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Alimentazione, sviluppo e standard di vita nelle isole dell’Oceano Pacifico

Capitolo IV – Migrazione, mezzi di sostentamento e cambiamenti climatic

alimentare 1.2. Gli “slow-onset hazard”: ipotesi di connessione tra sussistenza e migrazione 2 Alimentazione, sviluppo e standard di vita nelle isole dell’Oceano

2. Alimentazione, sviluppo e standard di vita nelle isole dell’Oceano Pacifico

Un esempio emblematico dell’impatto drastico che il cambiamento climatico può avere su territori particolarmente vulnerabili è quello delle cosiddette “Small Sinking

Islands”334

. Con questo appellativo spesso sono definiti alcuni piccoli Stati insulari dell’Oceano Pacifico, come le isole del Kiribati o di Tuvalu, rispettivamente collocati nelle macroregioni della Micronesia e della Polinesia. Appellate in questo modo da giornalisti e media, queste isole sono diventate simbolo della crisi climatica in atto: Stati visivamente paradisiaci messi alla prova dal drastico innalzamento del livello del mare, tanto da essere destinati a scomparire tra le acque, costringendo gli abitanti a migrare per poter trovare riparo.

L’immagine, drammatica e fin troppo evocativa, non tiene conto di un contesto multiforme in cui quella climatica è sicuramente una – ma non l’unica – componente da prendere in considerazione per un’analisi esaustiva del fenomeno335.

334 “Piccole isole affondanti”. Traduzione del redattore.

335 MCADAM J., LOUGHRY M., “We Aren’t Refugees”, Inside Story, 2009. In questi termini le

autrici descrivono e ridimensionano il fenomeno, facendo in particolar modo riferimento al rifiuto da parte di queste popolazioni di definirsi “rifugiati”, pur se non nel senso legale del termine (Vedi

supra, Cap. I, § 5). In questi contesti infatti il termine rifugiato, anche se usato non del tutto

correttamente, implica innanzitutto una fuga di questi soggetti dal proprio Governo, quando i cittadini delle SSI non hanno alcun desiderio di farlo; ma soprattutto implica una connotazione passiva e rassegnata che questi popoli drasticamente negano.

Oltre ad evitare quindi facili allarmismi avallati da immagini indubbiamente pittoresche, è assolutamente fondamentale, quando si parla degli impatti che il clima ha sui movimenti umani, evitare di ricondurre ad un unico fattore causale ipotesi sicuramente diversificate, come più volte è stato ricordato nel presente lavoro. Tendere verso una ipersemplificazione della questione a fini descrittivi sicuramente non sarebbe utile a leggere il fenomeno da prospettive geografiche, scientifiche e politiche, fondamentali per comprenderne la portata in termini numerici e spazio-temporali, per la proposta di soluzioni efficienti.

Descrivendo questi eventi in termini più oggettivi, quando si parla delle isole dell’Oceano Pacifico si fa riferimento principalmente a Stati le cui condizioni di vivibilità probabilmente li renderanno ostili alla presenza umana ben prima di una eventuale scomparsa del territorio dovuta all’innalzamento del livello del mare336. Caratteristica fondamentale di questi territori è sicuramente quella della vulnerabilità

al cambiamento climatico. Quando si parla di vulnerabilità si intende una nozione

caratterizzata da tre aspetti, che sono esposizione, sensibilità e capacità di adattamento. Con il primo si fa rifermento alla dimensione spaziale e temporale dei fenomeni climatici e agli impatti biofisici che questi possono avere su un determinato territorio, si indica quindi quanto quell’area è oggettivamente esposta a questi cambiamenti. Con la seconda componente invece si intende il grado di influenza che gli eventi climatici possono avere su un determinato sistema autonomo, sia in negativo che in positivo,

336 MCADAM J., “Disappearing States, statelessness and the boundaries of international law”, in

UNSW Law Research Paper, 2010, cit. p. 2. L’autrice si sofferma sulla problematica dell’entità di uno Stato e sulle componenti che lo rendono tale. In particolar modo, analizza i quattro elementi necessari per poter parlare di Stato esistente: territorio definito, popolazione permanente, governo, capacità di intrattenere relazioni con altri Stati. Proseguendo nella sua analisi e prendendo proprio in considerazione l’ipotesi delle isole del Pacifico, descrive le eventuali prospettive immaginabili per l’entità Stato e per i suoi cittadini laddove vi fosse la possibilità concreta che un determinato territorio venga a mancare (in questa ipotesi a causa del cambiamento climatico).

senza prendere in considerazione quindi sforzi appositi messi in atto per fronteggiare la crisi. Infine con la capacità di adattamento si vuole descrivere l’abilità di gruppi sociali e istituzioni di sfruttare le potenzialità del territorio per fronteggiare i cambiamenti dovuti ad eventi estremi337.

