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ALCUNI ELEMENTI FILMICI DA TENERE IN CONSIDERAZIONE

Adesso si cercherà di definire teoricamente alcuni elementi filmici. L‟idea di fondo è che questo lavoro preliminare risulterà utile a inquadrare meglio la disamina empirica che di volta in volta, nel corso del capitolo sull‟analisi filmica, verrà effettuata sui singoli testi. Partendo da considerazioni sul linguaggio cinematografico, si cercherà di riadattare alcune nozioni critico-estetiche alle necessità di uno studio storico-sociologico sul cinema. In particolare verranno presi in considerazione, in maniera breve e alquanto schematica, l‟immagine filmica, il sonoro, il montaggio e i generi cinematografici. Molte problematiche legate a queste componenti testuali rimarranno comunque fuori dalla nostra linea d‟azione, proprio perchè ci

si è prefisso lo scopo di limitarsi ad offrire qualche spunto interessante su cui approfondire lo studio pratico dei film oggetti d‟indagine.

L’immagine filmica

L‟immagine filmica è il risultato di un complesso di meccanismi manipolativi, determinati da esigenze pratiche, produttive, narrative, estetiche, ideologiche, storiche e meta- cinematografiche, ma esibisce, sia nelle sue declinazioni fantastiche che in quelle più realistiche, sempre un effetto di realtà. Pur consapevoli dell‟essenza fittizia dell‟universo filmico, separato da qualsiasi esperienza fisica e corporea, gli spettatori attribuiscono alle immagini in movimento un qualche valore di realtà:

Certo, l‟immagine sullo schermo è priva di corpo, un mero simulacro composto di luce e di ombra; eppure lo spettatore è indotto ad attribuirle un qualche valore di realtà, come se nulla la distinguesse dai corpi, dai gesti, dagli oggetti che la macchina da presa ha registrato dal vivo, in un passato più o meno lontano. Questa impressione di realtà non si verifica solo di fronte a un film documentario o a un cinegiornale: anche nei film di fiction, l‟immagine sembra riprodurre pur sempre la corporeità e la fisicità originaria dell‟oggetto rappresentato. In un gran numero di film tutto ciò che potrebbe ricordare l‟artificio della produzione, i complessi macchinari, il montaggio, viene dimenticato a favore dell‟apparente neutralità e naturalezza della rappresentazione. Lo spettatore ha una tendenza innegabile «a percepire come reale il rappresentato e non il rappresentante [...]»120.

Questa potenza mimetica dell‟immagine cinematografica, il suo essere copia perfetta dell‟esistente, ha influenzato, come si è già detto, buona parte della riflessione teorica sul cinema. A questa caratteristica se ne affianca una seconda: la potenza simbolica e mitica, tipica della realtà onirica. Il cinema, dunque, esprime una “realtà” tanto interiore quanto esteriore dell‟essere, tanto soggettiva quanto oggettiva, in cui mondo psichico e mondo fisico si compenetrano a vicenda121. La macchina cinematografa, insomma, vanta un duplice potere costituito da capacità realistiche e da abilità fantastiche. Nell‟immagine filmica, reale e immaginario si fondono reciprocamente.

Già Kracauer aveva messo in evidenza questa caratteristica dell‟immagine, riconoscendone, accanto alle possibilità riproduttive della sua base fotografica, la perizia nel rilevare strati di senso precedentemente invisibili:

Qualsiasi primissimo piano rivela nuove e insospettate formazioni della materia: la struttura della pelle fa pensare a fotografie prese dall‟aereo, gli occhi si trasformano in laghi o crateri di vulcano. Queste immagini sfondano il nostro ambiente in un duplice senso: lo ampliano letteralmente; e così facendo, abbattono la prigione della realtà convenzionale, aprendo dinanzi a noi distese ignorate che avevamo prima potuto esplorare tutt‟al più nei nostri sogni122.

Questa consapevolezza viene ripresa da Roland Barthes a proposito dell‟immagine fotografica, ma per analogia possiamo estendere il discorso anche a quella cinematografica. Secondo l‟intellettuale francese, l‟immagine può ridursi ad un semplice studium, limitandosi a fornire la riproduzione dei fatti, ma può anche essere un punctum, in grado cioè di trascendere il significato documentario e instaurare relazioni simboliche tra i vari elementi123.

