• Non ci sono risultati.

3. Le teorie sull’innovazione

3.5 Un modello di sintesi

Un interessante contributo interpretativo di sintesi recentemente sviluppato parte dall’analisi di Lugli, osservando che questa, pur giungendo ad individuare due livelli dell’innovazione distinti, quella primaria e quella secondaria, non prende in considerazione una vasta area (altrettanto importante) spesso utilizzata dai retailer per rafforzare l’impatto competitivo in chiave innovativa.

Il modello (Vedi Fig. 1.11) propone una classificazione dell’innovazione commerciale, distinguendola in (Castaldo, 1995):

• primaria;

• secondaria;

• terziaria.

Le tre tipologie si differenziano in relazione al grado di innovazione e alla quantità di variabili strategiche che è possibile modificare per produrre l’innovazione. Gli effetti a livello organizzativo saranno sostanzialmente correlati al tipo di innovazione. L’innovazione primaria e secondaria consentono di sviluppare un nuovo “prodotto commerciale” (riferibile al concetto di formula o format) che impatta sulle caratteristiche strutturali del punto vendita (ubicazione, superficie, orari di apertura e chiusura, layout e display, ecc.) e sull’articolazione dell’offerta (ampiezza e profondità). L’innovazione terziaria ha l’obiettivo di differenziare il punto vendita dalle altre insegne attraverso la manovra delle leve del retailing mix. Non modifica le caratteristiche strutturali né della formula né del formato.

L’innovazione primaria è dunque un processo attraverso cui un’impresa commerciale attiva nuovi servizi non presenti nelle forme distributive preesistenti dando vita ad una nuova formula (spesso denominata con qualche ambiguità dagli operatori del retail e da alcuni studiosi “canale”).

Le variabili (parametri) su cui si fonda un nuovo format distributivo sono essenzialmente tre (visione tradizionale):

• assetto strutturale e meccanismi competitivi;

• leve del retailing-mix (assortimento, promozioni, merchandising, comunicazione, ecc.)

• posizionamento di prezzo/servizio rispetto alle formule già presenti sul mercato.

Andando a ritroso nel tempo è possibile esemplificare ripetutamente questa tipologia di innovazione. L’avvento dei supermercati, degli ipermercati, dei discount, ad esempio, è stato prodotto da una innovazione primaria, il cui riflesso è stato avvertito a livello di assetto strutturale del mercato, sia in termini di modello del punto vendita, sia di mix assortimentale, sia di posizionamento di prezzo. L’innovazione secondaria può essere definita come l’introduzione sul mercato di una formula distributiva che combina i servizi offerti da formule distributive preesistenti, agendo solo su alcuni dei parametri chiave (prevalentemente quello assortimentale) senza alterare il core business dell’azienda. A titolo di esempio, il supermercato che amplia l’assortimento di un reparto già esistente sta attivando una innovazione secondaria dal momento che si agisce solo sulla leva assortimentale e non già sul mix strutturale della formula (ubicazione, dimensione, servizi personali, lay out).

L’innovazione secondaria viene quindi determinata attraverso la manovra delle dimensioni dell’assortimento (ampiezza e profondità), e solo indirettamente e parzialmente di alcuni parametri strutturali (layout merceologico e delle attrezzature, display, numero di addetti, ecc.).

I retailer così facendo differenziano il pdv rispetto ai competitors e spingono il cliente (o ad un target di clienti che ha particolari necessità) a percepire l’offerta commerciale diversa rispetto al canale originario. Si pensi a riguardo ai punti

vendita che introducono prodotti biologici, piatti pronti, prodotti tipici, o ecologici che riflettono l’impegno dell’insegna a soddisfare specifici bisogni/valori dei consumatori (es. time saving, qualità, salute, tutela dell’ambiente)45.

L’innovazione terziaria46 si avvale di strumenti che in realtà non impattano sul punto vendita ma piuttosto sul più vasto concetto di “insegna”. La marca insegna rappresenta l’idea che il consumatore si forma nella mente in seguito all’esperienza d’acquisto e in quanto promessa al cliente, rimane costante nel tempo (Lugli, 1998).

L’innovazione terziaria può essere applicata a livello di singolo punto vendita o estesa a tutti i punti vendita della catena commerciale. Un esempio in tal senso può essere rappresentato, soprattutto nel settore della moda e prodotti di lusso, dai flagship store. Questi sono ideati per comunicare in maniera forte (“sopra le righe”) l’immagine ed i valori dell’insegna e dei marchi a loro volta associati ad un particolare stile di vita al fine di guidare il visitatore alla scoperta dei valori e delle ragioni che dovrebbero indurlo a scegliere il marchio esposto nel punto vendita piuttosto che quelli della concorrenza.