Utilizzando questi parametri per descrivere nel complesso questi territori insulari, si può affermare che gli eventi ai quali questi territori sono esposti sono innalzamento dei livelli del mare, riscaldamento e acidificazione delle acque dell’oceano, cambiamenti negli schemi e nella durata delle precipitazioni338, intensificazione di frequenza e durata dei cicloni e infine frequenti inondazioni e periodi di siccità339.

Come si può vedere dal tipo di eventi presi in considerazione, si tratta sia di fenomeni improvvisi che di eventi a lungo decorso, e spesso questi ultimi incidono sulla frequenza di manifestazione dei primi. Questi cambiamenti nell’equilibrio climatico di queste aree sono fortemente interconnessi, e le ripercussioni più evidenti dovute a tali fenomeni interessano proprio la sfera alimentare. Più nello specifico, l’innalzamento dei livelli del mare, slow-onset event che più incide in questa area, ha portato a un deterioramento dei terreni costieri, spesso utilizzati a scopo agricolo, e soprattutto ha incrementato un processo di salinizzazione dei terreni e delle risorse idriche utilizzate come approvvigionamento d’acqua. Oltre a ciò, episodi improvvisi come quelli delle inondazioni di acqua di mare in terreni coltivabili in zone a bassa altitudine sopra il

337 IPCC, A5, Sintesy Report (2007).

338 Particolarmente problematica risulta l’oscillazione del cosiddetto El Niño (ENSO- El Niño-

Southern Oscillation), un evento climatico periodico ma non del tutto prevedibile nelle forme e nei tempi di manifestazione, che comporta un riscaldamento delle acque dell’Oceano Pacifico Centro- Meridionale e Orientale, all’incirca ogni cinque anni, provocando inondazioni, e allo stesso tempo siccità, come è già avvenuto nel 1997-1998, anni in cui l’evento ha causato gravi carenze di cibo nelle isole del Pacifico.

IFPRI- International Food Policy Research Institute, Climate chnge, food security, and

socioeconomic livelihood in Pacific Islands, 2015, cit. p. 2.

livello del mare contribuiscono ad indebolire notevolmente un sistema alimentare basato su agricoltura e pesca340. Proprio questa situazione di disagio dovuta non solo all’esposizione di questi luoghi ai cambiamenti climatici, ma soprattutto a dei meccanismi di adattamento ancora troppo deboli, ha contribuito alla necessità di incrementare la quantità di prodotti importati341. Questa dipendenza dalle importazioni nel tentativo di sopperire alle mancanze della produzione locale ha dato vita ad un altro fenomeno preoccupante per la salute e la sicurezza alimentare degli abitanti di queste isole: si tratta dell’obesità, che paradossalmente convive con manifestazioni frequenti di casi di denutrizione. I prodotti agricoli locali alla base delle diete tradizionali sono stati affiancati, o più spesso sostituiti, da alimenti importati ad alto contenuto energetico, quali riso e farina. Questi elementi, aggiunti alle pratiche culinarie del luogo, hanno contribuito ad un aumento notevole dell’incidenza di obesità, affiancata da fenomeni gravi di malnutrizione342.

Dal quadro fino ad ora descritto si può percepire chiaramente come l’incidenza di questi fenomeni di diversa natura, se visto in un contesto caratterizzato da elevato grado di povertà e presenza notevole di aree rurali, possa portare alla creazione di problemi particolarmente difficili da affrontare, soprattutto in assenza di un aiuto esterno. Molto spesso tra l’altro, la situazione di indigenza delle persone che abitano determinati territori è tale da non consentire la scelta dello spostamento in territori più sicuri, che

340 L’aumento delle temperature e il processo di acidificazione delle acque oceaniche sono associati

ad effetti negativi sulla salute dalla barriera corallina e della stabilità degli ecosistemi marini. L’acidificazione provocata dalla presenza di anidride carbonica nelle acque incide sul rischio di sbiancamento dei coralli e sulla morte dei pesci, fondamentali per il sostentamento alimentare. In alcune zone rurali, come quelle del Kiribati e del Palau, il pesce è l’unica fonte di proteine animali. WFP, Food security in vulnerable islands, 2018, cit. p. 11.