L‟immagine coglie un evento nel suo divenire, capta ciò che è già noto alla coscienza e ciò che ancora è inconsapevole, e in questo modo diviene simbolica. Nel cinema ogni oggetto scopico può acquisire un valore ideale (simbolico) fondamentale per la sua attribuzione di senso e per la sua funzione all‟interno della storia narrata. Dunque, l‟immagine cinematografica svolge sia una funzione informativa e riproduttiva, fornisce nozioni sulla

120 M. Pezzella, Estetica del cinema, cit., pp. 41-42.

121 P. P. Pasolini, Empirismo eretico, Garzanti, Milano, 1972. 122 S. Kracauer, Film: ritorno alla realtà fisica, cit., p. 56. 123 R. Barthes, La camera chiara, Einaudi, Torino, 1980.

trama e sui personaggi e riproduce alcuni spicchi di reale, sia una funzione simbolica che, grazie alla sua maggiore profondità fisiologica ed emozionale, ci aiuta a definire in maniera puntuale il senso del messaggio filmico e il suo contenuto di verità:

Al tempo stesso, il mezzo cinematografico e i media che ne sono nati, dal cinema alla televisione al video digitale, inseriscono gli oggetti, o meglio la loro immagine, nei racconti dove figurano alla pari con i personaggi umani, permettendo loro di acquisire di volta in volta connotazioni nuove legate alle storie raccontate dai o dagli sceneggiati, o alle micronarrazioni, elementari ma ossessivamente ripetute, dagli spot pubblicitari. La pentola del cinema non dorme allo stesso modo di quella raccontata da Grazia Deledda, perchè non partecipa a quell‟universo magico; ma può vivere, agire, farsi in qualche momento protagonista anch‟essa per la diversa «magia» insita nella tecnica che la riprende. Può assumere significati di volta in volta diversi, ma in tutti i casi ciò che vediamo è una pentola, una realtà fisica che si arricchisce di valori simbolici124.

L‟immagine cinematografica, allora, ci fa vedere il mondo come se fosse la prima volta, presenta uno sguardo assoluto sull‟esistente, ma nello stesso tempo ha un valore di “segno”, ci consegna la piena e totale leggibilità della realtà e crea sempre nuovi significati. In questo modo il cinema, grazie alla sua potente energia figurale, diviene un “barometro” per misurare l‟universo simbolico di una società.

Su questo duplice aspetto delle immagini in movimento l‟analisi filmica cercherà di soffermarsi.

Il sonoro

Il sonoro del film ( la voce, i rumori di fondo e la musica) - in qualsiasi collocazione si trovi:

in, cioè un suono diegetico esteriore, la cui fonte è inquadrata; off, ovvero un suono diegetico

esteriore, la cui fonte non è inquadrata; over, un suono diegetico interiore, in o off che sia, e il suono extradiegetico, compresa la colonna sonora - ha un ruolo fondamentale per l‟architettura narrativa e visiva del film e per l‟interpretazione del testo da parte del ricercatore.

Per molto tempo si è pensato all‟acustica del film come un veicolo d‟informazione che completa l‟immagine, ossia una pura appendice dell‟informazione visiva. Il suono, però, non si limita ad una mera funzione d‟accompagnamento, ma svolge un ruolo importante di ancoraggio e stabilizzazione, sia a livello concreto che a livello metaforico, dell‟immagine visiva. In altre parole, il contrappunto sonoro non è una semplice decorazione dell‟immagine e della narrazione filmica, ma è essenziale per l‟attribuzione di significati sul piano visivo, emotivo e narrativo. Il sonoro, allora, contribuisce alla costruzione dei contenuti del testo filmico e, sempre più spesso, risulta fondamentale per marcare il senso dei vari oggetti scopici. La relazione gerarchica, tipica del cinema classico, fra immagine e suono, dove il secondo è subordinato alla prima, non trova più alcuna validità.

