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Le prospettive dottrinali di evoluzione della tutela dei diritti umani secondo l’ottica ambientale

Capitolo II – La problematica giuridica della tutela del migrante ambientale

1. Diritti fondamentali: perché è necessaria una protezione adeguata per i migranti?

1.2 Le prospettive dottrinali di evoluzione della tutela dei diritti umani secondo l’ottica ambientale

Lo scenario storico da cui queste norme si originano è quello che si viene a creare a livello internazionale dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il conflitto armato aveva avuto il merito di generare un’idea diffusa in base alla quale le atrocità che erano state perpetrate durante la guerra fossero scaturite dal mancato rispetto nei confronti delle libertà fondamentali. Proprio così si viene a creare quello che A. Cassese definisce un «nuovo giusnaturalismo: l’idea che il rispetto dei diritti umani, insieme con il mantenimento della pace, debbano costituire punto di non ritorno della nuova comunità mondiale che sorgerà dopo la sconfitta dell’Asse»111. Dopo il 1945, anno in cui viene istituita l’Organizzazione delle Nazioni Unite, la cooperazione interstatale e gli eventi storici susseguenti portano alla stesura, nel 1948, della Dichiarazione universale dei diritti umani. Il testo nasce da matrici ideologiche differenti, come «punto di incontro e di raccordo di concezioni diverse dell’uomo e della società»112

. I diritti in esso contenuti sono stati riconosciuti come principi dal valore ormai considerato universale, e proprio il consolidamento a livello internazionale delle garanzie prodotte dalla Dichiarazione spinge verso un’applicazione più pregnante dei suoi contenuti letti alla stregua del diritto consuetudinario113. Alla Dichiarazione seguono, nel 1966, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, e il Patto Internazionale sui diritti economici,

111 CASSESE A., I diritti umani nel mondo contemporaneo, Editori Laterza, 2004, cit. p. 27. 112 CASSESE A., op. cit., p. 47.

113 SACCUCCI A., Profili e tutela dei diritti umani – Tra Nazioni Unite e Consiglio d’Europa,

sociali e culturali. Alla produzione di questi due trattati corrisponde quella che è la distinzione più risalente tra «diritti di prima generazione» e «diritti di seconda generazione»: con i primi si fa riferimento a dei diritti civili e politici, con carattere

precettivo, che quindi presuppongono non solo una non ingerenza dello Stato nella vita

del singolo individuo, ma anche un’immediata applicazione negli ordinamenti interni114. I diritti di seconda generazione, quindi economici, sociali e culturali, hanno un carattere di tipo programmatico, quindi presuppongono un’attivazione a lungo termine da parte degli Stati per la creazione di strumenti idonei alla loro realizzazione115.

Con questi trattati si è arrivati quindi alla enucleazione di diritti assoluti, che sono caratterizzati da specifiche peculiarità che li rendono tali: innanzi tutto, questi diritti vengono definiti “umani” perché riferiti ai singoli individui semplicemente in quanto appartenenti al genere umano in senso lato, e non sorgono da nessun altro rapporto o presupposto di carattere giuridico o sociale. Essi fungono anche da “limiti morali”: come frutto di una concettualizzazione che muove da ideologie di diversa natura116, rappresentano i fondamenti morali minimi, quelli a cui ogni essere umano ha diritto. Di conseguenza, quali standard minimi da dover essere necessariamente rispettati, generano obbligazioni a carico di ogni singolo individuo, tenuto al rispetto dei diritti fondamentali di tutti gli altri. Si vengono così a creare degli standard di protezione che hanno carattere universalizzato e imprescindibile. Infine, proprio in virtù della loro

114 A tal proposito, si ricorda la presenza dell’art. 12 del Patto Internazionale sui diritti civili e

politici, il quale afferma che “Everyone shall be free to leave any country, including his own”, risultato che non sarebbe realizzabile se non si presupponesse una collaborazione tra Stati al fine di una circolazione degli individui.