341 FAO/SPREP/SPC/USP, Climate change and food security in the Pacific, 2009, cit. p. 13. 342 WFP, ult. op. cit. p. 13.

spesso richiede l’impiego di risorse economiche minime343

. Questo, ovviamente, espone questi soggetti ai rischi di un territorio gravemente perturbato dal punto di vista climatico, economico e nutrizionale. Quindi, come si diceva a inizio paragrafo, queste condizioni sono tali per cui, laddove non si vedano mirati interventi volti a migliorare la situazione, le persone che abitano queste zone si vedranno costrette a lasciare il loro luogo d’origine molto prima che questo possa, laddove sia possibile, scomparire

fisicamente.

Prima di arrivare al punto da dover gestire queste drastiche situazioni, l’obiettivo principale dei governi locali e della comunità internazionale dovrebbe essere quello di fronteggiare e prevenire tali eventi in un’ottica di sviluppo sostenibile, proprio perché situazioni come queste rientrano appieno nella realizzazione del primo dei 17

sustainable goals riproposti nell’Agenda 2030344: combattere la fame e diminuire la malnutrizione.

In sintesi, uno degli approcci strategici riproposti dagli studiosi del settore scientifico e politico (IPCC), prevede la pianificazione proattiva di sistemi di prevenzione, che siano in grado di reggere, o quanto meno di tamponare gli effetti nefasti di eventi climatici di tale portata: questo perché ideare sistemi di prevenzione è spesso più conveniente, in termini di efficienza ed economicità, che cercare di rimediare a danni ingenti già verificatisi. Uno degli approcci più funzionali di creazione di sistemi precauzionali consiste nello sfruttamento delle caratteristiche naturali tipiche delle zone costiere che si vogliono salvaguardare, in modo tale da adottare misure che mirino a un

343 United Nation University – Institute for Environment and Human Security, Kiribati: climate

change and migration – Relationship between household vulnerability, human mobility and climate change, 2016, cit. p. 17-18.

rafforzamento degli elementi naturali del territorio345, che quindi possano fungere da barriera permettendo un rafforzamento del sistema naturale stesso. Gli approcci che possono materialmente essere presi in considerazione sono fondamentalmente di tre tipi: il primo riguarda la protezione di persone e strutture, attraverso la costruzione di barriere fisiche come dighe, oppure attraverso il rafforzamento della vegetazione costiera che possa rendere le coste meno vulnerabili alle mareggiate. Il secondo approccio riguarda la sistemazione delle infrastrutture già presenti sulla costa, in modo da renderle più resistenti ad eventuali infiltrazioni di acqua marina, dopo aver messo in atto un necessario adeguamento dei programmi di pianificazione territoriale a questi progetti. Infine, laddove nessuna delle misure fino ad ora descritte è in grado di permettere il contenimento degli effetti, l’opzione rimanente coincide con lo spostamento forzato346. Per garantire inoltre una maggiore resistenza dei sistemi produttivi a queste sfide, fondamentale sarà l’aumento degli investimenti nel settore agricolo e nella ricerca: la portata dei cambiamenti climatici differisce da regione a regione anche all’interno dello stesso paese, e questo significa che l’ammontare degli investimenti avrà portata diversa a seconda del tipo di rischio da fronteggiare: questi dovranno riguardare principalmente l'attuazione di misure di adattamento come l'espansione delle banche dei semi e il miglioramento delle colture a tolleranza salina visti i problemi causati dai processi di salinizzazione delle acque e dei terreni agricoli. Le tecnologie di adattamento dovranno essere utilizzate anche dai piccoli agricoltori, e

345Fondamentale, per esempio, risulta la presenza delle mangrovie nell’ecosistema insulare degli

Stati del Pacifico. Oltre a mitigare l'erosione costiera infatti, questi alberi forniscono notevole protezione da tempeste e tsunami, e costituiscono inoltre habitat per una grande varietà di specie. Questo risulta fondamentale, giacché numerosi animali che trovano riparo grazie a questi alberi rappresentano una fonte vitale di proteine per gli abitanti delle isole del Pacifico. Climate change

and food security in the Pacific, cit. p. 17.