Le innovazioni della tecnologia sonora (Dolby Surround, THX, Sound Design), inoltre, hanno ristrutturato l‟esperienza cinematografica e hanno sovvertito l‟originaria superiorità dell‟immagine sul suono. Lo spettatore è oggi sempre più coinvolto in un‟esperienza cinematografica avvolgente, quasi tattile, che fa del suono e dell‟immagine due elementi ugualmente essenziali della stessa esperienza. Lo spazio cinematografico si allarga grazie ad un nuovo spazio acustico multi-livello e multi-direzionale che incrementa la nostra sensazione di partecipazione allo spettacolo filmico:

Lo stesso dicasi per il sistema Dolby Surround nei cinema: indipendentemente da dove sediamo e da quale angolazione guardiamo lo schermo, il suono, combinato al nostro senso acustico, dà a noi spettatori l‟impressione di trovarci al centro. A questa sensazione contribuisce quindi la già menzionata materialità dell‟acustica: il suono agisce sul suo necessario veicolo (l‟aria) allo scopo di

propagarsi, così acquistando un corpo e una presenza. Quando sono coinvolti suoni gravi e profondi, sentiamo la pressione dell‟aria sulla pelle, proprio come accade con i piatti a pedale (i cosiddetti

charleston) che danno ritmo alle percussioni. Il senso di centralità deriva dal fatto che siamo circondati

dal suono e c‟illudiamo di esservi immersi «dentro»125.

Il suono e l‟immagine ancorano il film alla realtà. Entrambi gli elementi sono reciprocamente indispensabili, oltre che in certa misura intercambiabili, e partecipano contemporaneamente alla creazione di significati e all‟attribuzione di senso da parte della pellicola. Il suono ci consente un migliore ingresso nella storia raccontata dal film e centra, cioè rende più precisa e puntuale, la nostra visione.

Anche questa partecipazione del sonoro alla costruzione dei significati filmici sarà presa in considerazione durante l‟analisi dei testi filmici.

Il montaggio

Il montaggio è la concatenazione in un tutto organico delle varie scene e sequenze girate in un film, effettuato da tecnici specializzati in base alle scelte operate solitamente dal regista, anche se storicamente molte altre figure professionali, si pensi ad esempio al produttore, sono intervenute. In altre parole, il montaggio è la messa in fila di più inquadrature che da sole non dicono niente, ma insieme comunicano un senso. Esso può svolgere:

- una funzione narrativa, finalizzata a raccontare una storia, che molto deve alla lezione di David Wark Griffith sul montaggio alternato per incrementare la suspense e allo sviluppo, fin dagli inizi della storia del cinema, di forme di montaggio contiguo e analitico;

- una funzione descrittiva, diretta appunto a descrivere i paesaggi o le situazioni del film; - una funzione concettuale, che trova nelle speculazioni di Ejzenštejn sul montaggio delle attrazioni, indirizzato ad incrementare la partecipazione emotiva dello spettatore la sua originaria concettualizzazione;

- una funzione ritmico-formale, molto usata dalle avanguardie degli anni Venti e Trenta, in cui il raccordo tra le singole inquadrature avviene sulla base di rapporti spaziali di linee, curve, colori, volumi e superfici.

I tipi di montaggio continui e invisibili, ossia mirati a dare allo spettatore un‟illusione di realtà riducendo al minimo la presenza della macchina da presa, sono stati sviluppati soprattutto nel cinema classico americano, mentre le forme maggiormente discontinue, come quello concettuale e quello ritmico-formale, si sono evoluti prevalentemente all‟interno delle avanguardie europee degli inizi del Novecento, nel cinema moderno e in buona parte dell‟attuale cinema postmoderno.

Queste brevi considerazioni sulla storia e le funzioni del montaggio, sono di carattere generale e non vantano alcuna pretesa di esaustività. Quello che qui interessa non è tanto una disamina dei vari tipi di montaggio e del loro utilizzo nelle varie fasi della storia del cinema, ma è delineare un‟interpretazione teorica generale di questa tecnica che ci permetta, quando ce ne sarà bisogno, di fare alcune considerazioni sui singoli film e sui loro processi di attribuzione di senso.

Collegando sequenze distanti tra loro, il montaggio ci permette di interpretare il film, sia sul piano narrativo e continuo, sia su quello simbolico e metaforico. Considerando la connessione tra le singole inquadrature all‟interno di un qualsiasi testo filmico, il ricercatore può, al di là di considerazioni precipue sul linguaggio cinematografico, comprendere meglio il significato generale del film e quello particolare delle sue componenti. In questo modo è possibile raggiungere un eventuale significato erratico del film, inafferrabile attraverso la sola analisi delle singole sequenze.

