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Capitolo II – La problematica giuridica della tutela del migrante ambientale

2. L’evoluzione storica delle norme internazionali per la protezione dell’ambiente

2.2. Gli obiettivi di sviluppo sostenibile e l’Agenda ONU

Un altro passaggio fondamentale nell’elaborazione dei punti cardine del diritto internazionale ambientale, che riguarda molto da vicino il fenomeno delle migrazioni forzate legate ai cambiamenti climatici, è relativo alla stesura di quella che, al momento della sua elaborazione, è stata denominata Agenda 21212. Il documento, elaborato nel corso della conferenza di Rio de Janeiro del 1992, ha lo scopo di incentivare una

209 PORENA D., La protezione dell’Ambiente tra Costituzione italiana e «Costituzione globale»,

Giappichelli Editore, 2009, cit. p. 101.

210 Principio 16 - Dichiarazione di Rio de Janeiro. (Enfasi aggiunta). 211 PORENA D., op. cit. p. 104.

212 Documento di intenti ed obiettivi programmatici su ambiente, economia e società sottoscritto da

oltre 170 paesi di tutto il mondo, durante la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (UNCED) svoltasi a Rio de Janeiro nel giugno 1992. Per ulteriori approfondimenti, si veda

programmata integrazione tra le politiche ambientali e quelle di sviluppo economico: un’ottica quindi che sia in grado di intersecare settori d’intervento diversi, ma funzionali per il raggiungimento contemporaneo di obiettivi strettamente interconnessi. Come afferma D. Porena, nel documento «particolare rilievo è dedicato alle politiche di lotta alla povertà come condizione indispensabile per il perseguimento di uno sviluppo sostenibile. La centralità di quest’ultimo obiettivo muove dall’acquisita consapevolezza che, sin quando vi saranno aree del globo dove la preoccupazione principale continuerà ad essere legata ai livelli di alimentazione della popolazione, di certo, tutte le problematiche legate al degrado ambientale finiranno (giustificatamente) per passare in secondo piano, e l’ambiente continuerà ad essere visto solo come una

risorsa da sfruttare al massimo grado per sopperire alle necessità della popolazione»213.

Il documento originario è formato da 40 capitoli suddivisi in 4 sezioni, riguardanti le dimensioni economiche e sociali, la conservazione e la gestione delle risorse, il rafforzamento del ruolo dei gruppi più significativi dal punto di vista sociale e gli strumenti di attuazione.

Il passaggio successivo fondamentale dopo la stesura dell’Agenda 21 si è svolto a New York, dal 6 all’8 Settembre 2000, giorni durante i quali si è tenuta la cosiddetta

Millennium Assembly dell’Onu. Al termine dell’Assemblea, è stata adottata la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, contenente gli otto obiettivi di

213 In tal senso quindi, si vede come quello della povertà, dell’alimentazione e della stretta

connessione tra questi temi e quello dello sfruttamento delle risorse naturali di un determinato ambiente siano fondamentali in un’ottica di sviluppo sostenibile. E’ intuitivo immaginare come questi punti siano a loro volta profondamente legati non solo alla necessità della tutela dell’ambiente

in sé, al fine di evitarne uno sfruttamento indiscriminato, ma anche alla dinamica dei movimenti

migratori dovuti a disastri ambientali, specialmente quelli a lungo decorso, come la desertificazione. Questi disastri spesso vedono, tra le conseguenze più devastanti, la distruzione delle risorse naturali di determinati luoghi, che rappresentano l’unico mezzo di sostentamento per le popolazioni lì stanziate. N.d.r.

sviluppo sostenibile214, che avrebbero dovuto vedere realizzazione entro la fine del 2015.