346 IPCC, Human Security in Climate Change 2014: Impacts, Adaptation, and Vulnerability. Part A: Global and Sectoral Aspects, NY, USA, cit. p. 387.

proprio per questo obiettivo sarà necessario uno sforzo governativo notevole sia a livello regionale che nazionale. Affrontare la sicurezza alimentare richiederà interventi che riguarderanno principalmente lo sviluppo di mezzi di sussistenza in chiave sostenibile, quindi l’ambito agricolo, forestale e dell’acquacoltura; ma gli interventi dovranno riguardare anche le modalità commerciali e la disparità di povertà che sussiste tra le zone rurali e quelle urbane347.

Questi elementi possono essere considerati come descrittivi di una situazione generale, che è quella che vivono le isole del Pacifico. Il territorio tuttavia è suddiviso in tre macroregioni (Micronesia, Polinesia e Melanesia), in ognuna delle quali sono presenti più stati insulari formati da numerose isole più o meno estese. Sicuramente quindi i vari arcipelaghi non si trovano nella stessa condizione di criticità, essendo i territori diversificati per dimensioni, distribuzione della ricchezza e vulnerabilità ai fattori climatici.

2.2 . La decisione del Comitato Onu sul caso Teitiota c. Nuova Zelanda

Tra tutte le isole, lo stato del Kiribati è sicuramente uno di quelli più messi alla prova dai recenti cambiamenti. In questo stato formato da circa 30 isole, il tipo di mobilità più presente è sicuramente quella interna, a causa delle difficoltà di varia natura che una migrazione internazionale presuppone. Quando ciò accade, la destinazione più gettonata è sicuramente la Nuova Zelanda, seguita dalle isole Fiji348.

347 FAO/SPREP/SPC/USP, op. ult. cit. p.21.

348 Kiribati: climate change and migration – Relationship between household vulnerability, human

Oggetto di una decisione del Comitato dei diritti umani dell’Onu è proprio un caso di migrazione internazionale dalle isole del Kiribati verso la Nuova Zelanda. La decisione è del 7 gennaio 2020349, e riguarda il Sig. Teitiota, originario della Repubblica di Kiribati, che già precedentemente aveva richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato da parte della Nuova Zelanda, che tuttavia lo aveva negato350.

Dopo questo avvenimento, il Sig. Teitiota adisce il Comitato Onu, e le motivazioni addotte riguardano proprio le particolari condizioni climatiche dell’isola del Pacifico, che nello specifico rendevano impossibile una sopravvivenza nel territorio, tanto da poter essere considerate come una minaccia del diritto alla vita e quindi una violazione dell’Art. 6 del Patto sui diritti civili e politici, il cui primo comma dispone a tal proposito che « Il diritto alla vita è inerente alla persona umana. Questo diritto deve esser protetto dalla legge. Nessuno può essere arbitrariamente privato della vita»351. Il ricorrente descrive come la situazione nell’isola di Tarawa fosse divenuta particolarmente instabile principalmente a causa di fenomeni a lungo decorso come l’innalzamento del livello del mare. Le barriere costruite non erano sufficienti a proteggere dalle inondazioni, e le acque dei pozzi da cui dipendevano per l’approvvigionamento familiare risentivano del processo di salinizzazione. L’acqua con elevata concentrazione di sali si depositava anche sui terreni adibiti all’agricoltura, causando la di distruzione dei raccolti, e allo stesso modo ne risentiva la pesca. Il ricorrente riteneva che il governo non fosse stato in grado, nonostante i finanziamenti e le nuove infrastrutture, di fronteggiare le emergenze che quindi lo avevano costretto

349 UN – International Covenant on Civil and Political Rights, Views adopted by the Committee

under article 5 (4) of the Optional Protocol, concerning communication No. 2728/2016, 7 Jenuary

2020.

350 Sull’eventuale applicazione della Convenzione di Ginevra per i rifugiati ai migranti ambientali,

si veda supra, Cap. I § 5.

a lasciare l’isola. Queste le motivazioni indicate prima nella richiesta nei confronti della Nuova Zelanda, e poi al Comitato Onu.

La risposta del Comitato Onu, analizzata da parte della dittrina352, ha specificato che in questo specifico caso il rimpatrio del ricorrente dalla Nuova Zelanda all’atollo di Tarawa - nel Kiribati – non potesse essere considerato, per via dell’insufficienza degli elementi probatori presentati, come una violazione del diritto alla vita ai sensi dell’Art. 6. Nonostante il contenuto negativo rispetto alla domanda avanzata dal Sig. Teitiota, la decisione risulta tuttavia innovativa per via della posizione assunta a livello teorico da parte dal Comitato. Si ricorda che questa decisione non ha natura giuridicamente vincolante, ma così è invece per la giurisprudenza a cui si riferisce, e risulta soprattutto fondamentale richiamarne la portata interpretativa.