L‟opera di montaggio - qualunque sia la sua idea costitutiva - frammenta tutto il materiale a disposizione della rappresentazione e poi lo dispone in nuove relazioni, seguendo la sua

intenzione costitutiva. In questo processo dialettico, secondo Ejzenštejn, le varie componenti filmiche rinascono a nuova vita, in una dimensione qualitativa superiore. Allora, il montaggio fa emergere un gesto simbolico in cui idea ed espressione mimetica si compenetrano nella loro differenza, ovvero seleziona e compone gli elementi filmici , il materiale grezzo a disposizione, per creare una rappresentazione sul piano estetico e contenutistico significativa, al di là di quello che viene mostrato dalla singola immagine.

Sarà anche questo un obiettivo dell‟analisi filmica: cercare di rilevare come le varie inquadrature vengono articolate e disposte tra di loro, secondo una sensibilità dialettica, per evidenziare i significati e le interpretazioni che il testo filmico intende proporre.

I generi cinematografici

Secondo la pragmatica culturale di Rick Altman i generi cinematografici non sono mai metastorici, cioè indipendenti da processi contingenti, né esercitano funzioni sociali statiche. Essi, al contrario, sono il risultato di determinazioni storico-sociali locali, ovvero vengono definiti in base alla specifica cultura della comunità sociale di riferimento.

Lo studioso americano spiega la genesi dei generi attraverso una teoria di tipo negoziale, in cui sono coinvolti tre attori sociali: la produzione e la distribuzione; il pubblico; la teoria e la critica cinematografica. I tre soggetti, che condividono uno spazio culturale comune, hanno meccanismi definitori precipui e si scambiano, su basi simultanee e paritarie, le loro considerazioni:

- la produzione attua dei processi di “generificazione”, ovvero realizza una serializzazione in cicli di film di alcune formule di successo che gradualmente assumono la stabilità del genere. Questa stabilizzazione rimane comunque precaria, in quanto il genere darà vita ad un nuovo ciclo che a sua volta si assesterà, in una dinamica sempre fluida;

- il pubblico crea e mette in opera meccanismi di riconoscimento dei generi, adatti agli usi che intende fare dei testi. Si creeranno così delle virtuali comunità di genere in cui, grazie ad una forma di comunicazione “laterale” tra gli spettatori, si articoleranno e disarticoleranno i caratteri del genere;

- la critica, a sua volta, porrà in essere un‟attività di “rigenerificazione”, cioè rileggerà i generi del passato in base a nuove categorie e, di conseguenza, riformulerà la memoria sociale dei generi cinematografici.

Dunque, non esiste un unico sistema di generi, ma un complesso molteplice di criteri definitori, capace anche di definire un singolo film entro diverse categorie di genere. Inoltre, questi ricorrenti e molteplici processi determinano un continuo mutamento del genere cinematografico, che evolverà sempre attraverso processi di contaminazione.

I generi cinematografici, insomma, non si presentano mai come forme pure, isolate e immutabili, ma nascono da un continuo processo di ibridazione:

Svincolato dai limiti della carne, il processo di creazione dei generi ci offre non un unico grafico sincronico, ma una serie sempre incompleta di mappe di genere sovrapposte. Ogni volta che i nostri occhi si concentrano sulla mappa, vedono apparire proprio in quello stesso spazio una mappa nuova, al momento in via di definizione. La mappa non potrà mai essere completata, perché non è un resoconto del passato, bensì di una geografia vivente, di un processo in corso126.

Ogni film, dunque, non appartiene ad un‟unica categoria e presenta sempre elementi semantici e sintattici127 ascrivibili a diversi generi cinematografici. È utile anche ricordare che la terminologia di genere non è universalmente valida, ma cambia in relazione ai soggetti che la utilizzano. Per questi motivi, non possiamo accettare classificazioni rigide dei prodotti filmici. Va precisato pure che i generi cinematografici non sono a-temporali, cioè slegati dal processo storico, ma si presentano vincolati al suo mutamento e, di conseguenza, si iscrivono

126 R. Altman, Film/Genere, cit., p. 103.

nelle contingenze del mondo. Ogni genere cinematografico, allora, muta lungo la storia del cinema - grazie anche all‟ibridazione con altri generi già esistenti e con quelli emergenti che di volta in volta si vanno affermando - è riesce a testimoniare la variazione delle caratteristiche sociali: mai identiche a sé stesse, ma sempre diverse a seconda del contesto socio-culturale di riferimento e del momento storico.

