Nel 1953 si aprì la seconda legislatura, che vide un tenue riavvicinamento delle posizioni fra i democristiani e le forze di sinistra, dettato soprattutto dalla necessità di rieleggere il Capo dello stato, poiché il settennato di Luigi Einaudi, eletto nel maggio del 1948, sarebbe venuto a scadere nel maggio del 1955. 7 Cfr. E. CHELI, Costituzione e sviluppo delle istituzioni in Italia cit., p. 56‐57. 8 Cfr. P. CALAMANDREI, La Costituzione e le leggi per attuarla in Dieci anni dopo. 1945‐1955, aa.vv., Bari, Laterza, 1955, p. 78.
Dall’accordo fra la Democrazia Cristiana, i socialisti e i comunisti scaturì, dunque, l’elezione a Presidente della Repubblica di Giovanni Gronchi, leader e fondatore della DC, nonché appartenente alla sua ala più di sinistra.
Si trattò, però, di un’elezione fortemente contrastata dai vertici della Democrazia Cristiana e, ciò nonostante, imposta dalla necessità di uscire da quel “congelamento” istituzionale, in cui la politica italiana si era pericolosamente infilata.
La presidenza della Repubblica di Giovanni Gronchi fu quindi emblematica per il varo delle prime leggi di attuazione della nostra Carta costituzionale.
Sotto la sua presidenza prese finalmente a funzionare la Corte Costituzionale, che tenne la sua prima udienza il 23 aprile 1956. Furono altresì varate la l. 33/1957, istitutiva del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, e la l. 195/1958, istitutiva del Consiglio Superiore della Magistratura. Fu proprio grazie al riavvicinamento nel 1953 fra le posizioni della Democrazia Cristiana e quelle del Partito Socialista Italiano e del Partito Comunista Italiano, che fu varata la l. 62/1953, rubricata «Costituzione e funzionamento degli organi regionali», meglio nota come legge Scelba. Detta legge, oltre a disciplinare la costituzione e il funzionamento degli organi regionali, come indicato in rubrica, istituì anche il commissario del governo presso la regione, nonché i controlli sull’attività amministrativa regionale.
dell’ordinamento regionale, dall’altro ingessò il sistema prima ancora della sua creazione.
Le norme sull'organizzazione interna delle regioni, infatti, contenute nei titoli III e IV della legge, disciplinarono in maniera così dettagliata il contenuto dei futuri statuti regionali, da deprivare gli eligendi consigli regionali di gran parte dell’autonomia statutaria costituzionalmente prevista.
Inoltre, la legge Scelba subordinò l’esercizio del potere legislativo delle regioni alla necessaria previa adozione di apposite leggi cornice, da parte del legislatore statale, al fine di stabilire i principi fondamentali, entro cui le regioni ad autonomia ordinaria avrebbero potuto legiferare nelle materie rientranti nella competenza legislativa concorrente fra lo stato e le regioni.
L’avvicinamento fra i cattolici di centro e le forze laiche di sinistra, avvenuto durante la seconda legislatura, si rivelò tuttavia fugace e le posizioni politiche tornarono a divergere durante tutto decennio compreso fra il 1958 ed il 1968, nel pieno divampare della guerra fredda.
Nel 1964, attraverso la presentazione del d.d.l. 1391, il governo provò a sottoporre al parlamento l’esame di un progetto di legge elettorale per le regioni.
Nell’ambiguità del testo costituzionale, che non precisava se il sistema di elezione dei consigli regionali sarebbe dovuto essere diretto o indiretto, il progetto di legge proponeva un’elezione di secondo grado dei consiglieri regionali, come designazione da parte dei consigli
provinciali. Tuttavia, questo progetto di legge fu ritirato dal governo. Fu solo verso la fine degli anni Sessanta che, in tema di ordinamento regionale, si poté finalmente assistere ad un vero e proprio “disgelo” costituzionale, quando venne approvata la l. 108/1968, recante «Norme per la elezione dei consigli regionali delle regioni a statuto normale».
Con questa legge fu decisamente imboccata la strada dell’elezione di primo grado dei consigli regionali, che avrebbero potuto quindi affermare la loro piena autonomia politica, grazie all’investitura diretta da parte del corpo elettorale.
Tuttavia, a causa della dubbia legittimità costituzionale della legge Scelba del 1953 sul contenuto dei futuri statuti regionali, dal momento che recava norme così dettagliate da ledere chiaramente la sfera dell’autonomia statutaria regionale, il legislatore statale, al fine di evitare un sicuro contenzioso con le regioni, fu costretto a correre ai ripari, approvando la l. 1084/1970, meglio conosciuta sotto il nome di legge Pieraccini‐Signorello.
La legge Pieraccini‐Signorello stabilì all’art. 2 che le disposizioni contenute nei titoli III e IV della legge Scelba avrebbero trovato applicazione fino all’entrata in vigore degli statuti ordinari delle varie regioni.
Grazie alla nuova disposizione introdotta nel 1970, le norme recate dalla legge Scelba, per quanto attiene alla costituzione e al funzionamento degli organi regionali, divennero semplici norme dispositive, che, come lecito aspettarsi, furono poi più o meno
largamente derogate dai vari statuti regionali successivamente approvati.
Con la l. 281/1970, poi, fu finalmente data attuazione alle previsioni costituzionali in tema di finanza delle regioni ad autonomia ordinaria.
Detta legge, oltre a stabilire quali sarebbero state le entrate attribuite alla regione, conteneva anche un'ampia delega per l'emanazione dei decreti del governo, in attuazione dell’VIII disp. trans. e fin. cost., per il passaggio delle funzioni e del personale alle regioni.
La l. 281/1970 cercò infine di porre rimedio alla vistosa menomazione dell’autonomia legislativa regionale, recata dall’art. 2 della legge Scelba.
Detta norma, che aveva subordinato l’esercizio del potere legislativo delle regioni alla previa adozione di apposite leggi cornice, da parte del legislatore statale, fu sostituita con la previsione che la funzione legislativa regionale si sarebbe dovuta svolgere «nei limiti dei principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti».
Con la novella legislativa recata dalla l. 281/1970, dunque, i consigli regionali avrebbero potuto legiferare fin da subito nelle materie rientranti nella potestà legislativa concorrente di cui all’art. 117 cost., senza dover più attendere alcun intervento del legislatore statale, ma semplicemente rispettando i principi fondamentali desumibili dalle leggi vigenti.
Fu così che, dopo una lunga e travagliata gestazione, durata ben oltre ventidue anni, l’8 e il 9 giugno 1970, gli Italiani furono finalmente chiamati alle urne per eleggere i consigli regionali.
4. L’APPROVAZIONE DEI QUINDICI STATUTI DELLE REGIONI AD AUTONOMIA