Gli Obbiettivi del Millennio sono poi stati ufficialmente sostituiti proprio nel 2015, anno in cui è stato costruito un nuovo programma di azione: in occasione del summit di New York svoltosi ancora una volta a settembre è stato definito il contenuto della nuova Agenda, intitolata proprio “Trasforming our world: the 2030 Agenda for

Sustainable Development”, presentata dal Segretario Generale Ban Ki-moon. Così, gli

obbiettivi del Millennio sono diventati i Sustainable Development Goals215. Come

214 I Millenium Development Goals erano: sradicare la povertà estrema e la fame nel mondo, rendere

universale l'istruzione primaria, promuovere la parità dei sessi e l'autonomia delle donne, ridurre la mortalità infantile, ridurre la mortalità materna, combattere l'HIV/AIDS, la malaria e altre malattie, garantire la sostenibilità ambientale, creare un partenariato mondiale per lo sviluppo. Bollettino n.20 – Dichiarazione del Millennio (Assemblea Generale, risoluzione A/55/2-8 settembre

2000).

215 I Sustainable Development Goals sono: 1. Sconfiggere la povertà; 2. Sconfiggere la fame:

garantire la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un'agricoltura sostenibile; 3. Buona salute: garantire una vita sana e promuovere il benessere di tutti a tutte le età; 4. Istruzione di qualità: garantire a tutti un'istruzione inclusiva e promuovere opportunità di apprendimento permanente eque e di qualità; 5. Parità di genere: raggiungere la parità di genere attraverso l'emancipazione delle donne e delle ragazze; 6. Acqua pulita e servizi igienico-sanitari: garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile di acqua e servizi igienico-sanitari; 7. Energia rinnovabile e accessibile: assicurare la disponibilità di servizi energetici accessibili, affidabili, sostenibili e moderni per tutti; 8. Buona occupazione e crescita economica: promuovere una crescita economica inclusiva, sostenuta e sostenibile, un'occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti; 9. Innovazione e infrastrutture: costruire infrastrutture solide, promuovere l'industrializzazione inclusiva e sostenibile e favorire l'innovazione; 10. Ridurre le diseguaglianze: ridurre le disuguaglianze all'interno e tra i paesi; 11. Città e comunità sostenibili: creare città sostenibili e insediamenti umani che siano inclusivi, sicuri e solidi; 12. Utilizzo responsabile delle risorse: garantire modelli di consumo e produzione sostenibili; 13. Lotta contro il cambiamento climatico: adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze; 14. Utilizzo sostenibile del mare: conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile; 15. Utilizzo sostenibile della terra: proteggere, ristabilire e promuovere l'utilizzo sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire le foreste in modo sostenibile, combattere la desertificazione, bloccare e invertire il degrado del suolo e arrestare la perdita di biodiversità; 16. Pace e giustizia: promuovere lo sviluppo sostenibile; 17. Rafforzare gli strumenti di attuazione e rivitalizzare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile. Trasforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development, A/RES/70/1t,

sostenuto da F. Biermann e altri autori216, tuttavia, il problema fondamentale che riguarda i SDG è che essi sono ormai radicati a livello internazionale, ma non sono giuridicamente vincolanti, e lo strumento che è stato utilizzato per enuclearli non intende garantire una forza giuridica che ne permetta l’immediata realizzazione. Questo tuttavia non implica necessariamente un esito negativo rispetto ai propositi, sicuramente ambiziosi, che la comunità internazionale si è nuovamente posta nel 2015. Come gli esponenti della dottrina espongono, molto dipenderà dagli sviluppi politici futuri all’interno dello scenario internazionale, dall'evoluzione dell'assetto istituzionale globale, ma soprattutto dai singoli processi nazionali messi in atto per il raggiungimento degli obbiettivi prefissati.

Gli obiettivi preposti nell’Agenda 2030 sono i più diversificati, e rappresentano un’evoluzione dettagliata di quelli già visti nel 2000. Analizzandoli nello specifico è possibile comprendere come, un’attenta politica di sviluppo adottata su scala mondiale, potrebbe incidere notevolmente nel comportare conseguenze particolarmente positive rispetto ai cambiamenti che hanno afflitto quello che ormai da molti studiosi è stato definito antropocene217. Tuttavia, adottare politiche comuni che siano in grado di

216 BIERMANN F., KANIE N., E KIM R., Global governance by goal-setting: the novel approach

of the UN Sustainable Development Goals, in Current Opinion in Environmental Sustainability,

2017, cit. p. 26.

