A MBROSINI ALLA C OMMISSIONE PER LA C OSTITUZIONE
6. L’ ASSENZA DI UNA C AMERA DELLE REGIONI E IL PECCATO ORIGINALE DEL NOSTRO ORDINAMENTO REGIONALE
Fra tutte le materie trattate dall’assemblea costituente, quella relativa alla scelta fra monocameralismo e bicameralismo e, nell’ambito di quest’ultimo, fra i diversi tipi di rappresentanza della seconda Camera, occupò gran parte del dialogo politico fra il 1946 ed il 1947, sia all’interno della II sottocommissione della Commissione dei settantacinque, sia nel dibattito in Aula, vedendo confrontarsi fra loro diverse proposte.
L’ipotesi di un parlamento monocamerale, sostenuta fermamente dai partiti di sinistra, in nome dell’unità della rappresentanza del popolo, fu presto abbandonata dai costituenti, che fin dalle prime battute preferirono piuttosto orientarsi verso un modello parlamentare di tipo bicamerale.
Si accese quindi il confronto fra i sostenitori delle due maggiori esperienze bicamerali moderne.
Da un lato, vi erano coloro che proponevano la scomposizione del potere parlamentare in due Camere distinte, attraverso la creazione di una seconda Camera con funzione di garanzia, per evitare «dittature della maggioranza» e consentire quindi alla minoranza una prova d’appello.
Dall’altro lato, vi erano coloro che proponevano un modello bicamerale più legato alla funzione rappresentativa della seconda Camera, la quale, con una composizione diversa dalla prima, avrebbe
In tal caso, si sarebbe trattato di operare ulteriormente una scelta fra un bicameralismo corporativo, nel quale la seconda Camera avrebbe dovuto annoverare al proprio interno i rappresentati delle diverse categorie economiche e sociali del Paese, ed un bicameralismo territoriale, nel quale, invece, la seconda Camera avrebbe dovuto rappresentare le diverse aree, che compongono la geografia italiana.
All’On. Giovanni Conti, più favorevole alla scelta di un bicameralismo territoriale, in vista dell’ordinamento regionale che si andava costituendo22, si contrappose l’On. Costantino Mortati, più favorevole, invece, alla scelta di un bicameralismo corporativo, in grado di «selezionare particolari capacità e competenze», visto che «uno dei fattori che ha contribuito a determinare la cosiddetta crisi della democrazia è precisamente il difetto di competenze»23.
Fra i due deputati esisteva poi un forte schieramento centro, molto più orientato verso la scelta di un bicameralismo di garanzia, nel quale un ramo del parlamento avrebbe dovuto svolgere il ruolo di Camera di riflessione.
Su queste scelte di fondo, si innestarono poi gli ulteriori dibattiti concernenti la differenziazione o meno dell’elettorato attivo e passivo delle due Camere, la loro elezione diretta piuttosto che indiretta,
22 Cfr. G. CONTI, Proposte del deputato Conti Giovanni su L’organizzazione costituzionale dello stato
in Commissione per la Costituzione, II Sottocommissione, Relazioni in Atti dell’Assemblea Costituente, Roma, Archivio storico della Camera dei Deputati, http://archivio.camera.it.
23 Cfr. C. MORTATI, Relazione del deputato Mortati sul potere legislativo in Commissione per la
Costituzione, II Sottocommissione, Relazioni in Atti dell’Assemblea Costituente, Roma, Archivio
Il dibattito politico si protrasse a lungo nella II sottocommissione, finché il 26 settembre 1946 i costituenti non giunsero all’approvazione di vari ordini del giorno, fra cui assunsero maggior rilievo l’ordine del giorno dell’On. Giovanni Leone, riguardante la «parità delle attribuzioni» da conferire alle due Camere, approvato sulla forte spinta dei partiti di sinistra, che premevano per l’unità della rappresentanza popolare, e l’ordine del giorno proposto dall’On. Egidio Tosato, concernente l’elezione della seconda Camera «su base regionale».
In conclusione, la scelta del bicameralismo territoriale non fu sostenuta con sufficiente coraggio dai suoi promotori e abortì sul nascere, limitandosi i costituenti a prevedere un Senato eletto «a base regionale».
Pertanto, il modello parlamentare che prevalse fu quello del bicameralismo perfetto, con una seconda Camera di garanzia, senz’altro in armonia con l’impianto fortemente pluralista della nostra Costituzione24.
