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Gli “slow-onset hazards”: ipotesi di connessione tra sussistenza e migrazione

Capitolo IV – Migrazione, mezzi di sostentamento e cambiamenti climatic

alimentare 1.2. Gli “slow-onset hazard”: ipotesi di connessione tra sussistenza e migrazione 2 Alimentazione, sviluppo e standard di vita nelle isole dell’Oceano

1. Diritto ad un adeguato standard di vita, diritto al cibo e sicurezza alimentare

1.2 Gli “slow-onset hazards”: ipotesi di connessione tra sussistenza e migrazione

Quando si parla di sicurezza alimentare, il riferimento ai fenomeni climatici che influenzano i meccanismi di produzione e di accesso è evidente.

I disastri naturali causati da eventi improvvisi (rapid-onset hazards) producono un impatto immediato sugli stanziamenti umani, e rappresentano il collegamento più diretto e più facilmente inquadrabile tra cambiamenti climatici e migrazione: inondazioni, tsunami o tempeste possono apportare ingenti danni ad abitazioni, distruggendo villaggi, stabilimenti e colture. Gli eventi di cronaca hanno reso tristemente noti gli effetti che gli uragani, per esempio, possono avere su territori altamente urbanizzati come quelli di città pienamente sviluppate sulle coste degli Stati Uniti327. La situazione diventa particolarmente critica laddove eventi di questo tipo, anche se dalla portata più limitata, si verifichino in luoghi in cui la popolazione rurale ancora si organizza e vive in villaggi che sopravvivono con risorse minime. Questi eventi producono movimenti migratori necessari, ma spesso non definitivi, in quanto i nuclei familiari tendono a non oltrepassare i confini nazionali nell’attesa che sia possibile ritornare negli stanziamenti originari. Comunque, cioè che rileva in questi termini è principalmente il legame abbastanza diretto che vi è tra evento climatico e spostamento328.

327 Si pensi all’uragano Katrina, che produsse innumerevoli danni e vittime in diverse città. Tra tutte,

un di quelle che risentì di più dell’evento fu New Orleans. N.d.r.

328 Sull’incidenza di eventi a rapida insorgenza ed eventi a lungo termine sui meccanismi migratori,

BRAMBILLA A., Migrazioni indotte da cause ambientali: quale tutela nell’ambito

dell’ordinamento giuridico europeo e nazionale?, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza,

L’ipotesi qui analizzata nello specifico, invece, fa riferimento a pattern molto più complessi da ricostruire. Nel paragrafo precedente sono stati descritti i pilastri della sicurezza alimentare evidenziando come gli eventi climatici si collochino tra tutta una serie di fattori che influenzano i modelli di produzione e di gestione delle risorse di cibo. Avendo fatto questa premessa, e proseguendo nell’analisi di questa correlazione, è proprio in questo punto che si collocano gli slow-onset events: la successiva possibile conseguenza direttamente dipendente dalla mancanza di risorse alimentari in una determinata area risulta essere lo spostamento329. A differenza delle ipotesi precedenti, dove la migrazione risulta come conseguenza urgente dell’evento climatico improvviso (inondazione, pioggia torrenziale, tsunami), in questi casi invece l’evento climatico si verifica sul lungo periodo, andando a intaccare sulla disponibilità di risorse alimentari nel lungo termine: fattore, quest’ultimo, che infine può portare alla migrazione forzata. Gli eventi a cui si sta facendo riferimento prevedono ipotesi di innalzamento del livello del mare, periodi di prolungata siccità, salinizzazione, acidificazione degli oceani, ritiro dei ghiacciai, desertificazione e perdita della biodiversità. I movimenti migratori infatti il più delle volte risultano come un utile meccanismo di adattamento ai cambiamenti del territorio, che avvengono appunto distribuendosi in un periodo di tempo molto più lungo. Il lento procedimento che porta al verificarsi di eventi simili non permette un intervento tempestivo o una presa di coscienza immediata rispetto agli effetti che si produrranno in una determinata area. Quando si parla di innalzamento dei livelli del mare, per esempio, si descrive un fenomeno che agisce in periodi di osservazione dell’ordine di anni. Tuttavia ciò produce una costante erosione della costa, e di conseguenza quelle aree diventano di fatto inabitabili. Gli effetti del fenomeno si

329 Sull’analisi degli effetti degli slow-onset hazard, vedi Migration, agriculture and climate change

percepiscono - prima che negli altri - nel settore alimentare: l’innalzamento del livello del mare porta innanzitutto all’erosione diretta dei terreni agricoli collocati nelle zone costiere; la produttività agricola inoltre può essere gravemente inficiata dalla salinizzazione delle acque di falda in prossimità delle coste e dei terreni coltivati, dai quali dipendono i piccoli proprietari che non vedranno opzione rimanente se non quella di spostarsi in aree in cui le risorse alimentari non siano così gravemente compromesse. In situazioni di sicurezza alimentare già instabile queste ipotesi risultano particolarmente problematiche perché possono comportare alla scomparsa di interi territori abitabili330, dove risiedevano comunità rurali già caratterizzate da un tasso di povertà particolarmente alto: spostarsi a volte è un meccanismo necessario ma che richiede l’impiego di risorse economiche minime. Proprio per questo la situazione diventa particolarmente drammatica nei casi in cui, a causa di estreme condizioni di povertà e indigenza, intere comunità non abbiano la possibilità economica di muoversi, vedendosi costretti quindi a rimanere in aeree del tutto esposte e di fatto invivibili vista la mancanza di mezzi di sostentamento basilari.

