Capitolo III – Strumenti giuridici e prospettive future per la tutela dei migranti climatic
4. Verso una prospettiva futura: possibili soluzioni per la tutela dei migranti ambiental
4.1 L’iniziativa Nansen
L’ultima necessaria iniziativa che deve essere presa in considerazione in tale sede è la cosiddetta Nansen Initiative. Si tratta di un progetto consultivo che nasce dal basso,
prende il nome dal Premio Nobel per la Pace Fridtjof Nansen298 e viene avviato nel
2012 da parte di Svizzera e Norvegia: questo nasce proprio con l’intento di focalizzare l’attenzione necessaria sulla tematica dei migranti costretti ad attraversare i confini nazionali per via di cause legate al cambiamento climatico, e di coinvolgere all’interno del dibattito consultivo non solo gli Stati in cui l’iniziativa è partita, ma anche tutte le
297 In questi termini si esprime PERRINI F., Cambiamenti climatici e migrazioni forzate – Verso
una tutela internazionale dei migranti ambientali, Ordine Internazionale e Diritti Umani, Collana
Monografie, Vol.4, Editoriale Scientifica. Cit., p. 131-139.
298Fridtjof Nansen è stato un esploratore, scienziato e politico norvegese. Dopo la carriera
accademica negli ambiti della zoologia ed oceanografia, si è dedicato all’attività politica, che lo ha portato ad essere Alto Commissario per i Rifugiati alle Nazioni Unite dal 1920 al 1930. E’ stato l’ideatore del cosiddetto passaporto Nansen, documento finalizzato alla protezione degli apolidi. Per il lavoro svolto in campo umanitario e per l’impegno nell’organizzare un programma di soccorso per le vittime colpite dalla carestia in Russia nel 1922, è stato insignito nello stesso anno con il Premio Nobel per la pace.
altre parti, o paesi, interessati a trovare soluzioni migliori per la problematica urgente. Nel 2011 si svolge ad Oslo la Nansen Conference on Climate Change and
Displacement. In questa sede vengono elaborati i dieci Principi Nansen299, che
consistono fondamentalmente in delle linee guida per poter affrontare in modo sistematico le sfide causate dagli spostamenti cross-borders nel contesto del
cambiamento climatico. Il principio uno300 sottolinea la necessità di approfondire gli
studi relativi ai cambiamenti climatici: è stato già detto quanto la materia in questione tocchi ambiti molto diversi, e lo stesso fenomeno delle migrazioni non può essere ricondotto ad una matrice con natura unitaria. Il progetto Nansen evidenzia quindi che questo presupposto rende necessario prendere in considerazione le evidenze scientifiche che siano state raggiunte in relazione alle problematiche relative ai
cambiamenti climatici301, in modo tala da poterle usare e combinare efficientemente
con politiche volte a limitare e prevenire gli effetti che queste catastrofi possono avere sulla popolazione mondiale.
Gli stessi principi poi si focalizzano interamente sull’importanza di valutare attentamente quali siano le popolazioni più esposte a tali generi di rischi: è infatti un triste dato di fatto che le condizioni di benessere e i mezzi di sussistenza non siano distribuiti equamente tra le popolazioni di tutti gli Stati che compongono la comunità
internazionale nella sua interezza. Mentre la già citata Agenda 2030302 ha avuto lo
scopo di prefissare una serie di obiettivi finalizzati alla riduzione di questi gap
299 Principi che poi porteranno a delineare le linee d’azione dell’interna iniziativa. Sul punto, vedi
KÄLIN W., From the Nansen Principles to the Nansen Initiative, in Forced Migration Review, 2012, cit. p. 48-49.
300 Principle I. «Responses to climate and environmentally-related displacement need to be informed
by adequate knowledge and guided by the fundamental principles of humanity, human dignity, human rights and international cooperation.».
