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La Convenzione di Ginevra e i presupposti dello status di rifugiato

La posizione accademica fino ad ora esposta però presenta non poche problematicità da un punto di vista giuridico. Per poter affrontare questa questione, sarà necessario delineare in modo puntuale sulla base di quali criteri un soggetto possa ritenersi giuridicamente in possesso dello status78 di rifugiato. I criteri che descrivono questa figura infatti sono indicati nella Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati79. La Convenzione, promulgata grazie all’attività delle Nazioni Unite, contiene all’interno del’art.1 la descrizione della figura del rifugiato, delineato come quel soggetto che, nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dallo Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi80. Innanzitutto è fondamentale ricordare che il riconoscimento dello status di rifugiato ha natura dichiarativa81 e non

78 CASETTA E., (a cura di) FRACCHIA F., Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, 2….., cit.

p. 322-323. In termini giuridici, il termine status è utilizzato rispetto a un soggetto che si trova in una particolare posizione complessiva nell’ordinamento. Con status si intendono le qualità attinenti alla persona che derivano dalla sua appartenenza volontaria o necessari ad un gruppo, e rappresentano quindi il presupposto per l’applicazione di una serie di norme. Queste norme così costituiscono nei confronti dei soggetti a cui lo status è riconosciuto una situazione giuridica uniforme. Per altri chiarimenti sul termine, vedi TORRENTE A., SCHLESINGER P., Manuale di

diritto privato, Giuffrè, 2017, cit. p.

79 La Convenzione di Ginevra è stata adottata il 28 luglio del 1951, è entrata in vigore il 22 aprile

del 1954 ed è stata ratificata dall’Italia tramite la l. n.722/24 luglio 1954. È stata poi modificata dal Protocollo di New York del 1967, che ha rimosso le limitazioni temporali e geografiche che invece erano presenti nel testo originario, e che consentivano l’applicazione del testo solo a soggetti europei coinvolti in eventi verificatisi prima del 1° gennaio 1951.

80 Convenzione di Ginevra del 1951 – Convezione sullo Statuto dei rifugiati, Art.1.A.2.

81 CELENTANO S., Lo status di rifugiato e l’identità politica dell’accoglienza, in Questione

Giustizia, Associazione Magistratura Democratica, Fascicolo 2, 2018, cit. p. 68.

Sulla natura dichiarativa del riconoscimento si sono espresse le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza 17 Dicembre 1999 n. 907, con la quale si afferma che «La qualifica di

costitutiva. Quindi «una persona non diventa rifugiato perché è riconosciuta come tale, ma è riconosciuta come tale proprio perché è un rifugiato»82. Ciò vuol dire che l’obbligo di tutela nei confronti del richiedente sorge nel momento in cui la condizione del soggetto soddisfa i requisiti che sono indicati all’interno dell’art. 1, indipendentemente dal riconoscimento formale di tale status da parte dello Stato a cui viene richiesta tale protezione. Richiamato questo punto fondamentale, si può quindi passare all’analisi puntuale degli elementi costitutivi della fattispecie, al fine di verificare se lo strumento in esame possa essere utilizzato ai fini della tutela del migrante ambientale. Il primo requisito richiesto è il “fondato timore di persecuzione”, che si sostanzia in due componenti necessarie: la prima, soggettiva, riguarda la condizione mentale che viene descritta dal soggetto richiedente, il quale appunto si trova in una situazione tale da poter personalmente “provare” timore a causa dell’eventuale permanenza all’interno del territorio ostile, per via di atteggiamenti che da lui siano stati recepiti come persecutori; la seconda componente invece è di tipo oggettivo, e riguarda la “fondatezza” di tale timore. Si tratterà quindi di verificare che le percezioni del soggetto richiedente siano basate su elementi oggettivi e verificabili, attraverso quindi l’acquisizione di testimonianze o di altri elementi di varia natura che permettano di ricostruire oggettivamente la situazione presente nel Paese di

rifugiato politico ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 costituisce, come quella di avente diritto all’asilo (dalla quale si distingue perché richiede, quale fattore determinante, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito non richiesto dall’art. 10, comma 3, Cost.) una figura giuridica riconducibile alla categoria dello “status” e dei diritti soggettivi, con la conseguenza che tutti i provvedimenti assunti dai competenti organi in materia hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, e le controversie riguardanti il riconoscimento della posizione di rifugiato (così come quelle sul riconoscimento del diritto all’asilo) rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, una volta definitivamente abrogato dall’art. 46 L. 40/98, l’art. 5 dl n. 416/89, convertito con modificazioni dalla L. 39/90 (abrogazione confermata dall’art. 47 del Tu d.lgs 286/98) che attribuiva al giudice amministrativo la competenza per l’impugnazione del provvedimento di diniego dello status di rifugiato».