CALAMIA A.M., DI FILIPPO M., GESTRI M., op. cit., p. 16

115 CASSESE A. I diritti umani oggi, Editori Laterza, 2005, cit. p. 43.

116 Per approfondire la tematica, si veda sempre CASSESE A., I diritti umani nel mondo

essenzialità, i diritti morali dovrebbero avere priorità in caso di conflitto con altri valori: per quanto questi ultimi possano essere positivi, infatti, i diritti umani rappresentano le soglie minime a cui tutti hanno sempre diritto, quindi una loro soccombenza non potrebbe in nessun caso essere considerata giustificata117.

Più problematica rimane tuttavia la questione relativa ai modi che permettono di assicurare effettivamente la tutela dei diritti umani, non esistendo meccanismi di garanzia di tipo giurisdizionale istituiti a livello universale118.

I meccanismi previsti dai trattati sui diritti umani generalmente riguardano invece l’istituzione di un «Comitato» composto da esperti che siedono a titolo individuale: non si tratta quindi di organi politici poiché i membri non rappresentano nessuno Stato specifico. Proprio questa è la natura del Comitato per i diritti dell’uomo, previsto dal Patto sui diritti civili e politici del 1966. Questo organo esplica la propria attività attraverso tre procedure: esame di rapporti periodici trasmessi dagli Stati contraenti, esame di violazione di diritti umani messe in atto da uno Stato contraente su iniziativa di un altro Stato contraente119, e infine esame di presunte violazioni da parte di uno Stato contraente su istanza di singoli individui o gruppi di individui. In particolare l’ultimo meccanismo ha permesso di raggiungere i risultati più proficui, dalla portata interpretativa notevole, visto il peso che organi di tale genere possono avere dell’indirizzo delle scelte etico-politiche dei singoli Stati120

.

117 Sulle caratteristiche dei diritti umani, CANEY S, Climate change, human rights and moral

thresholds, in Human Rights and Climate Change, HUMPHREYS S., ROBINSON M., Cambridge

University Press, 2010, cit. p. 71-73.

118 A differenza di quanto avviene, invece, a livello regionale, dove spesso si trovano forme di tutela

più efficienti. Sul punto, vedi CASSESE A., I diritti umani oggi, Editori Laterza, 2005, cit. p. 100.

119 Questo meccanismo, tuttavia, opera solo laddove gli Stati in questione, oltre a ratificare la

Convenzione, abbiano accettato una clausola che predispone precedentemente questo tipo di controllo eventuale. Questo tipo di sindacato, infatti, rimane largamente inoperante. CASSESE A.,

ult. op. cit. p. 101.

120 Proprio da questo meccanismo scaturisce l’innovativa «view» adottata a gennaio 2020 dal

Comitato per i diritti civili e politici in relazione al caso Teitiota c. Nuova Zelanda. La decisione è relativa al riconoscimento del legame tra cambiamenti climatici e violazione del diritto alla vita e a

Dopo aver preso in considerazione sistemi nati per la tutela universale dei diritti umani, risulta doveroso fare un riferimento ai più efficienti organi di controllo a carattere regionale, come la Corte Europea dei diritti dell’uomo. Si tratta di un organo

giurisdizionale, che produce quindi pronunce giuridicamente vincolanti. Inoltre

l’accertamento può essere attivato in prima persona dal ricorrente che vuole lamentare una determinata violazione di un proprio diritto. La Corte nasce dopo l’istituzione del Consiglio d’Europa (5 maggio 1949) e l’adozione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (4 novembre 1950), all’interno della quale era prevista appunto l’istituzione di un tribunale apposito. Si tratta di uno dei sistemi regionali più efficienti, visto il gradualismo caratterizzante la progressiva imposizione di meccanismi di garanzia che fossero in grado di vincolare gli Stati contraenti121.

Avendo riassunto i tratti distintivi riguardanti i diritti umani a livello internazionale e regionale, è ora necessario specificare quale sia la connessione tra questi e la tematica del cambiamento climatico.

Partendo dall’analisi dei principali strumenti del diritto internazionale, e in particolare di quelli che consentono la disciplina della materia migratoria122, si è arrivati a prendere in considerazione i limiti che sono imposti ai singoli Stati a causa della necessità di protezione dei diritti umani.

