cinema - grazie anche all‟ibridazione con altri generi già esistenti e con quelli emergenti che di volta in volta si vanno affermando - è riesce a testimoniare la variazione delle caratteristiche sociali: mai identiche a sé stesse, ma sempre diverse a seconda del contesto socio-culturale di riferimento e del momento storico.
Tutto il discorso di Altman si riferisce al sistema hollywoodiano dei generi cinematografici, ma, in molte dinamiche, può essere applicato anche ad altri contesti nazionali. Considerando l‟ambiguità dei generi e la loro duplice funzione ideologica e rituale (descritta nel precedente paragrafo sull‟industria cinematografica e il sistema dei media), il loro carattere storico- sociale (produttivo di continui mutamenti delle categorie testuali) e il successo internazionale di alcune architetture di genere (che porta diverse cinematografie nazionali a confrontarsi anche con strutture testuali provenienti dall‟estero, soprattutto dagli Stati Uniti), si cercherà nel corso del processo di analisi di evidenziare, dove sarà possibile, eventuali trasformazioni dei generi più marcatamente italiani e possibili ibridazioni con generi stranieri. Inoltre, ci si sforzerà di sottolineare la capacità di alcuni generi cinematografici di evidenziare specifiche problematiche sociali.
1.8 IL POSTO DELLO SPETTATORE
Si è già discusso ampiamente della funzione di agente sociale del cinema, ovvero di come il medium cinematografico interviene nel processo di costruzione della realtà sociale. Ma è l‟attore sociale che sulla base della propria percezione del mondo, su cui il cinema opera, agisce concretamente nella realtà.
Tocca ora andare ad indagare proprio cosa lo spettatore trova nel prodotto filmico, tanto da esserne influenzato nella sua “vita quotidiana”, ovvero cosa il cinema offre all‟attore sociale, quali possibilità di “crescita” è in grado di donare.
Dunque, al cinema la realtà letteralmente rinasce, fino a catturarci, includendoci nel suo stesso mondo. Attraverso la macchina cinematografica, noi andiamo verso il cuore delle cose, le scopriamo nella loro esistenza. Ma, al contempo, ci ritroviamo al centro dello spettacolo, oggetti del nostro stesso sguardo. Ci percepiamo come noi stessi e insieme come altro da noi. In altre parole, lo spettatore scruta, nel prodotto filmico, il mondo circostante e sé stesso. Osservandosi dall‟esterno, è in grado di vedersi nella sua interezza, di cogliere pregi e difetti e di valutarsi. In questo senso, il cinema ha una funzione identitaria: permette all‟individuo di prendere coscienza di ciò che è, ed eventualmente di correggersi dove è deficitario. Possiamo, quindi, sostenere che il cinema è una vero e proprio agente della socializzazione: trasmette idee, valori, principi e significati sociali e, nello stesso tempo, concede allo spettatore la possibilità di ottenere un parametro attraverso cui guardarsi attentamente, entrando, finalmente, in contatto reale con se stesso:
Chi è di fronte allo schermo tende ad aderire a ciò a cui sta assistendo; si proietta e insieme si identifica nella realtà raffigurata; la sente vivere e si sente di viverla; ma nel momento stesso in cui si realizza questa intimità, ecco che si trova sospeso tra mondi diversi, quello da cui guarda e quello che è guardato; dunque rischia di non saper più bene quale sia la sua collocazione; anzi, di non saper più bene quale sia la sua identità [...]. Tra osservatore e osservato. Al posto di una contrapposizione tra i due poli, emerge infatti una reciproca interdipendenza: l‟osservatore partecipa al destino dell‟osservato, si muove sul suo stesso terreno, nel medesimo campo di forze; ma intrecciando la sua esistenza con l‟oggetto del suo sguardo finisce anche con il perdere la sua posizione di vantaggio, fino a confondersi con quanto ha di fronte [...]. L‟elemento decisivo è il senso di contatto che lo spettatore ha con quanto appare sullo schermo: un contatto quasi fisico, che si trasforma subito in vicinanza morale. In particolare questa illusione di un contatto personale con i personaggi è ciò che consente di sentirsi partecipi della vicenda raccontata. Secondo le leggi della psicologia, noi proiettiamo noi stessi nei personaggi sullo schermo. Così ogni spettatore può vivere per procura le esperienze e le emozioni del personaggio che sta osservando. Questo bisogno di contatto opera anche a livello intellettuale,
nella forma di una curiosità per il nuovo: noi desideriamo costantemente nuovi elementi da aggiungere al nostro bagaglio di conoscenze128.