La scelta operata dalla II sottocommissione fu poi presentata in Aula, mediante la relazione dell’On. Meuccio Ruini, il quale la giustificò con «l’opportunità di doppie e più mediate decisioni»25.
In nome, quindi, di un pluralismo orientato più in senso ideologico, verso la ricerca della ricchezza di idee e di opinioni, piuttosto che territoriale, verso la tutela e la valorizzazione della diversa
24
Cfr. E. CHELI, Nata per unire cit., p. 155‐158.
25
l’istituzione di una Camera delle regioni.
Come osserva, dunque, un’autorevole dottrina, in presenza di un’elezione a suffragio universale diretto, la previsione costituzionale di un Senato «eletto a base regionale», non vale a collegare i senatori alle regioni in cui vengono eletti26.
Inoltre, la previsione costituzionale di un numero minimo di senatori da garantire a ciascuna regione, se da una parte potrebbe potenzialmente assicurare una rappresentanza in Senato anche di quelle regioni che, per numero di abitanti, non raggiungerebbero il quoziente minimo necessario per ottenere un senatore, dall’altra non vale comunque ad evitare gravi squilibri fra le rappresentanze regionali, con differenze anche enormi fra regione e regione, senz’altro manifestamente incompatibili con le esigenze di una vera e propria Camera territoriale.
La diversa qualità dell’elettorato attivo e passivo rispetto alla Camera dei Deputati27 e l’appartenenza al Senato degli ex Presidenti della Repubblica e dei senatori a vita di nomina presidenziale, non cambia la qualità del Senato della Repubblica, che rimane comunque una Camera politica. Persino la diversa durata delle due Camere, prevista inizialmente 26 Cfr. A. D’ATENA, Diritto regionale cit., p. 19 e T. MARTINES, A. RUGGERI, C. SALAZAR, Lineamenti di diritto regionale cit., p. 120. 27
L’art. 1 del d.P.R. 223/1967 prevede l’età minima di 18 anni per esercitare il diritto di voto per l’elezione della Camera dei deputati e l’art. 56 cost. prevede l’età minima di 25 anni per essere eleggibili a deputati, mentre l’art. 58 cost. prevede l’età minima di 25 anni per esercitare il diritto di voto per l’elezione del Senato della Repubblica e l’età minima di 40 anni per essere eleggibili a senatori.
Deputati, successivamente portata a 5 anni per entrambe le Camere con l. cost. 2/1963, non sarebbe servita a fornire al Senato della Repubblica una diversa qualità rispetto alla Camera dei Deputati, della quale peraltro possiede le stesse identiche funzioni, in ossequio alla scelta del bicameralismo perfetto operata dal legislatore costituente28.
L’introduzione delle regioni nel nostro ordinamento, non soltanto come enti forniti di potestà amministrativa, ma dotati addirittura della capacità di produrre norme di legge, che si pongono nella gerarchia delle fonti allo stesso livello di quelle statali, aveva rappresentato una novità così dirompente, rispetto a quasi novant’anni di accentramento statale, che l’assemblea costituente non se la sentì di osare di più.
L’assenza fin dall’origine di una sede di raccordo fra lo stato e le regioni, tanto nel circuito parlamentare di produzione legislativa, quanto nel circuito governativo dell’attuazione normativa, fu dunque una chiara scelta politica, che scontava ancora, con tutta evidenza, il grave peso culturale e ideologico di quasi novant’anni di stato accentrato, che neppure l’esasperazione del ventennio fascista era riuscita a cancellare del tutto, nonostante le estreme conseguenze dell’autoritarismo che ne era seguito.
La prudenza di fondo che guidò le scelte del legislatore costituente e che lo trattenne dal compiere un passo più deciso in direzione del regionalismo e del pluralismo territoriale, dalla mancata istituzione di una Camera delle regioni, alla presenza di un opprimente
28
inequivocabilmente e pienamente autonoma, costituì senz’ombra di dubbio quel peccato originale, che macchiò d’incompiutezza, fin dalla sua nascita, il nostro modello regionale.
Quel peccato originale di fondo, unitamente ad una classe politica incapace ancora oggi di risolversi verso quella scelta di campo non decisamente compiuta in sede costituente, mantengono il nostro stato regionale in bilico fra una marcata tendenza accentratrice, che si nasconde dietro il preteso rispetto di un non meglio identificato «interesse nazionale», ed un modello di stato democratico e policentrico delle autonomie, ancora ben lontano dall’essere compiutamente attuato.
CAPITOLO IV