NOVANTA
Il tema delle grandi riforme costituzionali non risulta affatto estraneo al dibattito politico italiano.
Già a partire dalla prima metà degli anni Sessanta, a poco più di quindici anni dall’entrata in vigore della Carta fondamentale del 1948, si cominciò a parlare per la prima volta delle modifiche alla forma di governo.
Nel 1964, infatti, l’ex ministro Randolfo Pacciardi costituì il Movimento per una nuova Repubblica, con lo scopo di promuovere una riforma costituzionale in senso presidenziale.
L’anno successivo il costituzionalista Giuseppe Maranini, fondò un’associazione di intellettuali, denominata Alleanza Costituzionale, che elaborò una serie di emendamenti alla Costituzione, volti ad ottenere una maggiore separazione dei poteri, auspicando al contempo una modifica della legge elettorale in senso maggioritario. Tra i firmatari delle petizioni citate potevano tra l’altro annoverarsi giuristi autorevoli tra cui Vezio Crisafulli e Pietro Rescigno.
Nel 1969 in seno alla Democrazia Cristiana nacque il gruppo Europa 70, che si proponeva di battersi politicamente per ottenere l’elezione diretta del Capo dello stato, nonché una riforma elettorale in senso maggioritario.
Proposte analoghe furono poi formulate anche da Giorgio Almirante durante il congresso del Movimento Sociale nel 1979.
A partire quindi dai primi anni Settanta, anche a seguito della fine del boom economico del secondo dopoguerra, della crisi di autorità, innescata dai moti del 1968 e della delegittimazione delle istituzioni, cagionata dall’esplodere degli attentanti terroristici, si ebbero i primi segni di una grave crisi morale, economica e sociale, che si tradussero in altrettanta instabilità dei governi, principalmente a guida democristiana.
Fu in questo buio contesto storico – cui si fa comunemente riferimento con il nome di anni di piombo e che culminò con il sequestro e la barbara esecuzione dell’allora presidente della Democrazia Cristiana ad opera delle Brigate Rosse – che Bettino Craxi venne eletto alla segreteria del PSI.
Grazie quindi ai numerosi governi a guida socialista, che si susseguirono da lì in avanti, supportati anche da molti intellettuali dell’epoca, fra cui spicca il nome di Giuliano Amato, divenne finalmente concreta la possibilità di realizzare il tanto sospirato tema delle riforme, al fine di modificare quell’impianto istituzionale ereditato dall’assemblea costituente al termine della seconda guerra mondiale, che sembrava ormai incapace di dare agli Italiani quella democrazia efficiente e moderna che essi si aspettavano.
Nella primavera del 1983 furono finalmente approvati dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica due importanti documenti, nei quali, per la prima volta dal 1948, veniva solennemente
proclamata l’esigenza di costituire una Commissione bicamerale per le riforme. Purtroppo, la fine prematura della VIII legislatura parve far naufragare quel progetto.
Quest’ultimo, invece, fu ripreso con vigore dalle forze politiche all’inizio della IX legislatura. Avvenne così che nell’autunno del 1983 fu costituita la prima Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, presieduta dall’On. Aldo Bozzi del Partito Liberale.
I lavori della Commissione bicamerale si conclusero nel gennaio del 1985 con la presentazione in parlamento di una relazione finale, che prevedeva la revisione di ben 44 articoli della Costituzione, con il superamento del bicameralismo perfetto e qualche piccolo rafforzamento dei poteri del presidente del consiglio. Anche in questa occasione, tuttavia, il mutato contesto politico fece cadere nel vuoto il progetto di riforma10.
Si dovette quindi attendere circa otto anni, affinché nel 1992, durante il corso dell’XI legislatura, venisse istituita la seconda Commissione bicamerale per le riforme, presieduta prima dall’On. Ciriaco De Mita della Democrazia Cristiana e poi dall’On. Nilde Iotti del Partito comunista. Quest’ultimo, dopo il crollo del muro di Berlino, avvenuto nel 1989, e la conseguente fine della Guerra fredda e della contrapposizione Est‐Ovest, poteva finalmente dirsi uscito dall’isolamento politico imposto dagli altri partiti. I lavori della Commissione bicamerale De Mita‐Iotti si conclusero 10 Cfr. G. SANGIULIANO, L’inutile federalismo. Il caso Italia e i modelli di autonomia fiscale, Milano, Utet Giuridica, 2012, p. 30‐32.
nel gennaio del 1994 con la presentazione in parlamento di una proposta di revisione dell’intera seconda parte della Costituzione, che prevedeva inoltre l’introduzione della sfiducia costruttiva, sul modello della Repubblica Federale di Germania, e la riduzione a quattro anni della durata della legislatura.