Questo contatto con il mondo circostante, attraverso lo spettacolo raffigurato, porta spettatore e testo filmico a confrontarsi tra di loro:
Si crea un contatto tra lo spettatore e quanto è raffigurato sullo schermo: osservatore e osservato sono fianco a fianco e interferiscono l‟uno con l‟altro [...]. È la condizione di un osservatore apparentemente senza più rete di protezione, che si ritrova immerso nel paesaggio che osserva, costretto a condividere il proprio destino con quello dell‟oggetto del suo sguardo e a farsi esso stesso oggetto di uno sguardo. È con questa condizione che bisogna fare finalmente i conti: forse con qualche imbarazzo, ma nel crudo spirito della verità [...]. Le cose sono ormai “a portata di sguardo”; anzi, esse si consegnano ormai ai miei occhi nella loro integralità, senza quasi bisogno che io vada a cercarle; non sono più neppure prede da conquistare, ma doni che mi vengono recati. Il mondo si è compresso, si è fatto sotto, si è fatto mio: in questo suo darsi, a sua volta mi conquista129.
Il cinema parla a noi, e nel fare questo, parla di noi. Crea nell‟audience un “senso di comunità”, la fa partecipe di un sogno collettivo, costruisce una vera propria opinione pubblica, senza, però, annullare l‟individualità. Dunque, il cinematografo opera su due livelli: su un piano individuale, permettendo al singolo fruitore di osservare il mondo e sé stesso, così da allargare la propria percezione e di agire conseguentemente; sul piano sociale, essendo il singolo spettatore parte di un pubblico, il medium partecipa alla costruzione di un immaginario collettivo che si ripercuote sul corpo sociale e sul suo operare come complesso. Il dispositivo cinematografico influenza l‟individuo e, nel far ciò, agisce sul piano sociale producendo schemi, modelli e comportamenti collettivi, che possono agire sui processi di mutamento del reale.
Il medium cinematografico rappresenta una vera e propria “segnaletica” dell‟immaginario, ovvero, permette all‟individuo di trovare una mappa per orientarsi ed entrare in sintonia con i nuovi meccanismi di produzione sociale del senso. Questo perché, i linguaggi dell‟industria culturale tessono una rete comunicativa in cui il soggetto contemporaneo può costruire nuove identità e nuovi modelli relazionali attraverso l‟istituzione di nuove tradizioni130. Il cinema, così come tutti gli altri media, partecipa al processo di crescita della complessità sociale, attraverso un incremento delle relazioni comunicative e partecipa ai processi di socializzazione del corpo sociale, in quanto luogo dello scambio simbolico. Esso, come gli altri media, offre risposte a bisogni strutturali e ai desideri che investono la stessa soggettività, ovviando così alle esigenze comunicative della società:
Possiamo dare a queste forme ( di comunicazione e di consumo dei messaggi mediatici) un valore negativo o positivo, assumere il punto di vista che le vuole come forme psichiatriche del dominio oppure come strumenti per la promozione della comunicazione sociale, ma in ogni caso esse svolgono quella funzione, già individuata da Durkheim, di costruzione rappresentativa della società attraverso rituali che ricompongono un tessuto connettivo tra individuo e dimensione collettiva dell‟esistenza [...]131.
Nel momento in cui il medium filmico acquisisce uno statuto linguistico autonomo, la relazione tra processi di evoluzione del cinema e trasformazioni sociali diventa diretta e perfino “automatica”. Sul grande schermo osserviamo le tracce della quotidianità come l‟essenza più profonda dei processi di trasformazione dei rapporti sociali. Il cinema dà una rappresentazione della società nel suo continuo mutamento, cogliendo e rilanciando la pregnanza di modelli di comportamento sempre nuovi. Dunque, il medium cinema partecipa ai processi di mutamento sociale. Esso, come pratica del tempo libero, svolge una funzione di
128 F. Casetti, L’occhio del Novecento, cit., pp. 231-235. 129 F. Casetti, L’occhio del Novecento, cit., pp. 236-238.
130 A. Giddens, Identità e società moderna, Ipermedium libri, Napoli, 1999. 131 S. Brancato, La città delle luci, cit., p. 81.
socializzazione e di conoscenza, che completa l‟esperienza individuale e rende possibile la realizzazione di condizioni sociali sempre nuove. Il mezzo cinematografico incorpora la vita della società, costruendone il racconto in termini mitici e simbolici, rendendola riconoscibile agli individui/pubblico - per esempio, attraverso lo standard simbolico-produttivo dei generi di massa - e integrando efficacemente tra loro valori pubblici e valori privati. Fungendo da importante narratore dell‟ordine mondo, disegna il senso delle cose e organizza lo sguardo della società su sé stessa.