82 In questi termini FRANCHINI C., Lo status di rifugiato nella Convenzione di Ginevra, in

provenienza, di modo tale da poter ottenere un riscontro della fondatezza del timore83. Tuttavia, in base al processo interpretativo del dato letterale, è stato ritenuto non necessario che il soggetto abbia già personalmente sperimentato atti di persecuzione. Oltre al fondato timore, la Convenzione parla poi di persecuzione, tuttavia non prevede una definizione testuale di tale requisito. In seguito a un processo interpretativo estensivo che ha avuto come oggetto il testo dell’articolo, questo è stato letto tenendo conto in particolar modo dello scopo ultimo che la Convenzione si propone di raggiungere. La Convenzione, in questa ottica, è stata combinata con altri strumenti forniti dal diritto internazionale, i quali hanno contribuito ad ampliare il novero delle ipotesi di persecuzione oltre i confini letterali proposti dalla legge84. Il risultato di questo processo interpretativo porta quindi ad affermare che, per atti di persecuzione, possano essere intesi tutti quegli atti che conducono a violazioni evidenti dei diritti umani fondamentali, nonché a comportamenti discriminatori, qualora producano effetti particolarmente pregiudizievoli nei confronti di soggetti singoli o di intere categorie. Questo meccanismo di adattamento della Convenzione ne consente l’utilizzo come strumento di tutela che sia in grado di adattarsi alle diverse condizioni temporali e ai vari contesti in cui venga invocato85. Ciò non toglie, tuttavia, che la persecuzione

83 Le dichiarazioni, in generale, devono essere complete, soddisfacenti e chiare: il soggetto deve

fornire ogni eventuale elemento probatorio in suo possesso (compatibilmente con le condizioni in cui egli versava nello Stato di provenienza), al fine di verificare la generale attendibilità di quanto dichiarato. Così FRANCHINI C., Lo status di rifugiato nella Convenzione di Ginevra, cit. p. 15.

84 In questi termini PERRINI F., Cambiamenti climatici e migrazioni forzate – Verso una tutela

internazionale dei migranti ambientali, Ordine Internazionale e Diritti Umani, Collana Monografie,

Vol.4, Editoriale Scientifica. cit. p. 87.

85 Da ricordare comunque che la Convenzione non stabilisce quale debba essere l’iter del paese di

destinazione riguardo a valutazione e accertamento dei presupposti. Quindi lo Stato in cui viene richiesto il riconoscimento dello status può adottare la procedura che ritiene più opportuna. A tal proposito il Comitato Esecutivo (EXCOM) del Programma dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha adottato, nel 1977 una Conclusione (n. 8 / XXVIII) indicante una serie di condizioni e requisiti da osservare per garantire un esame appropriato delle richieste di riconoscimento. Così FERRARI G., La Convenzione sullo status dei rifugiati - Aspetti Storici, Relazione tenuta dall’autore, Funzionario dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR/UNHCR) – all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, organizzato da

rimane un elemento costitutivo della fattispecie in esame. Prendendo in considerazione la figura del migrante ambientale, e facendo riferimento alle categorie più avvalorate che sono già state prese in considerazione86, nelle ipotesi in questione non è stato possibile ampliare il concetto di persecuzione a tal punto da poter far rientrare al suo interno le cause climatiche e quindi la protezione dei migranti, non essendo stata messa in atto una vera e propria forma di persecuzione nei loro confronti87. Il presupposto previsto dalla Convenzione appare concettualmente diverso da un’eventuale causa di spostamento migratorio causato da fattori climatici. L’ipotesi di un ampliamento di tale portata dello strumento in questione potrebbe avvenire sempre in chiave interpretativa, e solo per via giurisprudenziale, ma soltanto qualora le gravissime condizioni climatiche abbiano causato una situazione talmente compromettente da rappresentare una violazione innegabile di diritti umani fondamentali.

L’altra condizione per il riconoscimento dello status è che il richiedente abbia abbandonato il Paese di provenienza88. Quindi «la protezione internazionale non puo’

diventare operante fin tanto che la persona si trova sul territorio del suo Paese d’origine»; in questo caso invece, in correlazione alla figura del migrante ambientale, il requisito sembrerebbe sussistere, giacché è stato dato come assodato che il soggetto migrante abbia appunto abbandonato il proprio luogo d’origine a causa di fattori di natura climatica. Anche l’altro requisito, ovvero la mancanza di protezione all’interno del paese di origine89, potrebbe essere considerato esistente nell’analisi del caso in

Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Facoltà di Scienze Politiche, Cattedra di Diritto Internazionale, 2004, cit. p. 25.