Anche in questo caso, tuttavia, il mutato contesto politico e la grave crisi dei partiti, travolti peraltro dagli eventi giudiziari, passati alla storia con il nome di Tangentopoli, fecero naufragare il tentativo di riforma.
Furono proprio gli eventi giudiziari di Tangentopoli che, imperversando durante il triennio 1992‐1994, portarono al crollo dei due più grandi partiti di governo del secondo dopoguerra, quali la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista.
Il vuoto politico che si venne a creare in quel frangente fu quindi prontamente occupato dal partito di Forza Italia, che poté giovarsi di apparire come una forza politica nuova e non compromessa con l’ancien régime e dal partito della Lega Nord, che costituiva l’espressione di una crescente insofferenza, territorialmente radicata nelle regioni settentrionali del Paese e alimentata dall’idea di un Sud economicamente arretrato, nel quadro della mai sopita questione meridionale.
Il fenomeno della Lega Nord trasse inoltre la sua forza dalla globalizzazione economica che, se da un lato indebolisce e frantuma l’identità politica dei vecchi stati nazione, dall’altro fa sorgere e rafforza l’identità delle collettività locali e il loro bisogno di autogoverno.
Fu dunque dalla fine della prima metà degli anni Novanta che le ipotesi di riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione subirono l’accelerazione maggiore, grazie soprattutto alla spinta della Lega Nord, mossa dalla necessità prioritaria di riorganizzare lo stato su una base federale.
Nel luglio del 1994 fu subito nominato dal primo governo Berlusconi un comitato di studio sulle riforme istituzionali, elettorali e costituzionali, presieduto dal ministro leghista Speroni, che concluse i propri lavori nel dicembre di quello stesso anno, consegnando al Presidente del consiglio una relazione contenente un progetto di modifica tanto della forma di stato, quanto della forma di governo.
Il progetto del ministro Speroni, tuttavia, non poté confluire in alcuna iniziativa legislativa del governo, a causa della crisi politica aperta dalla stessa Lega Nord, la quale portò in breve alla caduta del primo governo Berlusconi e al cosiddetto ribaltone, che aprì immediatamente la porta del governo alle sinistre.
Vista dunque l’impossibilità di presentare il progetto di riforma per il tramite del governo, ormai colpito dalla crisi, il Sen. Speroni cercò di proporre il medesimo progetto al Senato, sotto forma di iniziativa legislativa parlamentare, ma anche tale proposta non ricevette alcun seguito.
Fu così che nel gennaio del 1997, durante la XIII legislatura, fu approvata la l.cost. 1/1997, che, oltre a prevedere un iter legislativo derogatorio rispetto a quello previsto dall’art. 138 cost., consistente nell’obbligo di sottoporre al referendum popolare la successiva legge
costituzionale di riforma, a prescindere dalla maggioranza con cui fosse stata approvata in seconda lettura in parlamento, istituì anche la terza Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, presieduta dall’On. Massimo D’Alema, all’epoca segretario del Partito Democratico della Sinistra.
Nel giugno del 1997 la suddetta Commissione parlamentare licenziò un primo testo completo di riforma, che incideva profondamente sulla seconda parte della Costituzione e che, una volta presentato in parlamento, fu subito oggetto di numerosi emendamenti.
Sulla scorta, quindi, degli emendamenti presentati nei confronti del primo disegno da essa formulato, la Commissione presentò in parlamento, nel novembre di quello stesso anno, il suo secondo e definitivo progetto di legge costituzionale, che tuttavia fu lasciato cadere nel vuoto, per esaurimento dell’accordo politico che era stato alla base dell’intero progetto di riforma11.