4. incoraggiare la creatività e l'innovazione, compresa l'imprenditorialità, a tutti i livelli dell'istruzione e della formazione.
1.1.3 Necessità di ridisegnare il welfare state
1.1.3.3 Crisi del welfare state
1.1.3.3.1 Nuovi rischi e vulnerabilità
Oggi è rimessa particolarmente in discussione l'impostazione “lavoristica” del nostro sistema di Welfare, ossia che i diritti sociali, qualunque questi siano, vengono riconosciuti a soggetti che si relazionano al mondo del lavoro (o non vi possono per loro invalidità) e solamente a condizione che questa relazione vi sia o vi sia stata (OFFE C., 1989). Elemento caratteristico dei sistemi di protezione ispirati all’idea di sicurezza sociale è la possibilità per i pubblici poteri di intervenire in aiuto delle più diverse situazioni di bisogno attraverso prestazioni, principalmente ma non esclusivamente, di carattere economico, finanziate dalla fiscalità generale e quindi dalla generalità della popolazione, anche non lavoratrice (PROSPETTI G., 2008). Il sistema fordista ha favorito grandemente il raggiungimento della stabilità economica e della sicurezza sociale dando origine a quelle che Castel R. (2004) definisce come “società assicuranti”, ma ha fatto poco, in verità, per rispondere alle istanze del processo storico di individualizzazione e in particolare per accrescere la libertà del lavoratore di progettare e avere una vita professionale propria (e la possibilità per le donne, i giovani e altre categorie svantaggiate di inserirsi nel mercato del lavoro) (PACI M., 2004).
La crisi economica, la sostenibilità di uno stato assicurante, mutamenti sociali dovuti anche alla globalizzazione, la transizione da un sistema produttivo da rigido a flessibile, rimette in discussione e attiva un processo di rivisitazione dei modelli di welfare consolidati in tutti i paesi europei. Di fronte a tali mutamenti e alla scarsa capacità di adeguamento dei sistemi di welfare, le persone vivono, tra l’altro, di crescente individualizzazione delle forme di vita: il governo dei rischi non è più un’impresa collettiva ma una strategia individuale, in cui il soggetto è “isolato” nel dover affrontare le difficoltà della vita quotidiana. Secondo Castel (2004), lo stesso Stato sociale, offrendo all’individuo protezioni consistenti, ha agito come potente fattore di individualizzazione, perché ha liberato l’individuo dalla dipendenza nei confronti di tutte le comunità intermedie. Beck (2000) collega il processo di individualizzazione a due dimensioni principali:
la dimensione dell’affrancamento, causata dallo sganciamento dell’individuo da forme e vincoli sociali precostituiti storicamente;
la dimensione del disincanto, provocata dalla perdita delle sicurezze tradizionali in riferimento alla conoscenza pratica e alle norme-guida.
Questo duplice aspetto dell’individualizzazione, libertà da un lato e insicurezza dall’altro, mette bene in luce lo stato della società contemporanea e le difficoltà che la
stanno attraversando. Come rileva Castel (2004), il processo di individualizzazione, infatti, se attribuisce all’individuo una certa autonomia e indipendenza, a partire proprio dalle forme del lavoro flessibile e mobile, sottrae allo stesso tempo parte delle sicurezze che prima gli erano garantite, creando un senso di incertezza diffusa soprattutto tra le fasce più deboli della popolazione.
La società del rischio, come viene definita da Beck in funzione dell’indebolimento delle forme della produzione e della redistribuzione, si caratterizza proprio per la contrapposizione tra due categorie di soggetti: gli insider, di cui fanno parte i lavoratori inseriti stabilmente nel mercato e protetti dal sistema di tutele previste dallo Stato sociale; gli outsider, coloro cioè che sono ai margini del mercato del lavoro e che spesso vivono situazioni di isolamento relazionale e di esclusione sociale. I fattori che entrano in gioco nel definire le nuove forme di disuguaglianza, infatti, sono diversificati e vanno oltre la disponibilità di un reddito e di un lavoro, combinandosi con elementi legati alla famiglia e alle misure del welfare (Paci 2004).
La lettura di questi processi e la comprensione delle loro cause è da porsi in relazione, come più volte affermato, alle trasformazioni del mercato del lavoro e della famiglia, da un lato, e alle difficoltà di risposta in termini di tutela da parte dei sistemi di welfare dall’altro. Infatti, i processi di esclusione sociale, andando a coinvolgere i diversi sistemi di integrazione, possono scaturire da condizioni e problematiche differenti. Essere disoccupati non significa per forza di cose divenire esclusi, soprattutto se alle spalle della persona priva di occupazione esistono reti di supporto valide, come avviene nei casi di molti giovani inoccupati che sono “protetti” dalle loro famiglie di origine. Allo stesso modo, avere un impiego può nascondere situazioni di esclusione e di disagio, soprattutto quando l’occupazione è precaria e il lavoratore si trova a dover gestire una carriera frammentata senza punti di appoggio (SPREAFICO S., 2010).
La questione fondamentale, quindi, così come sottolineato nella definizione di esclusione sociale, è la capacità dell’individuo di integrarsi e di affrontare le situazioni di difficoltà grazie anche alle reti in cui è inserito. Si tratta della cosiddetta area dei funcioning definita da Amartya Sen (1992), che indica le capacità delle persone di perseguire il proprio benessere. Le situazioni di diseguaglianza, in questa prospettiva, infatti, dipendono non solo dalla disponibilità di mezzi degli individui ma anche dalla trasformazione di questi mezzi in capacità. Secondo Sen, è proprio la difficoltà di convertire le risorse disponibili in capacità all’origine della maggior presenza di persone in stato di povertà nella società opulente; queste maggiori difficoltà derivano anche dal senso
diffuso di incertezza, che ostacola la presa di decisioni, generando situazioni di vulnerabilità.
Essere vulnerabili, infatti, significa non solo avere una disponibilità limitata di risorse di base, ma soprattutto essere scarsamente inseriti nelle reti di integrazione sociale e avere limitate capacità di fronteggiare le situazioni di difficoltà. Ranci (2002, p. 28) definisce la vulnerabilità sociale come la costante minaccia all’autonomia e alla capacità di fronteggiare le situazioni di difficoltà.
Questi cambiamenti hanno messo in crisi il vecchio modello sociale caratterizzato da una idea di sviluppo identificato con aspetti (aumento del reddito individuale e nazionale, industrializzazione, modernizza