301 Sul punto vedi supra, Cap. I § 2. 302 Sul punto si legga supra, Cap II § 2.2.
notevolmente critici, proprio seguendo questa scia il progetto Nansen ha avuto a sua volta il merito di pensare con un’ottica meno generale e più focalizzata alle problematiche a cui popolazioni particolarmente vulnerabili possono essere sottoposte, anche a causa della mancanza di mezzi che permettano di far fronte a tali situazioni di necessità. Ecco perché il principio V sottolinea la necessità di rafforzare sistemi non
solo di prevenzione, ma anche di resilienza303 a livello nazionale: questo tipo di attività,
sempre da un punto di vista preventivo, aiuterebbero paesi più deboli a costruire in anticipo meccanismi che siano in grado di reggere agli urti gravi causati da fenomeni
naturali improvvisi o a lungo decorso304. L’iniziativa Nansen infatti punta a ridurre la
vulnerabilità di questi soggetti presupponendo un adeguato adattamento delle infrastrutture interne, una progettazione dello sviluppo cittadino e un rafforzamento delle comunità che riguardi non solo i soggetti costretti a partire, ma soprattutto quelli
disponibili a ricevere e ospitare305. Il trasferimento pianificato306, infatti, viene preso
in considerazione come ultima risorsa, laddove non vi siano più soluzioni alternative, proprio perché ad esso sono associati tutti una serie di effetti negativi non di poco conto:
303 UNISDR - Terminology on disaster risk reduction
«Resilience” -“Ability of a system, community or society exposed to hazards to resist, absorb, accommodate to and recover from the effects of a hazard in a timely and efficient manner, including through the preservation and restoration of its essential basic structures and functions.”
Resilience means the ability to “resile from” or “spring back from” a shock. The resilience of a community in respect to potential hazard events is determined by the degree to which the community has the necessary resources and is capable of organizing itself both prior to and during times of need», 2009, cit. p. 24.
304 Per l’analisi specifica di situazioni particolarmente gravi in cui gli eventi a lungo decorso abbiano
drammaticamente inciso su sistemi di sostentamento, costringendo la comunità internazionale a focalizzare la propria attenzione su fenomeni di questo genere, si rimanda specificatamente al capitolo successivo.
305 Agenda for the protection of cross-border displaced persons in the context of disasters and
climate change, 2015, cit. p. 8.
306 “A planned process in which persons or groups of persons move or are assisted to move away
from their homes or places of temporary residence, are settled in a new location, and provided with the conditions for rebuilding their lives.”
Brookings, Georgetown University and UNHCR, “Guidance on Planned Relocation within National Borders: To Protect People from Impacts of Disasters and Environmental Change, Including Climate Change,” Articolo, 2015
si pensi alle difficoltà di gestione materiale che possono sorgere laddove intere comunità necessitano di essere dislocate, e quale impatto questi possano avere sulle comunità a loro volta ospitanti in termini economici, sociali e culturali. Per questo motivo gli ideatori del progetto hanno ritenuto che possa essere molto più utile mettere in comunicazione i soggetti colpiti e quelli disposti ad aiutare, creando una rete che sia già solida e pronta a reggere agli urti laddove si dovesse verificare la necessità di uno
spostamento307. Proprio in tale ottica, gli slow-onset hazard sono i più i più impegnativi
da gestire308: si tratta di ipotesi in cui l’eventualità di una migrazione può essere
considerata, a primo impatto, volontaria, proprio perché non si ha a che fare con un evento dalla portata catastrofica immediata. Tuttavia questa considerazione non può essere presa come corretta in termini assoluti: quando i rischi dovuti a fenomeni dalla lenta manifestazione vanno ad accumularsi senza che vi sia stato un impegno per gestirli o arginarli, questo può portare all’esplosione di una fase di emergenza che si traduce in carestie e principalmente mancanza di cibo; situazioni quindi in cui lasciare
quei posti per cercare aiuto altrove può diventare scelta obbligata309. Anche l’ipotesi in
cui si verifichino, l’uno di seguito all’altro, tanti micro-eventi improvvisi, può portare a situazione difficilmente recuperabili se non ci si preoccupa per tempo di costruire sistemi di resilienza che permettano a queste comunità di non arrivare a punti talmente
critici da non permettere altra scelta se non lasciare quei territori310.