Prendendo in considerazione le complicate dinamiche che si hanno tra il deterioramento dei mezzi produttivi e la decisione di migrare, altro evento esemplificativo particolarmente impattante è quello della desertificazione. Nonostante il termine rievochi scenari particolarmente drastici, in termini precisi, quando si parla di desertification, ci si riferisce a una “land degradation in arid, semi-arid, and dry sub- humid areas resulting from many factors, including climatic variations and human activities”331

. Il numero maggiore di persone che abitano territori sottoposti a questo

330 Vedi il caso delle cosiddette “Small Sinkink Inslands”, capitolo successivo. 331 (United Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD), 1994.

Sui fattori del processo di desertificazione, si veda rapporto IPCC, Special Report on Climate

Change and Land, Cap.3 - Desertification, 2016, cit. p. 258. «Processes of desertification are

rischio è collocato nell’Asia Meridionale, nell’Africa Sub-Sahariana e nell’America Latina. Anche qui, queste popolazioni sono particolarmente vulnerabili al fenomeno perché i loro standard di vita sono strettamente dipendenti da attività come agricoltura e pastorizia. L’allevamento di bestiame infatti era già da tempo stato utilizzato come strategia di adattamento ai cambiamenti stagionali, e presupponeva gli spostamenti attraverso ampie porzioni di territorio. L’inaridimento di terreni prima utilizzati per il pascolo ha reso questa forma di sostentamento ancora più difficile, causando sovente conflitti con produttori sedentari che si dedicano invece all’agricoltura, già di per sé messa a dura prova dalle condizioni climatiche. Le comunità che vivevano di pastorizia, quindi, sono diventate tra le più esposte ai cambiamenti in atto, non essendo sufficientemente preparate a gestire gli effetti di innalzamenti così ingenti delle temperature. Ad oggi, rimangono uno dei gruppi sociali più a rischio a causa dei fenomeni di siccità prolungata.332

Questo e molti altri fenomeni rappresentano una esemplificazione del rapporto multi- causale che si viene a creare tra cambiamenti climatici a lungo decorso, risorse ambientali, mezzi di sussistenza e migrazione.

Tra gli altri strumenti di diritto internazionale già analizzati333 e nati al fine di

monitorare e prevenire situazioni critiche come queste, sicuramente è necessario fare riferimento, in questo specifico contesto, al coerente Sendai Framework for Disaster

Risk Reduction 2015-2030. La dichiarazione è stata adottata a conclusione della Terza

Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulla Riduzione del Rischio da Disastro, tenutasi in Giappone, a Sendai, nel 2015. Il documento è un accordo non vincolante,

biological processes. These processes are classified under broad categories of degradation of physical, chemical and biological properties of terrestrial ecosystems».

332 IPCC, Special Report on Climate Change and Land, Cap. 3 - Deesertification, 2016, cit. p. 257. 333 Per il Protocollo UN vedi supra, Cap. II § 2.

che tuttavia ha come obbiettivo quello dello sviluppo delle relazioni che intercorrono tra nazioni e organizzazioni intergovernative, principalmente animate dal tentativo di promuovere politiche e scelte comuni che possano ridurre il rischio e l’impatto di catastrofi naturali; responsabilità questa, che in tal modo, potrebbe essere condivisa da tutti gli attori internazionali, oltre che ricadere sul singolo Stato.

Lo scopo principale è quello di studiare e prevenire il rischio di disastri frequenti o meno, sia a rapido che a lungo decorso, di natura antropica o ambientale, attraverso un documento che possa fungere da guida nella gestione del rischio di catastrofi. Gli obiettivi principali prefissati riguardano la riduzione della mortalità per disastri, la diminuzione del numero di persone coinvolte, la riduzione delle perdite economiche in relazione al prodotto interno lordo globale (GDP), ma soprattutto l’incremento del numero di paesi dotati di strategie efficienti di monitoraggio e riduzione del rischio di disastri, in particolar modo attraverso meccanismi di cooperazione internazionale che forniscano un sostegno adeguato ai paesi in via di sviluppo coinvolti nella necessaria attuazione di questo quadro. Questo approccio mira in particolar modo al rafforzamento di sistemi notevolmente vulnerabili come quelli presi in considerazione in precedenza. Laddove fosse messo in atto, soprattutto a livello nazionale, da tutti gli attori a cui si rivolge non solo il Sendai Framework, ma tutti gli altri strumenti adottati in un’ottica globale e lungimirante, sicuramente si raggiungerebbero risultati nel rafforzamento di sistemi di prevenzione e risposta al cambiamento, invece di vedere come unica opzione quella dello spostamento. Queste soluzioni promosse da molte organizzazioni internazionali contribuirebbero sicuramente a gestire il problema a monte, anche se non a risolverlo del tutto, visto gli innumerevoli elementi in gioco; sicuramente diminuirebbe il rischio dover fronteggiare situazioni drastiche come quelle in cui di fatto si trovano i migranti climatici e le popolazioni che si trovano ad accoglierli,

soprattutto in assenza di strumenti giuridici attualmente vincolanti adibiti specificatamente alla loro protezione.