assortimento” dell’impresa dettagliante.

In questa prospettiva Hollander afferma che per spiegare l’evoluzione delle forme distributive bisogna verificare le dimensioni e l’articolazione che assume l’assortimento. Egli ipotizzò che il sistema distributivo è caratterizzato da oscillazioni tra forme distributive che adottano assortimenti ampi e non specializzati e forme che offrono assortimenti poco ampi ma specializzati (Vedi fig.1.6). Questa alternanza tra formule è senza interruzione e non è pienamente dimostrabile. In realtà, da alcune analisi empiriche è risultata confermata l’ipotesi di alternanza. Negli Stati Uniti d’America i general store (offerta ampia e poco profonda)38 hanno lasciato spazio al grande magazzino (offerta poco ampia ma profonda) che a sua volta è stato “sostituito” dal centro commerciale.

38L’ampiezza identifica il numero di linee trattate, mentre la profondità si riferisce al numero di

In Italia, la teoria della fisarmonica è stata confermata parzialmente dall’introduzione del discount che ha sottratto parte della quota di mercato al supermercato39, modificando (pur se non per tutte le linee merceologiche) le

dimensioni in ampiezza e profondità degli assortimenti proposti.

Fig. 1.6 - Modello evolutivo della teoria della fisarmonica

Profondità

Ampiezza

alta media bassa

bassa media alta bassa media alta

39

I punti deboli di questa “teoria”, che più propriamente andrebbe definita come “ipotesi reorica” possono essere sinteticamente riferiti sia al fatto che essa presenta oggettivamente delle “falle” sul piano empirico, sia dall’assenza di una prospettiva interpretativa circa i fattori ed i processi causali.

3.2.4 Modello dialettico

Gli autori (Maronick e Walker) di questa teoria legano la crescita del sistema distributivo ad un concetto filosofico. Da due posizioni tra loro antitetiche (tesi ed

antitesi) possono discendere conseguenze (sintesi) che non appartengono propriamente né all’una né all’altra posizione di partenza. E’ la mediazione tra gli opposti che genera la sintesi, a sua volta, poi, destinata a porsi come caposaldo da discutere in quanto opponibile ad un ulteriore concetto antitetico che verrà a generarsi (Geymonat L. 1989). Secondo gli autori, i distributori presenti sul

mercato (tesi) imitano la strategia competitiva dei concorrenti (antitesi) che lanciano una innovazione. Una volta che la novità è stata acquisita da tutte le organizzazioni presenti sul mercato diviene stimolo per le imprese introdurre una nuova formula distributiva (sintesi) articolata in una differente offerta commerciale, un differente insieme di servizi, o un differente livello qualitativo percepito dal consumatore, etc.

La sintesi sarà a sua volta tesi per un’altra antitesi e cosi via.

In altre parole, le formule distributive mature presenti sul mercato si vedono minacciate dall’introduzione di una innovazione. Pertanto, al fine di evitare un sensibile calo delle vendite sono costrette ad comportarsi secondo due alternative che sono:

- la formula distributiva matura ignora il rischio che è stato generato dall’innovatore e modifica la sua politica distributiva (es. riduzione del prezzo) andando a soddisfare le richieste di una particolare nicchia di mercato. Ne consegua una nuova formula;

- la formula distributiva imita l’impresa commerciale innovatrice correggendo le sue caratteristiche principali. Ne risultano due nuove formule distributive.

La teoria del ciclo vitale40 ipotizza un ciclo di vita per le formule distributive simile

a quello teorizzato per il prodotto (Davidson, Bates, Bass, 1976). Ogni formula distributiva è destinata a perire nel corso degli anni, seguendo un percorso a più step: nascita, sviluppo, maturità e senescenza. Il ciclo è suddiviso nelle seguenti fasi (Vedi Fig. 1.7):

1. Nascita/innovazione: viene introdotta una nuova organizzazione di

vendita più efficiente dal punto di vista economico. Le risorse economiche così recuperate saranno investite per offrire un assortimento a prezzi ridotti rispetto ai concorrenti. In altri casi, l’innovazione può essere dovuto alla vendita di un diverso assortimento, da una diversa localizzazione o in generale da diversi servizi erogati.

Una volta lanciata l’idea innovativa, è possibile prevedere un forte incremento delle vendita dovute alla novità che i clienti si trovano di fronte, ma l’impresa commerciale difficilmente riuscirà a realizzare dei profitti41.

Fig. 1.7 – Ciclo di vita della formula al dettaglio

40

I limiti della teoria che è possibile verificare sono i seguenti: la durata di ogni fase non è prevedibile; non è stato possibile rilevare nello studio una netta distinzione tra variabili causali e indicatori del ciclo di vita, a distanza di anni, le formule distributive in declino posso ripercorrere una fase di crescita.

Quota di mercato e profitto tempo Quota di mercato profitto

innovazione crescita maturità declino

Fonte: Davidson W.R, Bates A.D., Bass S.J., The retail lyfe cycle, Harvard Business Review, 1976.

2. Crescita: è la fase in cui l’azienda commerciale vede crescere il proprio

bacino di clienti e i profitti aziendali fino a quando non è soggetta ad imitazione da parte dei concorrenti. I competitors sottraggono quota di mercato all’impresa leader cui ne consegue un rallentamento della crescita della redditività.

3. Maturità: il sistema distributivo ha assorbito completamente la novità,

pertanto l’azienda innovatrice non dispone più di un vantaggio competitivo. La redditività inizia a decrescere.

4. Declino: la formula distributiva per sopravvivere deve spostare il suo

posizionamento dal mass market al mercato di nicchia. Solo in questo modo avrà possibilità di recuperare in parte la redditività che si è via via ridotta.

Di seguito (Vedi Fig. 1.8) è riportata una efficace (anche se datata) rappresentazione grafica (Baccarani, 1989) del sistema distributivo utile a riportare in un quadro complessivo localizzato nel tempo le molteplici tipologie di vendita al dettaglio.

Fig. 1.8 – Il ciclo di vita delle moderne tipologie distributive

Quote di mercato

Declino o Rivitalizzazione Innovazione Crescita Maturità

Grandi superfici specilaizzate non-food Discount Centri commerciale Ipermercati Supermercati integrarati Alimentari specializzati di alta gamma Superette Esercizi alimentari di tipo familiare associato Esercizi non alimentari di tipo familiare Supermercati Grandi magazzini Esercizi alimentari di tipo familiare non associati despecializzati

Variety stores

Fonte: Baccarani C., Evoluzione dell’apparato distributivo e rapporti industria-distribuzione, Sinergie, n. 19, 1989.