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ALLA RICERCA DI UN SIGNIFICATO COMUNE DI COMPETENZA

Studia prima la scientia e poi seguita la pratica nata da essa scientia.

2.2 ALLA RICERCA DI UN SIGNIFICATO COMUNE DI COMPETENZA

Negli ultimi anni, in corrispondenza al delinearsi di un mondo del lavoro radicalmente modificato rispetto al recente passato, la nozione di competenza ha assunto un ruolo centrale nell'educazione scolastica, nella formazione professionale e nella gestione delle risorse umane. Si è oggi sempre più alla ricerca di professionisti in grado di intervenire in contesti complessi, che sappiano far fronte a problemi non ben definiti, a volte contraddittori e spesso completamente nuovi. Il concetto di competenza, quindi, appare strettamente connesso alla capacità di padroneggiare situazioni complesse.

Il termine della competenza non è monosemico ed è stato utilizzato nel tempo con valenze e sfumature semantiche differenti, a seconda del momento, del contesto e delle teorie di riferimento quindi a significare che non c’è un accordo univoco sul significato, ad esempio Di Fabio (2002) elenca nove definizioni diverse. Esistono una grande quantità di definizioni sulla competenza. Una rassegna delle tante definizioni potrebbe causare confusione poiché le differenti sfumature di significato potrebbero ostacolare il tentativo di trovare una definizione chiara, tuttavia in “Allegato 1” ne viene proposta una rassegna significativa. É importante quindi trovare la base comune su cui poggiano i maggiori interventi scientifici a riguardo.

Foulquié, insieme a Mialaret, riconduce la competenza alla sua radice etimologica, il termine deriva dal latino giuridico cum petere, ossia convenire, essere adatto, e la definisce come la capacità “sia giuridica sia professionale, richiesta per assumere alcune funzioni, prendersi carico di una determinata attività” (MIALARET G, 1979; FOULQUIÉ P., 1997). In proposito, è rilevante segnalare come il termine “competenza” sia in uso, nel secolo scorso, solo nel linguaggio giuridico, dove designa titolarità o autorità su un’area territoriale. L’espressione si è in seguito estesa ad altre aree disciplinari, mutando gradualmente di significato ma continuando a rimandare ad un senso di autorevolezza, che giustificherebbe l’utilizzo del termine, prevalente fino ad ora, solo in relazione a professioni medio-alte (ALBERICI A., SERRERI P., 2009).

Nonostante la diffusione ed il successo del concetto di competenza, questo è tuttora utilizzato in maniera molto diversa a seconda dei contesti, degli studi e degli approcci teorici cui si fa riferimento suscitando interessanti interrogativi su cui si sta cimentando anche la ricerca e la letteratura delle scienze dell’educazione e della formazione (MARGIOTTA U., 2007; COSTA M., 2011a).

Come abbiamo visto nel capitolo precedente i primi significati del concetto di competenza richiamavano una prospettiva comportamentista, in base alla quale la competenza si identificava con una prestazione del soggetto osservabile e misurabile. Sulla base di un paradigma progettuale e valutativo basato sulla razionalità tecnica si ambiva a scomporre la competenza in un insieme di prestazioni empiricamente osservabili, la cui sommatoria consentiva di verificare il livello di padronanza del soggetto (la matrice “job/skill” ben rappresenta questo tipo di approccio alla competenza).

Nei decenni successivi si assiste ad un’articolazione progressiva del concetto, che possiamo sintetizzare in tre direzioni evolutive:

dal semplice al complesso: la competenza non è riducibile ad un insieme di prestazioni atomiche e separate, bensì tende ad essere pensata come una integrazione delle risorse possedute dall’individuo, che comporta l’attivazione di conoscenze, abilità e disposizioni personali relative sia al piano cognitivo, sia al piano socio- emotivo e volitivo. La sua espressione richiede di mettere in gioco e mobilitare la globalità della persona nelle sue molteplici dimensioni, non può ridursi a prestazioni isolate e delimitate;

dall’esterno all’interno: l’analisi della competenza richiede di andare oltre i

comportamenti osservabili e di prestare attenzione alle disposizioni interne del soggetto e alle modalità con cui esso si avvicina allo svolgimento di un compito operativo. In questa direzione si colloca la distinzione di origine chomskiana tra “competenza”, intesa come qualità interna del soggetto, e “prestazione”, intesa come comportamento osservabile; distinzione ripresa ed allargata ai processi cognitivi da Bara B.G. (1999: 239): “con il termine competenza intendo l’insieme delle capacità effettivamente dimostrate da un sistema in azione, desumibili direttamente dal suo comportamento in una specifica situazione. La differenza è cruciale per discriminare cosa un sistema è in grado di fare in linea di principio, da quello che effettivamente fa in una situazione concreta;

dall’astratto al situato: la competenza non è riducibile ad un concetto astratto e

generale bensì tende a riferirsi alla capacità di affrontare compiti in specifici contesti culturali, sociali, operativi. Il richiamo a specifici compiti evidenzia sempre più la dimensione contestualizzata della competenza, riconducibile ad un impiego del proprio sapere in situazioni concrete ed in rapporto a scopi definiti (CASTOLDI M., 2009).