Il collegamento tra questi spostamenti migratori dalla portata così consistente, che vedono nel clima la loro causa principale, e la protezione dei diritti fondamentali dell’uomo ha una natura che merita di essere analizzata nel dettaglio: infatti è

trattamenti inumani e degradanti (intese in particolar modo come impossibilità di assicurare standard di vita dignitosi e diritto al cibo). Questa stabilisce che l’eventuale rischio di subire tali violazioni nel paese d’origine comporta un divieto di respingimento da parte dello Stato terzo, dove il migrante si trova. Per un approfondimento sul case study riguardante le isole dell’Oceano Pacifico e la decisione del Comitato, si veda infra, Cap. IV.

121 CASSESE A., op. ult. cit. p. 107-113. 122 Vedi supra, p. 37.

necessario chiedersi perché i migranti ambientali, soggetti alle catastrofiche conseguenze dei cambiamenti climatici (che siano questi a rapido o a lento esordio123) dovrebbero avere diritto ad una tutela giuridica adeguata.

Per poter spiegare in modo esaustivo quali dovrebbero essere i fondamenti teorici di questa protezione, è doveroso descrivere come i diritti umani e la tutela dell’ambiente siano a loro volta strettamente interconnessi. Si tratta di stabilire la portata del riconoscimento dei diritti riguardanti l’ambiente, e quale sia il vantaggio di approcciarsi a questi utilizzando gli strumenti di tutela previsti per i diritti umani124. Se si parte dall’idea che questa via sia percorribile e utile allo scopo, questa può essere concepita secondo due diversi approcci, come affermato dallo studioso M. Anderson125. Il primo prevede che la protezione dell’ambiente sia utilizzata proprio come mezzo per la protezione dei diritti umani: la degradazione dell’ambiente naturale in cui l’uomo vive porta inevitabilmente alla violazione di diritti umani ormai riconosciuti a livello internazionale, come quello alla vita, alla salute, al cibo e a degli adeguati standard di vita. Partendo da questo presupposto, mettere in atto dei meccanismi efficienti per la protezione dell’ambiente porterebbe alla salvaguardia e alla tutela non solo dei diritti delle generazioni attuali, ma soprattutto di quelle future. Il secondo approccio percorribile, invece, inverte la prospettiva usata fino ad ora: la protezione dei diritti umani, sia di prima che di seconda generazione, può viceversa essere utilizzata per costruire un sistema politico e sociale in cui sia l’ambiente stesso ad essere tutelato, come se esistesse un inalienabile “diritto all’ambiente” che deve declinarsi necessariamente in interventi effettivi per il raggiungimento di questo scopo.

123 Vedi supra, Cap. I, § 4.

124 Su questo punto e sulle altre vie che possono essere intraprese per la tutela dei diritti legati

all’ambiente, si veda infra, Cap. II, § 1.4

125 ANDERSON M., Introduction in Human Rights approaches to environmental protection,

Sempre nell’ottica quindi secondo cui i diritti umani e il diritto all’ambiente possano essere utilizzati gli uni per la protezione dell’altro, l’effettivo declinarsi di questo rapporto, secondo le vie viste fino ad ora, potrà tradursi in tre ipotesi diverse che prendono forma all’interno del dibattito accademico, concretizzandosi poi in scelte operative. La prima vede semplicemente un rafforzamento degli sforzi profusi per la protezione dei diritti umani, che già di per sé hanno una struttura talmente forte e permeante da rendere superflua l’enucleazione di qualsiasi tipo di previsione specifica per l’ambiente. Il secondo sistema invece prevede una pervasiva reinterpretazione e riformulazione126 che precede la fase di applicazione delle norme sui diritti umani, le quali non contengono ab origine un chiaro contenuto riferito alla tematica ambientale, vista la mancanza dell’attuale rilevanza di questa al momento della loro formulazione: in questo modo i criteri ambientali possono essere incorporati e resi necessari per il raggiungimento della protezione del diritto in questione127.