307 Agenda for the protection of cross-border displaced persons in the context of disasters and
climate change, 2015, cit. p. 9
308 Principle IX. «A more coherent and consistent approach at the international level is needed to
meet the protection needs of people displaced externally owing to sudden-onset disasters. States, working in conjunction with UNHCR and other relevant stakeholders, could develop a guiding framework or instrument in this regard.» Poco giustificata quindi l’assenza del riferimento agli slow- onset hazards nel principio 9. N.d.r.
309 Agenda for the protection of cross-border displaced persons in the context of disasters and
climate change, 2015, cit. p. 24.
Il decalogo prodotto dall’iniziativa Nansen non manca di sottolineare le criticità dovute ad una mancata attuazione di tutti i principi del diritto internazionale già ampiamente richiamati nel seguente lavoro: non a caso il principio VII richiama alle norme già prodotte, mentre il principio VIII fa riferimento alla disciplina sui Guiding Principles on Internal Displacement, che, come già detto, rappresentano uno dei più efficienti modelli di riferimento che potrebbero essere estesi anche a casi di spostamenti di massa
oltre i confini nazionali311.
L’ottobre 2015 si è tenuta a Ginevra un’assemblea di consultazione intergovernativa che ha portato all’elaborazione di un’Agenda per la protezione dei soggetti costretti da
circostanze climatiche ad oltrepassare i confini nazionali312. Gli obiettivi futuri da
realizzare sono quindi in primo luogo relativi alla protezione delle displaced persons: il primo step sarebbe fornire a questi soggetti una protezione umanitaria che li riconosca come più di semplici migranti, laddove il livello di criticità nello Stato di origine sia ancora alto e difficilmente gestibile. Sarebbe auspicabile inoltre lo sviluppo di meccanismi che permettano di determinare quando, per questi soggetti, sia possibile prospettare un ritorno in patria, e creare dei canali privilegiati che facilitino questi spostamenti. Nel caso in cui questo non fosse ancora possibile, applicarsi per fornire ai displaced documenti che permettano la loro temporanea residenza nello Stato di destinazione, ed attivare delle misure adeguate per supportare i legami culturali e familiari con lo Stato d’origine laddove un ritorno non sia ancora auspicabile.
Per quanto riguarda la gestione del rischio nel paese di origine, invece, tra gli obiettivi che l’Agenda propone il più importante sicuramente riguarda lo studio approfondito
311 Sugli IDPs, vedi supra, Cap III § 1.
312 Agenda for the protection of cross-border displaced persons in the context of disasters and
delle condizioni climatiche delle varie zone e l’individuazione preventiva delle aree esposte ai maggiori rischi, col fine di ideare degli eventuali piani di reazione grazie alla partecipazione e supporto delle autorità nazionali e locali. Anche la firma di accordi regionali sulla migrazione potrebbe contribuire alla creazione di “corridoi migratori” che prevedano procedure semplificate dal punto di vista burocratico e logistico. Questo soprattutto nel caso di necessità di trasferimento pianificato, di modo tale da poter tenere in particolar conto fattori sociali, economici, culturali e demografici relativi sia a chi parte che a chi ospita, con particolare attenzione per le esigenze di soggetti particolarmente vulnerabili in queste condizioni, come i bambini o le popolazioni indigene.
Infine l’Agenda prevede la creazione di occasioni di dialogo inter-statale, mediante la cooperazione e il coordinamento con le organizzazione e le agenzie internazionali. Attraverso la concretizzazione di tale obbiettivo, sicuramente, sarebbe possibile implementare tutti gli altri targets contenuti nel documento.