86 Vedi supra, paragrafo precedente.

87 MAYER B., International law and climate migrants: a human rights perspective, in Sustainable

development law on climate change – Legal Working Paper, 2011, p. 5

88 Così l’ALTO COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE SUI RIFUGIATI, Manuale sulle

procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato, Ginevra 1979, cit. p. 22.

89 L’articolo 1 parla anche dei casi in cui sia lo stesso soggetto richiedente a non voler avvalersi

questione. Quando sono state analizzate le varie categorie di migranti, si è visto come sia possibile che si verifichino situazioni di gravità tale da non permettere un intervento efficiente che possa garantire una protezione immediata a questi soggetti. La portata delle calamità naturali potrebbe, talvolta, essere talmente devastante o invasiva, al punto da richiedere degli interventi effettivi che lo Stato stesso non può garantire o attuare fisicamente. Questo sia per quanto riguarda la concreta realizzazione di questi, sia per quanto riguarda il profilo temporale, poiché l’eventuale intervento spesso può non essere sufficientemente tempestivo, in modo tale da attenuare la causa della catastrofe o i suoi effetti in tempi effettivamente utili90.

Oltre ad analizzare i presupposti in base ai quali è possibile riconoscere lo status di rifugiato, è allo stesso tempo necessario fare riferimento a quelle che la Convenzione del 1951 pone, a prescindere dalle ipotesi di applicazione, come clausole di esclusione. Nell’art. 1.F infatti sono descritte tre ipotesi di condotte che determinano una non meritevolezza dello status: a) aver commesso crimini contro la pace, crimini di guerra o contro l’umanità, come definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini; b) commissione di crimini gravi di diritto comune al di fuori del territorio del Paese di accoglimento prima di aver ottenuto l’ammissione all’interno di questo in qualità di rifugiato; c) aver commesso atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite. L’art. 1 tuttavia non è l’unico presente nella Convenzione a stabilire un regime di protezione particolarmente elevata per soggetti esposti a rischi nel Paese di origine. Di

cui parla la norma stessa. Si presuppone che il soggetto non voglia richiedere protezione perché sono le autorità stesse a permettere il perpetrarsi di una situazione di timore. In questi termini CELENTANO S., Lo status di rifugiato e l’identità politica dell’accoglienza, Questione Giustizia, Associazione Magistratura Democratica, Fascicolo 2, 2018, cit. p. 77.

90 A tal proposito, possono essere presi in considerazione ipotesi come quelle della scomparsa di

territori insulari a causa dell’innalzamento del livello del mare (vedi infra, Cap. IV), oppure agli effetti devastanti che possono avere inondazioni o tsunami, che spesso richiedono risorse di pronto intervento delle quali lo Stato stesso non dispone. N.d.r.

fondamentale importanza infatti è il principio di non refoulement, contenuto all’interno dell’art.3391 della stessa Convenzione. Questa, infatti, più che garantire, a coloro i quali sono stati già riconosciuti come rifugiati, il diritto di essere ammessi nel territorio del Paese che hanno scelto in modo stabile, garantisce invece «all’individuo in questione il diritto a non essere condotto contro la sua volontà verso il proprio Stato in quanto ivi sussista un concreto rischio di persecuzione»92. Si è già accennato al fatto che l’art.33 parli esplicitamente di rifugiati. Tuttavia, si può ritenere che l’articolo possa essere applicato in generale a tutti i richiedenti asilo93, in via anticipatoria rispetto al formale

riconoscimento dello status di rifugiato94. E’ già stato chiarito95, infatti, che la natura

91 Art. 33 – 1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso

i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche. 2. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese.

92 CALAMIA A.M., DI FILIPPO M., GESTRI M., Immigrazione, Diritto e Diritti: profili

internazionalistici ed europei, Cedam, 2012, cit. p. 93.