Questo straordinario medium è capace di operare sui repertori dell‟immaginario al punto di raccontare sé stesso, e la società che ne è il contesto, sia adottando codici realistici che codici fantastici, sovrapponendo, così, il punto di vista dell‟esperienza mediale a quello dell‟esperienza diretta vissuta dagli attori sociali.
Ancora una volta, il pensiero di Francesco Casetti ci aiuta a comprendere al meglio le capacità del cinema:
[...] riproponendo l‟incontro tra un soggetto scopico e ciò che gli sta davanti e attorno, ecco che il contatto diventa immersione totale, l‟interazione diventa complicità, il dominio diventa spossessamento e la sicurezza diventa perdita di sé e dell‟altro in una sorta di perfetta comunione [...]. Scopro il mio radicamento, e cioè il mio essere nel mondo, in quello stesso mondo che prima osservavo e che si organizza attorno all‟altro quanto attorno a me, sia pure per fluire via in una sorta di “emorragia interna”. In questo senso, il fatto di entrare nello sguardo altrui dà luogo a un momento di autoriflessività (mi vedo visto e insieme vedo il mio vedere); ma soprattutto dà luogo a un‟immersione nella realtà (cogliermi come visto vuol dire cogliermi come visto nel mondo e a partire dal mondo) [...]. Il film esercita un‟attrattiva su chi lo vede, in conseguenza del senso di prossimità e di interazione che si stabilisce tra chi sta in sala e ciò che sta sullo schermo; il mondo rappresentato è a portata di mano, si offre direttamente e chiede una partecipazione [...] lo spettatore è chiamato a far parte del proprio ambiente, proponendosi non solo come soggetto scopico, ma anche come soggetto sociale [...]. Il cinema si offre come campo di sguardi incrociati che include e avvolge osservatore, osservato e situazione. Il cinema sa intercettare e mettere in forma gli snodi che agitano la società, offrendo sé stesso come luogo esemplare, e lo fa negoziando tra innovazione e resistenza132.
Questa prospettiva teorica ha una sua validità intrinseca. Come dice Sorlin è meglio accettare l‟ipotesi plausibile di una possibile influenza del messaggio filmico sullo spettatore, anche se difficile da verificare, anziché rimanere fermi e indifferenti a questa possibilità. Il problema, però, si pone a livello della verifica empirica. Se la ricerca storica poco può fare su questo piano, la ricerca sociologica, grazie ad una prospettiva sincronica, può fornire utili spunti di riflessione. Va però rilevato il ruolo marginale attribuito alla sociologia del cinema. Pochi, anche tra i sociologi della comunicazione e dei processi culturali, si sono interessati allo studio delle audience cinematografiche. In futuro è auspicabile un maggiore sforzo di analisi empirica sul rito collettivo dello spettacolo cinematografico e sui processi di comprensione e riflessività attivati dalla visione filmica. A livello sociale è facile individuare mode effimere attivate dal cinematografo o chiarire quali testi audiovisivi sono entrati, perchè particolarmente significativi o perchè hanno anticipato sul piano della rappresentazione alcune trasformazioni della società, nell‟immaginario collettivo, ma poco si è fatto per approfondire i processi psichici messi in atto dagli spettatori nell‟interpretazione filmica e, ancor meno, sono state indagate le ripercussioni pratiche dello spettacolo cinematografico.
Non si tratta solo di misurare sul piano quantitativo - attraverso i risultati del boxoffice, i dati di vendita di DVD o di film on demanding o lo studio degli indici d‟ascolto - il pubblico che frequenta le sale o che individualmente vede i film sul divano di casa propria. Si tratta di verificare, nella convinzione che lo spettatore è un soggetto attivo con personali capacità ermeneutiche e non un essere passivo colpito in maniera a-critica dai messaggi mediatici, quali frame interpretativi vengono innescati e, soprattutto, a quale sapere laterale, ovvero a quali conoscenze pregresse, il pubblico si riferisce durante la fruizione filmica. Queste finalità
possono essere raggiunte solo interrogando le audience, ponendo nella giusta considerazione l‟ambiguità del mezzo cinematografico e la grande varietà dell‟offerta filmica.
Il pubblico cinematografico non è una massa inerte, ma un complesso diversificato con livelli di competenza e capacità culturali assai varie. Lo spettatore è un interlocutore del film: lo interpreta in base a ciò che conosce in precedenza e grazie alle suggestioni offerte dallo stesso testo; instaura diversi tipi di relazioni con la narrazione filmica, anche in base alla contingenza del suo stato emotivo. Di conseguenza, è possibile supporre una grande varietà di reazioni al testo filmico. Questo naturalmente complica un eventuale progetto di ricerca in tal senso, ma al contempo lo rende affascinante per le sue potenzialità euristiche.