126 RODRIGUEZ-RIVEIRA L.E., Is the Human Right to Environment Recognized Under

International Law? It Depends on the Source, Id. 12 CoLo. J. Int’l Envitl. L. & POL'Y 1, 19, 2001, cit. p. 18.

127 A tal proposito, è possibile citare uno degli obiettivi che si proponeva di raggiungere il cosiddetto

Ksentini Report, prodotto appunto da Fatma Zohra Ksentini, Special Rapporteur delle Nazioni Unite incaricata dalla Sub-Commission on Prevention of Discrimination and Protection of Minorities, di elaborare un report riguardante il problema dell’ambiente in relazione ai diritti umani. Questo avvenne dopo l’adozione da parte Commissione sui Diritti Umani di una decisione nel 1990, intitolata “Human rights and the environment”, nella quale era sottolineata la connessione tra la preservazione dell’ambiente e la promozione dei diritti umani.

Il punto 5 stabilisce uno degli obbiettivi che il Report conta di raggiungere:

«The Special Rapporteur remains convinced that providing the various agents and beneficiaries of this evolving right with the legal framework and means of expression, communication, participation and action will reinforce the channels for dialogue, discussion and cooperation nationally, regionally and internationally, thereby making it possible to define the mutually agreed component of this right as well as its harmonious application, in conformity with the universally recognized fundamental principles of human rights. Human rights would thereby gain a new dimension. In addition, they should make it to go beyond reductionist concepts of "mankind first" or "ecology first" and achieve a coalescence of the common objectives of development and environmental protection. This would signify a return to the principal objective that inspired the Universal Declaration of Human Rights, whose article 28 states: "Everyone is entitled to a social and international order in which the rights and freedoms set forth in this Declaration can be fully realized".»

UN Commission on Human Rights, Sub-Commission on Prevention of Discrimination and Protection of Minorities, Human Rights and the Environment, Final Report of the Special Rapporteur. UN Doc. E/CN.4/Sub.2/1994/9, 1994.c

Infine, l’ultima ipotesi sarebbe quella di creare nuove norme, in modo tale da poter disciplinare direttamente, ed in modo puntuale, i vari aspetti che attengono alla tematica ambientale. La concettualizzazione di nuove norme può riguardare diritti a carattere

procedurale, come il diritto all’informazione, o quello alla partecipazione alle decisioni

che abbiano impatto climatico, oppure può declinarsi nell’enucleazione di norme con carattere sostanziale.

Dal punto di vista accademico, una via intermedia tra le ultime due proposte è quella analizzata da quella parte di dottrina128, che accenna alla teorizzazione di una ulteriore categoria di diritti umani, definiti di terza generazione129, legati a una matrice fondamentalmente solidaristica. Vi sarebbero quindi il diritto alla pace, allo sviluppo e, inter alia, il diritto ad un ambiente sano130. L’ambiente quindi, visto come un diritto

di solidarietà, presupporrebbe una notevole cooperazione tra Stati per il raggiungimento di obiettivi globali131. Lo stesso principio, seppure non indicato sotto

128 BOYLE A., The Role of International Human Rights Law in the Protection of the Environment

in Human Rights approaches to environmental protection, BOYLE A., ANDERSON M., Clarendon Paperbacks, 1998, cit. p. 46.

129 VASAK K., A 30-year struggle - The sustained efforts to give force of law to the Universal

Declaration of Human Rights, UNESCO Courier,1977, cit. p. 29.

130 A tal proposito, è da considerare che l’inclusione del diritto all’ambiente nel novero di quelli che

sono stati definiti diritti umani di terza generazione è stata criticata in particolar modo a causa della sua prospettiva antropocentrica, mentre secondo molti la protezione dell’ambiente dovrebbe essere semplicemente collettiva ed ecocentrica. CHURCHILL R., Environmental Rights in Existing

Human Rights Treaties, in Human Rights approaches to environmental protection, op. ult. cit., p.

108.