217 «Termine divulgato dal premio Nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen, per definire

l’epoca geologica in cui l’ambiente terrestre, inteso come l’insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge ed evolve la vita, è fortemente condizionato a scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana. Non essendo un periodo accolto nella scala cronostratigrafica internazionale del tempo geologico (secondo i dettami dell’ICS, International

commission of stratigraphy), l’A. si può far coincidere con l’intervallo di tempo che arriva al

presente a partire dalla rivoluzione industriale del 18° sec., ossia da quando è iniziato l’ultimo consistente aumento delle concentrazioni di CO2 e CH4 in atmosfera. In questo periodo l’impatto

dell’uomo sugli ecosistemi si è progressivamente incrementato, veicolato anche da un aumento di 10 volte della popolazione mondiale, traducendosi in alterazioni sostanziali degli equilibri naturali (scomparsa delle foreste tropicali e riduzione della biodiversità, occupazione di circa il 50% delle terre emerse, sovrasfruttamento delle acque dolci e delle risorse ittiche, uso di azoto fertilizzante agricolo in quantità superiori a quello naturalmente fissato in tutti gli ecosistemi terrestri, immissione in atmosfera di ingenti quantità di gas serra ecc.)» Definizione di antropocene, Enciclopedia

incidere così significativamente su tutti e 17 i punti previsti nell’Agenda presuppone uno studio approfondito e costante da parte di tutti gli attori della comunità internazionale: proprio nella realizzazione di questo disegno comune, infatti, si vedrebbe il massimo grado di operatività del principio di cooperazione già più volte richiamato, e già da tempo considerato, appunto, uno dei capisaldi del diritto internazionale ambientale. Un esempio di quanto detto può essere riassunto nel collegamento fondamentale che sussiste proprio tra il cambiamento climatico in atto e i fenomeni migratori. Partendo dagli obbiettivi di sviluppo sostenibile, infatti, è possibile considerare l’obbiettivo 13, che riguarda proprio la lotta al cambiamento climatico e la necessità di adottare misure che siano in grado di combattere le sue conseguenze. E’ ormai chiaro tuttavia che combattere il cambiamento climatico significa allo stesso tempo fare i conti con le conseguenze che questo produce, e quindi, in particolar modo, con le sfide rappresentate proprio dalla mobilità umana originata da disastri climatici di diversa natura e portata. Questo vuol dire che, per raggiungere risultati apprezzabili riguardo all’obbiettivo 13, è allo stesso tempo indispensabile adottare politiche efficienti che riguardino anche l’obbiettivo 1 (ridurre i tassi di povertà e l’impatto che questa ha sulla popolazione globale), l’8 (buona occupazione e crescita economica), il 10 (ridurre le diseguaglianze), e soprattutto il 2 (sconfiggere la fame e promuovere un’agricoltura sostenibile).

Se infatti l’obbiettivo 13 non prende in considerazione esplicitamente i fenomeni migratori, è evidente come la capacità delle popolazioni di far fronte agli shock causati dai cambiamenti climatici sia legato a doppio filo con la possibilità che le popolazioni meno avvantaggiate hanno di rafforzare i meccanismi di resilienza e la capacità di adattamento nei confronti di eventi estremi, che siano essi di natura climatica,