93 Fondamentale ricordare che, nel diritto italiano, con richiedente asilo si intende il soggetto che

deve essere tutelato in base all’art. 10 della Costituzione. I diversi tipi di status che il richiedente asilo può vedersi riconosciuti sono due: uno è quello relativo all’attribuzione della condizione di rifugiato, già analizzato. In mancanza dei requisiti previsti per essere considerato tale tuttavia, il richiedente può vedersi riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria, qualora corra un rischio effettivo di subire un grave danno nel Paese di provenienza. Sulla distinzione tra rifugiato e richiedente asilo, CAMERA DEI DEPUTATI, SERVIZIO STUDI, XVIII legislatura, Diritto di

asilo e accoglienza dei migranti sul territorio, marzo 2019: «Anche se i due termini sono spesso

usati come sinonimi, l'istituto del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello status di rifugiato. Per quest'ultimo non è sufficiente, per ottenere accoglienza in altro Paese, che nel Paese di origine siano generalmente represse le libertà fondamentali, ma occorre che il singolo richiedente abbia subito specifici atti di persecuzione. Il riconoscimento dello status di rifugiato è entrato nel nostro ordinamento con l'adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951», e ancora «Successivamente, la normativa UE ha introdotto l'istituto della protezione internazionale che comprende due distinte categorie giuridiche: i rifugiati, disciplinati come si è detto dalla Convenzione di Ginevra, e le persone ammissibili alla protezione sussidiaria, di cui possono beneficiare i cittadini stranieri privi dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ossia che non sono in grado di dimostrare di essere oggetto di specifici atti di persecuzione, ma che, tuttavia, se ritornassero nel Paese di origine, correrebbero il rischio effettivo di subire un grave danno e che non possono o (proprio a cagione di tale rischio) non vogliono avvalersi della protezione del Paese di origine. Una ulteriore fattispecie è la protezione temporanea che può essere concessa in caso di afflusso massiccio ed ingente». Cit, p.1.

94 Per una classificazione specifica dei rimedi applicabili nell’ordinamento italiano, si veda infra,

Cap. III § 2. Tutti gli istituti applicabili e i riferimenti normativi sono stati richiamati poi nella nota n. 244.

dell’attribuzione di tale status sia di carattere dichiarativo e non costitutivo, e quindi il rifugiato è colui che soddisfa i requisiti indicati dalla Convenzione, a prescindere dal riconoscimento formale ottenuto sulla base di un procedimento di diritto interno. Sarebbe quindi incongruente con le finalità della Convenzione stessa riservare l’operatività del non refoulement solo a chi abbia già ottenuto questo riconoscimento formale, rischiando quindi di esporre il soggetto richiedente a un danno grave e irreparabile96. Molto si è dibattuto sulla portata dell’art. 33 come strumento internazionale di tutela97 e sull’esistenza di una norma consuetudinaria che abbia come contenuto proprio il principio di non refoulement98, nonostante non sia l’unica posizione presente in dottrina. Anche in questo caso il dato testuale della norma non presenta indicate al suo interno le cause climatiche o ambientali come presupposti per l’applicazione del principio di “non respingimento”; tuttavia, vista la portata interpretativa sempre più ampia di questo articolo e il prospettarsi della sua applicazione come principio guida del diritto internazionale99, sarebbe auspicabile la

sua estensione, al fine di permettere anche la tutela dei migranti ambientali100.

Avendo quindi analizzato la Convenzione di Ginevra e i presupposti specifici previsti sia dall’art.1.A. che dall’art. 33, si può concludere affermando che, al momento, la Convenzione non è lo strumento adatto a proteggere in modo effettivo e sicuro la figura del migrante ambientale: piuttosto essa potrebbe essere presa in considerazione come

96 P. BENVENUTI, La Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, in PINESCHI L. (a cura

di), La tutela internazionale dei diritti umani, 2006, cit. p. 168.

97 RIZZO M.P., Immigrazione irregolare via mare tra obblighi di soccorso e principio di non-

refoulement, in Immigrazione e condizione giuridica dello straniero, a cura di MOSCHELLA G., BUSCEMA L., Diritto dell’immigrazione, Aracne Editrice, 2016, cit. p. 190.

98 GOODWIM-GILL G.S., MCADAM J., The Refugee in International Law, Oxford, 2007;

SALERNO F., L’obbligo internazionale di non refoulement dei richiedenti asilo, in Diritti umani e

diritto internazionale, 4, 2010, cit. p. 488.

99 Sul punto, vedi infra, decisione del Comitato Onu trattata all’interno del Cap. IV.

100 IANOVITZ S., I “rifugiati climatici”: una questione aperta, in Diritti umani e diritto

modello di riferimento per la creazione di strumenti giuridici specifici per la tutela di questa categoria101.

Capitolo II – La problematica giuridica della tutela del migrante