131 I beni come acqua e risorse naturali vengono definiti materiali, ma rimandano a concetti più

complessi e stratificati, proprio come quello di ambiente o salute. Sull’introduzione di questi beni in una eventuale tassonomia per la teorizzazione di un possibile statuto dei beni comuni, che preveda anche modalità di gestione e partecipazione, si veda MARRELLA M.R. (a cura di), Oltre il pubblico

e il privato - Per un diritto dei beni comuni, Ombre Corte, 2012, cit. p. 17. E ancora, nello stesso

volume, una critica ad Hardin (The Tragedy of the Commons, 1968) e alla sua costruzione giuridico- filosofica che vede prima il diritto di proprietà come l’unico strumento coercitivo di governo per salvare le risorse naturali dalla “tragedia” dell’essere “comuni”, ma allo stesso tempo sostiene la necessità di introdurre regole finalizzate alla tutela dell’ambiente, che fungano da limite per il diritto di proprietà stesso, già inteso come limite allo sfruttamento incontrollato. Sul punto, si veda NIVARRA L., Alcune riflessioni sul rapporto fra pubblico e comune, cit. p. 76. Sulla teoria della “tragedia dei beni comuni”, HARDIN G., The Tragedy of the Commons, in Science, Vol.162, n.3859, 1968.

la nozione di “solidarietà”, coincide con il concetto di “responsabilità comuni ma

differenziate”, che viene espresso nell’Art. 7 della Dichiarazione di Rio, nel quale si

legge che: «Gli Stati coopereranno in uno spirito di partnership globale per conservare, tutelare e ripristinare la salute e l'integrità dell'ecosistema terrestre. In considerazione del differente contributo al degrado ambientale globale, gli Stati hanno responsabilità comuni ma differenziate. I paesi sviluppati riconoscono la responsabilità che incombe loro nel perseguimento internazionale dello sviluppo sostenibile date le pressioni che le loro società esercitano sull'ambiente globale e le tecnologie e risorse finanziarie di cui dispongono»132. Tuttavia, come osserva Boyle, tradurre il concetto di solidarietà in termini concreti pone non pochi problemi a livello interstatale, poiché comporterebbe uno specifico impegno da parte dei Paesi sviluppati al fine di permettere ai Paesi in via di sviluppo di dotarsi delle strutture e tecnologie necessarie al raggiungimento di obiettivi ambientali133.

Nonostante la creazione di questa categoria non incontri il parere positivo di tutti i teorici134, negli ultimi anni il diritto all’ambiente sano è stato introdotto come diritto

132 Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo, 1992.

133 Secondo quanto analizzato da A. Boyle, il nocciolo della questione risiede nell’interpretazione

dei Trattati Internazionali che stabiliscono questi legami di collaborazione tra Stati. Infatti, nessun trattato internazionale che riguardi la tematica ambientale specifica in termini stringenti l’obbligo, in capo ai Paesi sviluppati, di impostare il livello e la frequenza del trasferimento di fondi verso i Paesi in via di sviluppo per l’adeguamento e la costruzione di strutture adeguate a permettere uno sviluppo sostenibile dal punto di vista climatico. Quindi, mentre i Paesi sviluppati si avvalgono di questa interpretazione, quelli in via di sviluppo propendono invece per una lettura che pone in capo ai primi vincoli materiali che li obblighino al sostegno economico, così da poter compensare il gap che li separa, in termini tecnologici e strutturali, dai Paesi che siano già forniti di tali strutture o che abbiano già raggiunto livelli tecnologici avanzati. Questa lettura in termini mutualistici della questione climatica è la stessa che si può trovare alla base del principio delle “responsabilità comuni ma differenziate”, e rappresenterebbe una ulteriore faccia del concetto di “solidarietà”: tuttavia, vedere questo problema attraverso il filtro dei diritti umani, e soprattutto in base alla creazione di una terza categoria di questi, risulta un’argomentazione purtroppo debole e sicuramente non risolutiva del nodo interpretativo prima esposto. BOYLE A., The Role of International Human

Rights Law in the Protection of the Environmen, op. ult. cit. p. 57-59.

134 MACKLEM P., Human rights in international law: three generations or one? In the book The

fondamentale all’interno di diversi trattati regionali per la protezione dei diritti umani135.

1.3 Le ipotesi di interconnessione tra deterioramento climatico-ambientale