Il flagship store è studiato in ogni singola caratteristica al fine di sottoporre il consumatore a stimoli multisensiorali (luci, suoni, colori, odori) e di evocare emozioni positive indelebili nella sua mente. I prodotti vengono esposti singolarmente in spazi creati ad hoc (quasi come opere d’arte ad una mostra), mentre lo stock è ridimensionato per evitare di intaccare l’identità di ogni singolo articolo.

Dall’altro canto, l’innovazione terziaria può essere replicata su tutti i punti di vendita. Così, ad esempio, la categoria dei prodotti etnici o dei piatti pronti potrebbe essere inserita nell’offerta di una intera catena commerciale.

Le tipologie di innovazioni definite sopra sono facilmente confondibili tra loro perché si basano su elementi che non le identificano in modo esclusivo. Il confine

tra le tre innovazioni è spesso labile (Cardinali, 2009). In particolare, una

45 In tal senso, i punti vendita non sono percepiti come dei semplici luoghi di acquisto ma come dei

veri e propri meeting point per coloro che condividono un comune sistema di valori (Cardinali, 2009).

46L’innovazione terziaria presuppone l'introduzione di servizi ex-novo. La differenziazione

innovazione terziaria può assumere tutte e tre le definizioni in funzione del contenuto innovativo. Ad esempio, alcune catene grocery hanno inserito nella loro offerta commerciale la categoria dei piatti pronti per far fronte alle esigenze degli impiegati di risparmiare tempo. Questa innovazione è di natura terziaria, ma può essere facilmente trasformata in innovazione secondaria nel caso in cui l’azienda ampli la categoria dei piatti pronti già distribuita, o addirittura in innovazione primaria nel caso in cui i piatti pronti possano essere consumati all’interno di aree create ad hoc (componente strutturale). In quest’ultimo caso, si origina una nuova formula di vendita con caratteristiche organizzative, logistiche e strutturali differenti dai canali preesistenti sul mercato.

In conclusione, nella fig. 1.11 sono rappresentate le principali variabili ritenute alla base delle diverse tipologie di innovazione sopra definite. In sintesi, seguendo la proposta concettuale del Lugli, manovrando gli indicatori di struttura e di assortimento, è possibile generare una innovazione radicale di natura primaria o secondaria, dando luogo ad una formula nuova o perché in assoluto non presente sul mercato (innovazione primaria) o perché risultante dalla diversa combinazione di servizi già offerti sul mercato da formule preesistenti (innovazione secondaria). D’altro canto i parametri dell’“in store marketing” possono essere gestiti per determinare una innovazione terziaria o incrementale che non impatta sulle caratteristiche strutturali della formula corrente.

Fonte: Cardinali M.G., Shopper Marketing, 2009. *************

La disamina delle numerose proposte interpretative fornite dalla letteratura manageriale in tema di innovazione commerciale e trattate in breve nelle pagine precedenti, viene sintetizzata nella tabella riassuntiva (Fig. 1.12).

Filone di studi Periodo Teoria

Schumpeter Anni trenta Teoria della big disturbance. L’innovazione è prodotta dalla concorrenza innovativa

Mc Nair, Hollander Anni sessanta Wheel of retailing.

L’innovazione per soddisfare alternative inferiori di prezzo

S.C. Hollander Anni sessanta Teoria della fisarmonica.

L’innovazione è in funzione dell’assortimento Bliss. P. Anni sessanta Teoria degli spazi limitati.

L’innovazione come evoluzione del comportamento del consumatore

Copeland M.T., Bucklin P.L., Gist R.R.

Anni sessanta-settanta Approccio descrittivo (diverse teorie)

Allvine F.C. Anni sessanta Teoria delle dinamiche delle attese.

L’innovazione come variazioni delle preferenze dei consumatori (assortimento e prezzo)

Davidson W.R., Bates A.D., Bass S.J.

Anni settanta Modello del ciclo vitale. La teoria ipotizza un ciclo vitale per le formule distributive

Spranzi, Lugli Fine anni settanta ed inizi ottanta

Revisione della Wheel of retailing. L’innovazione è influenzata dalle variabili ambientali e può essere primaria o secondaria

Filsner M. Anni novanta Teoria dell’effetto sinergico di variabili ambientali ed interne. L’innovazione come soddisfazione delle attese dei clienti.

Lugli Anni novanta Il modello della catena del valore distributivo. L’innovazione si genera agendo sul contenuto, il contesto e l’infrastruttura

Castaldo Anni novanta La visione di marketing. L’innovazione può assumere una dimensione strategica, operativa e trasversale Dupuis Anni duemila Il modello di architettura dell’innovazione.

L’innovazione può essere di concetto, di flusso, organizzativa e di relazione

Pine & Gilmore Anni duemila Il modello esperienziale.

L’innovazione viene generata da ogni fattore che produce un’esperienza memorabile