Il film è per lo spettatore: da un lato, parte della sua esperienza che ne favorisce un incremento delle conoscenze e della consapevolezza; dall‟altro, rimane uno spettacolo separato dalla vita quotidiana che distrae, diverte e fa sognare. Il cinema, in maniera simultanea, comunica al pubblico (consapevolezza) e lo coinvolge (spettacolo). Questa duplicità del medium deve essere tenuta in debita considerazione, pena la fallacia di un eventuale studio:
Probabilmente, la dinamica della relazione dello spettatore con il testo non sarebbe comprensibile se non si tenesse conto, prioritariamente, della collocazione profondamente instabile, contraddittoria, oscillante, che è propria dello spettatore cinematografico (e, in forme diverse, del fruitore di ogni forma di spettacolo, più in generale del destinatario di ogni tipo di comunicazione esteticamente significativa). L‟ambiguità della collocazione dello spettatore implica la possibilità di assumere, nel corso di una stessa fruizione, posizioni differenti, passando dalla piene accettazione della «verità» di ciò che avviene sullo schermo alla piena consapevolezza della sua natura costruita, e fantastica, passando dall‟illusione di una totale contemporaneità alla consapevolezza di una sfasatura temporale e viceversa. Proprio quest‟ambiguità fonda la possibilità per «l‟uomo [o la donna] che guarda un film» di dar vita la testo: aderendovi al punto di assumerlo come parte della propria esistenza, e insieme preservandolo come spettacolo, momento separato rispetto alla quotidianità133.
Questa duplice visione, insomma, fa attraversare al fruitore del messaggio filmico fasi alternate di consapevolezza ed oblio. È proprio questa ambiguità, come aveva già notato Morin, permette al cinema di comunicare, di convocare gli spettatori e coinvolgerli. Il cinema, anche attraverso il sogno, presenta una realtà che porta il fruitore del testo ad interrogarsi su quanto osserva e, in relazione a questo, sulla sua realtà interiore ed esteriore.
Inoltre, non è da sottovalutare la dimensione collettiva della visione cinematografica. Anche quando lo spettatore si trova da solo dinanzi al testo audiovisivo, esso condivide a distanza quell‟esperienza con altre migliaia di persone. Si formano, allora, delle comunità immaginarie, virtuali, che attivano forme di riflessività, spesso alimentate e rafforzate da una comunicazione secondaria e laterale tra i vari fruitori, come ad esempio nel caso dei blog su internet, con riverberi di varia entità sulla realtà:
Ma l‟appropriazione delle forme simboliche - e in particolare dei messaggi trasmessi dai prodotti mediali - è un processo che si estende ben al di là del contesto iniziale dell‟attività di ricezione. Le persone discutono infatti i messaggi dei media anche successivamente a tale attività; li elaborano in modo discorsivo e li condividono con altri individui, a prescindere da se o no tali individui abbiano partecipato al processo di ricezione originario. In questo ed altri modi, i messaggi dei media vengono ritrasmessi al di là del contesto iniziale della ricezione, e trasformati grazie a un processo di continua narrazione e resoconto, interpretazione e reinterpretazione, commento, risa e critiche. Tale processo [...] fornisce una struttura narrativa all‟interno della quale gli individui riferiscono i loro pensieri, sentimenti ed esperienze, intrecciando aspetti della loro vita personale, interpretazioni di messaggi dei media e reazioni ai messaggi ricevuti. Attraverso tale processo di elaborazione discorsiva, è possibile muti anche la stessa interpretazione di un particolare individuo134.
133 P. Ortoleva, Cinema e storia, cit., p. 59.
Non si sta volendo affermare, in ultima analisi, che il cinema è uno strumento indispensabile nei processi di elaborazione collettiva delle idee, ma senza ombra di dubbio - in quanto medium ancora oggi importante e sempre più interconnesso ad altri media di larga diffusione come la televisione e internet - partecipa all‟edificazione e allo sviluppo di forme di riflessività e condivisione.
Non è comunque questo un obiettivo della presente ricerca. Questa si limita al solo piano della rappresentazione, ed esclude dal suo orizzonte d‟interesse una possibile analisi empirica del pubblico. Con questo ultimo paragrafo del capitolo, si è voluto solo fornire qualche spunto di riflessione sull‟occasione offerta alla sociologia del cinema di un nuovo campo di applicazione. Un‟analisi degli spettatori dei film oggetto d‟indagine della presente dissertazione potrebbe essere un interessante percorso di approfondimento in una futura ricerca. Lo scopo specifico di queste ultime pagine rimane quello di concludere, si spera nella maniera più chiara e articolata possibile, la trattazione teorica del medium cinematografico e della sua implicita complessità.