Da questo punto di vista, ciò che veramente è importante è la espressa possibilità che, laddove in uno Stato non vi siano stati adeguati sforzi per contrastare effettivamente gli effetti del cambiamento climatico, questi possano comportare una violazione dei diritti dei cittadini ai sensi dell’art. 6 e 7 del Patto sui diritti civili e politici, quindi una violazione rispettivamente del diritto alla vita e del divieto di trattamenti inumani e degradanti. In queste ipotesi, conseguentemente, sussisterebbe un divieto di respingimento di questi soggetti verso quei territori in cui questi diritti umani non possono essere pienamente garantiti353. E’ proprio in questa decisione quindi che si consolida, a livello ermeneutico, quella che potrebbe essere una strada per poter arrivare alla tutela dei soggetti colpiti da cambiamenti climatici.

352 BRAMBILLA A., CASTIGLIONE M., Migranti ambientali e divieto di respingimento, in

Rubrica “Diritti senza confini”, collaborazione tra riviste Questione Giustizia e Diritto,

Immigrazione e Cittadinanza, febbraio 2020.

Nel merito quindi il Comitato Onu ha ritenuto che questa violazione, e di conseguenza l’obbligo di non refoulement, non potesse essere riconosciuta dei confronti del Sig. Teitiota, perché gli elementi addotti da questo non erano stati sufficienti per provare quanto critica fosse la sua condizione per via degli eventi climatici e del non appropriato intervento statale nel luogo d’origine354.

Il Comitato però ha espresso posizioni innovative anche riguardo al momento in cui si verifica tale lesione, che può essere anticipato ad un frangente in cui sia solo

ragionevolmente prevedibile; tuttavia, il mutamento più importante nella posizione

Onu riguarda principalmente l’analisi delle ipotesi da danni causati sia da cambiamenti climatici improvvisi, ma più in particolare da quelli a lenta insorgenza, colpevoli di intaccare la sicurezza alimentare dei cittadini visto il disastroso impatto sulla produzione di beni primari. Queste condizioni sono responsabili di gran parte dei movimenti transfrontalieri di questi soggetti, la cui alternativa è quella di rimanere in territori in cui i rischi sono così ingenti da comportare una violazione dell’art.6. Nella decisione, infatti, il Comitato prende atto delle ipotesi in cui i danni indotti dal cambiamento climatico possano prodursi sia a causa di eventi improvvisi che di processi a lento decorso. Se tuttavia gli eventi improvvisi hanno impatto immediato ed evidente, gli slown-onset hazards, invece, «possono avere un impatto graduale e

negativo sui mezzi di sussistenza e sulle risorse per un periodo di mesi o anni».

Entrambe le ipotesi quindi possono spingere a movimenti transfrontalieri. Il Comitato

354 «The Committee notes the findings of the domestic authorities that there was no evidence that

the author would lack access to potable water in the Republic of Kiribati. While recognizing the hardship that may be caused by water rationing, the Committee notes that the author has not provided sufficient information indicating that the supply of fresh water is inaccessible, insufficient or unsafe so as to produce a reasonably foreseeable threat of a health risk that would impair his right to enjoy a life with dignity or cause his unnatural or premature death.»

UN – International Covenant on Civil and Political Rights, Views adopted by the Committee under

article 5 (4) of the Optional Protocol, concerning communication No. 2728/2016, 7 Jenuary 2020, cit. p. 14.

prosegue poi affermando che laddove non vi sia un notevole impegno sia a livello nazionale che internazionale, «gli effetti del cambiamento climatico negli Stati di

destinazione possono esporre gli individui a una violazione dei loro diritti ai sensi degli articoli 6 o 7 del Patto, innescando così gli obblighi di non respingimento degli Stati di origine». Infine, il Comitato afferma che, vista l’estrema gravità del rischio a cui

sono sottoposti gli Stati dell’Oceano Pacifico, è possibile che le condizioni di vita in questi luoghi diventino incompatibili con il diritto a una vita dignitosa ancor prima che il rischio si verifichi355. Oltre quindi ad attuare un innovativo collegamento tra effetti dei cambiamenti climatici e tutela del diritto alla vita, si vede anche un generale ampliamento di questo, e quindi un approccio più integrativo nella valutazione dei diritti umani proprio in correlazione con i cambiamenti climatici: questo permette di