Le Boterf riassume il percorso di sviluppo che ha contraddistinto il concetto di competenza nel passaggio dal “saper fare” al “saper agire”: un’espressione che ben sintetizza il passaggio da una visione comportamentista, più centrata sulle dimensione operativa e prestazionale, ad una visione che riecheggia i filoni del costruttivismo sociale e situato. Più precisamente, possiamo definire la competenza come l’“orchestrazione” e la mobilitazione di queste risorse in un dato contesto (LE BOTERF G., 1994; 2000) e secondo coordinate di senso dettate dai modi di concepire il lavoro e le prestazioni professionali dei singoli individui (SANDBERG J., 2000).

Più in generale, sempre Le Boterf (2000), le competenze possono considerarsi come la risultante di tre fattori:

il saper agire, che suppone di saper combinare e attivare delle risorse pertinenti (conoscenze, saper fare, organizzazione…)

il voler agire, che si riferisce alla motivazione ed all’impegno personale del soggetto, il poter agire, che rinvia all’esistenza di un contesto, di una organizzazione del lavoro, delle condizioni sociali che rendono possibili e legittime, per l’individuo, l’assunzione di responsabilità e l’accezione del rischio.

M. Pellerey (2004) definisce la competenza come “capacità di far fronte ad un compito,

o a un insieme di compiti, riuscendo a mettere in moto e ad orchestrare le proprie risorse interne, cognitive, affettive e volitive, e a utilizzare quelle esterne disponibili in modo coerente e fecondo”.

Essa consente di evidenziare i principali attributi che qualificano tale concetto nel dibatitto attuale:

 la capacità di far fronte ad un compito, o a un insieme di compiti come ambito di manifestazione del comportamento competente, il quale presuppone l’utilizzazione del proprio sapere per fronteggiare situazioni problematiche ed evidenzia la dimensione operativa sottesa al concetto di competenza, il suo indissolubile legame con l’azione;

 la messa in moto e l’orchestrazione delle proprie risorse interne, che segnala la natura olistica della competenza, non riducibile alla sola dimensione cognitiva, ma estesa anche alle componenti motivazionali, attribuzionali, socio-emotive, metacognitive. La manifestazione di un comportamento competente richiede al soggetto di mettere in gioco tutto se stesso, mobilitando l’insieme delle risorse personali di cui dispone;

 l’ utilizzo delle risorse esterne in funzione del compito da affrontare e la loro integrazione con le risorse interne, intendendo per risorse esterne sia gli altri soggetti implicati, sia gli strumenti e i mezzi a disposizione, sia le potenzialità presenti nell’ambiente fisico e culturale in cui si svolge l’azione. Ciò sottolinea il valore situato della competenza e la prospettiva ecologica all’interno della quale comprenderne il significato e il valore (CASTOLDI M., 2009).

La competenza così intesa ha un significato che trascende la semplice dimensione professionale; un significato che abbraccia tanto le competenze necessarie alle persone per lavorare quanto quelle per operare nell’odierna “società della conoscenza”; per agire, cioè, come soggetti attivi, autonomi e consapevoli, piuttosto che “essere agiti”. Soprattutto, una definizione così concepita presuppone il possesso da parte degli individui della capacità di base di leggere l’esperienza, di interpretarla, di re-interpretarla e di proiettarla verso nuovi orizzonti progettuali; una capacità che, a sua volta, si fonda sulla metacompetenza di apprendere ad apprendere durante tutto il corso della vita. Lifelong, appunto (ALBERICI A., SERRERI P., 2009; ALBERICI A., 2008).

Nel Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli81 (EQF) le “competenze” indicano la

comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia.

Tra le diverse accezioni proposte nell’EQF risulta interessante quella che interpreta la competenza come “capacità di assumere decisioni e di saper agire e reagire in modo

pertinente e valido in situazioni contestualizzate e specifiche, prevedibili o meno (BATINI,

F., 2012).

Secondo tale interpretazione, la competenza è osservabile soltanto in situazione, si manifesta in comportamenti nelle attività, ed è pertanto solo in situazione e nelle azioni che la competenza può essere verificata e valutata (TESSARO F., 2012).

81 RACCOMANDAZIONE del Parlamento europeo e del Consiglio de 5.09.2006 sulla Costituzione del Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli per l’apprendimento permanente. COM (2006) 479

def.Disponibile sul web: