Lo scenario distributivo negli ultimi anni è stato caratterizzato da un massiccio sviluppo delle formule distributive a libero servizio che sono in grado di adottare autonome strategie di marketing per influenzare il comportamento d'acquisto del consumatore finale all’interno del punto di vendita. Il punto vendita diventa il luogo
nel quale il cliente è più sensibile alle attività di comunicazione esplicita e implicita che in esso vengono condotte tanto dal distributore quanto dal produttore e, non meno importante, il luogo nel quale di fatto prendono forma e si definiscono le sue preferenze (Bitner, 1992; Simonson, 1999) e, quindi, le sue scelte di acquisto, specie se relative ai cosiddetti acquisti d’impulso (Pellegrini, 1991). Nei punti
vendita a libero servizio la vendita è “visiva”. La merce si vende da sé. E' la merce
stessa, la sua esposizione, gli strumenti espositivi che uniti a quelli di comunicazione consentono al consumatore di percepire, di valutare ed infine di scegliere il prodotto che si ritiene più idoneo a soddisfare le proprie esigenze
(Collesei, 1989). Il consumatore (in alcuni casi) ricerca un'offerta commerciale che gli consenta di vivere un’esperienza emozionale, che soddisfi anche il bisogno edonistico ed integri quello meramente funzionale. Per molti acquisti il
consumatore ricerca non solo un prodotto che sia idoneo a soddisfare le proprie esigenze ma, al contrario, anche un'atmosfera e un'ambientazione di vendita che gli consentano di reperire il prodotto facilmente e in modo adeguato (Collesei,
1999). L’atmosfera del punto vendita, creata attraverso il merchandising, suscita
nei consumatori delle emozioni specifiche che richiamano nella mente di questi ultimi emozioni legate al consumo dei beni proposti in assortimento aumentando la probabilità che vengano effettuati degli acquisti (Soscia, 2001).
Per tali motivi, le imprese commerciali hanno iniziato a fare marketing del e nel
punto vendita (Pellegrini, 1993; Berruti, 1992; Mouton, 1992) attraverso la
manovra delle leve del merchandising. Il merchandising92 è inteso come un insieme
di studi e di tecniche realizzati, separatamente o congiuntamente dai produttori e dai distributori, al fine di accrescere la rotazione dei prodotti e la redditività del punto di vendita mediante un adattamento permanente e dinamico dell’assortimento ai bisogni del mercato e un’appropriata presentazione delle merci (Collesei, 1989). Esso rappresenta l’insieme delle tecniche che consentono di proporre i prodotti che necessitano nel posto giusto, al momento giusto e a prezzo e qualità giusti per soddisfare i desideri dei clienti (Fady, Seret, 1992).
Il merchandising secondo la visione classica rappresenta una leva di breve periodo utilizzata per influenzare il comportamento di acquisto del consumatore all’interno del punto vendita al fine di spingerlo verso i prodotti ad acquisto d'impulso (ad elevata redditività) e massimizzare così la redditività complessiva; tuttavia il
consumatore deve essere lasciato libero di muoversi come desidera nel punto vendita, se questo contribuisce sensibilmente a rendere più gradevole la visita nel punto vendita e, quindi, a sviluppare la store loyalty (Pellegrini, 1993).
Per anni, gli studiosi hanno ritenuto che l'obiettivo del merchandising fosse esclusivamente quello di massimizzare la redditività attraverso la manovra dello spazio espositivo assegnato alle marche/prodotto, ma di recente si è affermata la consapevolezza che il merchandising è una dimensione non solo di breve periodo ma soprattutto di lungo periodo finalizzata a fidelizzare la clientela attraverso la soddisfazione del fabbisogno informativo e la semplificazione del processo d'acquisto.
L'importanza del merchandising è correlata alla forte incidenza degli acquisti d'impulso (Fornari, 1995) sulla redditività complessiva. I consumatori programmano la categoria da acquistare ma sono indecisi ad esempio sulla marca/prodotto, pertanto il merchandising svolge una funzione attiva nell'orientare
92
La valenza strategica del merchandising non passa solo attraverso una corretta gestione della quantità e qualità di spazio da allocare ai reparti/categorie, ma anche attraverso la classificazione delle categorie in base al principio di sostituibilità e complementarietà nella funzione d'uso. Una classificazione coerente all'organizzazione mentale dei bisogni del consumatore è in grado di svolgere una funzione informativa e di orientamento nel processo d'acquisto.
la domanda verso un prodotto più remunerativo93. Se vi fosse una programmazione
dell'acquisto a livello di famiglia, marca e referenza, il merchandising non potrebbe in alcun modo influenzare il comportamento d'acquisto. La crescente importanza
rivestita dagli acquisti d'impulso, da un lato, e l'ampliamento dei confini di programmazione degli acquisti, dall'altro, hanno così definitivamente assegnato al punto vendita un ruolo strategico nella creazione della domanda finale (Lugli,
2000).