economica o sociale218. Fondamentale, da questo punto di vista, appare la valutazione dei rischi, che costituiscono proprio la base per la gestione di eventuali catastrofi. La difficoltà di elaborare piani di questo tipo risiede nel fatto che, spesso, questi sono basati su fotografie “istantanee” che si riferiscono solo a uno specifico momento, e non riflettono invece la natura dinamica di questi fenomeni. Le valutazioni dei rischi, infatti, raramente tengono conto dei modelli migratori e delle fluttuazioni demografiche, ma questi elementi sicuramente andranno ad incidere sul livello di rischio legato all’eventualità che si verifichino eventi catastrofici di diversa natura. La capacità dei soggetti di affrontare i cambiamenti climatici incide sugli spostamenti sia all’interno che all’estero dei confini nazionali. Proprio allo stesso modo, coloro che si vedono costretti a migrare spesso sono portati a decisioni così drastiche perché i mezzi di sussistenza a cui sono legati diventano insostenibili. Si faccia, per esempio, riferimento alle pratiche agricole in zone definite semi-aride. In questi paesi il tasso di migrazione aumenta vertiginosamente all’aumentare della lunghezza dei periodi di siccità. In questi casi, quindi, studiare in modo approfondito quali sono le cause specifiche che portano i soggetti a migrare, rappresenta la chiave per comprendere in modo peculiare il livello di rischio legato a quella specifica area219, in modo tale da poter attuare delle politiche

e dei piani di adattamento che tengano conto dei fattori specifici caratterizzanti il clima di quella zona, e le capacità e le caratteristiche di chi la abita220. Migrare, infatti, non

218 Sulle difficoltà nella realizzazione di questi obbiettivi in ambienti esposti a gravi rischi climatici,

vedi infra, Cap. IV.

219 Sulle capacità di adattamento e la necessità di comprendere a fondo le sfaccettature legate

all’obbiettivo 13, si veda WILKINSON E., SCHIPPER L., SIMONET C., KUBIK Z., Climate

change, migration c.salfiand the 2030 Agenda for Sustainable Development, Overseas Development

Institute, 2016, cit. p. 7.

220 «Yet facilitating migration when people decide to move voluntarily to seek more resilient

livelihoods will require recognition of the challenges posed by migration and better infrastructure planning.» Sul punto, si veda sempre WILKINSON E., SCHIPPER L., SIMONET C., KUBIK Z.,

sempre è l’unica risorsa possibile per chi si trova ad affrontare i cambiamenti climatici. Il compito difficile che spetta ai decisori è quello di considerare se la politica di adattamento dovrebbe spingere le persone a diventare più resilienti in un determinato luogo, o se può risultare più efficiente fornire a questi soggetti degli strumenti adeguati che li aiutino ad allontanarsi da quei luoghi. Per ritornare sull’esempio pregnante relativo al settore agricolo, vi sono casi in cui, per i piccoli proprietari terrieri, riuscire a sopravvivere utilizzando i prodotti delle proprie colture come mezzo di sostentamento rappresenta già una grande sfida. Per questi soggetti, i cambiamenti climatici rappresentano fattori che rendono ancora più difficili e remote le speranze di poter avere dei raccolti decenti in futuro. In questi casi quindi, gli autori delle politiche di adattamento, in un’ottica che tiene conto delle diverse sfaccettature del concetto di “sviluppo sostenibile”, dovrebbero chiedersi se investimenti che permettono di ottimizzare i metodi di irrigazione, oppure che promuovono varietà di colture più tolleranti o alternative, possono risultare efficienti o più probabilmente contribuiscono ad aumentare il livello di vulnerabilità di quei soggetti a lungo termine. In questo caso, se queste nuove varietà di colture non dovessero riuscire a essere prodotte in numeri consistenti, o ad essere vendute, questo potrebbe addirittura peggiorare notevolmente le condizioni dei soggetti che da queste dipendono, i quali, nel frattempo, avranno magari investito tempo e risorse preziose nell’acquisto di semente specifiche o avanzate tecnologie. In casi come questi, potrebbe quindi essere più opportuno e lungimirante fornire a questi soggetti degli strumenti che gli permettano di migrare.

Capitolo III – Strumenti giuridici e prospettive future per la tutela