Tutto il discorso di Altman si riferisce al sistema hollywoodiano dei generi cinematografici, ma, in molte dinamiche, può essere applicato anche ad altri contesti nazionali. Considerando l‟ambiguità dei generi e la loro duplice funzione ideologica e rituale (descritta nel precedente paragrafo sull‟industria cinematografica e il sistema dei media), il loro carattere storico- sociale (produttivo di continui mutamenti delle categorie testuali) e il successo internazionale di alcune architetture di genere (che porta diverse cinematografie nazionali a confrontarsi anche con strutture testuali provenienti dall‟estero, soprattutto dagli Stati Uniti), si cercherà nel corso del processo di analisi di evidenziare, dove sarà possibile, eventuali trasformazioni dei generi più marcatamente italiani e possibili ibridazioni con generi stranieri. Inoltre, ci si sforzerà di sottolineare la capacità di alcuni generi cinematografici di evidenziare specifiche problematiche sociali.

1.8 IL POSTO DELLO SPETTATORE

Si è già discusso ampiamente della funzione di agente sociale del cinema, ovvero di come il medium cinematografico interviene nel processo di costruzione della realtà sociale. Ma è l‟attore sociale che sulla base della propria percezione del mondo, su cui il cinema opera, agisce concretamente nella realtà.

Tocca ora andare ad indagare proprio cosa lo spettatore trova nel prodotto filmico, tanto da esserne influenzato nella sua “vita quotidiana”, ovvero cosa il cinema offre all‟attore sociale, quali possibilità di “crescita” è in grado di donare.

Dunque, al cinema la realtà letteralmente rinasce, fino a catturarci, includendoci nel suo stesso mondo. Attraverso la macchina cinematografica, noi andiamo verso il cuore delle cose, le scopriamo nella loro esistenza. Ma, al contempo, ci ritroviamo al centro dello spettacolo, oggetti del nostro stesso sguardo. Ci percepiamo come noi stessi e insieme come altro da noi. In altre parole, lo spettatore scruta, nel prodotto filmico, il mondo circostante e sé stesso. Osservandosi dall‟esterno, è in grado di vedersi nella sua interezza, di cogliere pregi e difetti e di valutarsi. In questo senso, il cinema ha una funzione identitaria: permette all‟individuo di prendere coscienza di ciò che è, ed eventualmente di correggersi dove è deficitario. Possiamo, quindi, sostenere che il cinema è una vero e proprio agente della socializzazione: trasmette idee, valori, principi e significati sociali e, nello stesso tempo, concede allo spettatore la possibilità di ottenere un parametro attraverso cui guardarsi attentamente, entrando, finalmente, in contatto reale con se stesso:

Chi è di fronte allo schermo tende ad aderire a ciò a cui sta assistendo; si proietta e insieme si identifica nella realtà raffigurata; la sente vivere e si sente di viverla; ma nel momento stesso in cui si realizza questa intimità, ecco che si trova sospeso tra mondi diversi, quello da cui guarda e quello che è guardato; dunque rischia di non saper più bene quale sia la sua collocazione; anzi, di non saper più bene quale sia la sua identità [...]. Tra osservatore e osservato. Al posto di una contrapposizione tra i due poli, emerge infatti una reciproca interdipendenza: l‟osservatore partecipa al destino dell‟osservato, si muove sul suo stesso terreno, nel medesimo campo di forze; ma intrecciando la sua esistenza con l‟oggetto del suo sguardo finisce anche con il perdere la sua posizione di vantaggio, fino a confondersi con quanto ha di fronte [...]. L‟elemento decisivo è il senso di contatto che lo spettatore ha con quanto appare sullo schermo: un contatto quasi fisico, che si trasforma subito in vicinanza morale. In particolare questa illusione di un contatto personale con i personaggi è ciò che consente di sentirsi partecipi della vicenda raccontata. Secondo le leggi della psicologia, noi proiettiamo noi stessi nei personaggi sullo schermo. Così ogni spettatore può vivere per procura le esperienze e le emozioni del personaggio che sta osservando. Questo bisogno di contatto opera anche a livello intellettuale,