Nel caso specifico dei settori non alimentari, e soprattutto nelle formule di vendita che integrano i vantaggi del libero servizio con la vendita assistita, il termine merchandising viene spesso sostituito con quello di visual merchandising94 proprio per stressare la cruciale importanza che in questi settori rivestono gli elementi di carattere estetico (Sabbadin, 1997). Alcuni studi hanno dimostrano che i soggetti possono riconoscere e ricordare gli stimoli visivi meglio di quelli verbali (Percy,
Woodside, 1990). Difatti, a parità di altre condizioni, la comunicazione visiva è un linguaggio più universale di quello verbale. Quanto detto equivale a riconoscere al
merchandising un notevole significato comunicazionale (Pellegrini, 1993;
Sabbadin, 1993; Lugli, 2002) e, inoltre, a sottolineare l’importanza di analizzare il
comportamento della domanda commerciale considerando non solo la figura del consumatore ma anche quella dell’acquirente intendendo il primo come compratore della merce ed il secondo come compratore dei servizi commerciali
(Vicari, 1980).
In estrema sintesi è possibile affermare che il merchandising o visual merchandising trasforma il ruolo del prodotto conferendogli una valenza attiva in un'ottica push (di spinta) verso il consumatore con il fine di ottimizzare la produttività del punto vendita e conseguire sia gli obiettivi del produttore sia quelli del distributore.
93Si veda la classificazione proposta da Pellegrini secondo cui gli acquisti possono essere
programmati a livello di famiglia, marca e referenza; programmati a livello di famiglia e d'impulso a livello di marca e referenza; d'impulso a livello di famiglia, marca e referenza.
94
Il visual merchandising identifica tutte quelle tecniche di comunicazione visiva che consentono di ottimizzare la redditività complessiva del punto vendita e, al contempo, massimizzare la soddisfazione complessiva della clientela (Pellegrini, 2000). Se prima tale leva supportava il
personale di vendita, attualmente è chiamato a compiere in modo autonomo un'azione completa di vendita.
Più nello specifico, gli obiettivi che il trade persegue attraverso il merchandising sono di:
- generare traffico all'interno del pdv;
- prolungare la permanenza media della clientela nel punto vendita;
- far percorrere l'intera superficie al consumatore al fine stimolare l'acquisto ad impulso;
- accrescere la rotazione degli stock di prodotti; - ottimizzare la redditività della superficie espositiva.
I principali obiettivi che il produttore invece prova ad ottenere dall'attività di merchandising sono:
− rinforzare il valore della marca;
− ottenere informazioni sul consumatore;
− implementare un'attività di comunicazione nel punto vendita;
− fornire al distributore un servizio.
Non meno importante è l’interesse che il produttore persegue, grazie alla realizzazione di attività di merchandising, nel garantire che i propri prodotti dispongano di un’adeguata visibilità quali-quantitativa all’interno del punto vendita, che lo spazio assegnato non sia tale da determinare rotture di stock, che il proprio portafoglio di prodotti sia adeguatamente rappresentato nell’assortimento del punto vendita e, infine, che sia possibile raccogliere informazioni sull’andamento delle vendite (Pellegrini, 1993).
Sono numerosi gli spazi di collaborazione95 che, anche nell’ambito dell’attività di merchandising, possono essere sfruttati dall’industria e dalla distribuzione per creare un offerta sistemica in grado di massimizzare il valore creato per il consumatore finale (Pellegrini, 1993; Bertozzi, 1993; Masson, Wellhoff, 2001,
Lugli, 2002). Basti pensare che il posizionamento della marca industriale e di conseguenza la sua immagine sono condizionate dalle politiche distributive
95
Spesso l'industria e la distribuzione hanno implementato forme di collaborazioni che vanno dalla condivisione dei loro patrimoni informativi, alla gestione delle leve del merchandising, ecc.
implementate dalle imprese commerciali e dal tipo di punto vendita in cui vengono commercializzate. Dall'altro punto di vista, il trade trasmette al consumatore un posizionamento in base alle caratteristiche dei prodotti commercializzati. Da
quanto detto è facile intuire, ad esempio, che l’industria non può impostare le proprie iniziative di merchandising prescindendo dal posizionamento del punto vendita dovendo, al contrario, coordinarle e renderle coerenti con le iniziative di varia natura che il distributore realizza per impostare le proprie politiche di assortimento e, quindi, le proprie strategie di immagine e di posizionamento
(Casarin, 1996). Dunque il merchandising non può considerarsi un'attività di pertinenza esclusiva dell’industria o della distribuzione, ma come forma di collaborazione volta (nel rispetto degli obiettivi di entrambi i partner) a rendere efficienza il canale inteso come sistema verticale di marketing.