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COMPETENZE E TEORIA DEL CAPITALE UMANO

2.3 “DENTRO” LA COMPETENZA

4. Certificazione dei risultati dell’apprendimento (certification of learning outcomes)

2.6 COMPETENZE E TEORIA DEL CAPITALE UMANO

Il segretario generale dell’OCSE, Angel Gurría, ha dichiarato "Le competenze sono

diventate la moneta di scambio mondiale delle economie del 21esimo secolo", tale

dichiarazione viene ripresa nel Rapporto Isfol “Le competenze per l’occupazione e la crescita” (ISFOL, 2012b). Nel sito del Ministero del Lavoro viene riportato: “Le

competenze sono una moneta di cui vogliamo incrementare il valore di scambio, in una prospettiva che dia per certo il valore descrittivo, ma definisca il valore d'uso sulla base dell'evoluzione dei contesti, nonché delle particolarità, dando spazio alla ricchezza contenuta nelle situazioni particolari, nelle innovazioni, nei progetti di nicchia”.

Inoltre, il Consiglio dell’Unione europea, già nella sua risoluzione del 25 novembre 2003, indica lo sviluppo del Capitale Umano come fattore fondamentale per la coesione sociale e la competitività nella società dei saperi; considera, pertanto, il capitale umano una risorsa strategica per lo sviluppo dell’Europa e specifica che le politiche in materia di istruzione e formazione degli Stati dovrebbero essere orientate verso una valorizzazione della personalità di ogni individuo lungo tutto il corso della vita e verso una maggiore partecipazione dei cittadini alla coesione sociale e allo sviluppo economico.

Pertanto capitale umano e competenze diventano risorse chiave di crescita economica, grazie agli effetti che producono sia sull’incremento della produttività, sia attraverso la capacità delle persone e delle imprese di adottare e stimolare nuove tecnologie, nuovi prodotti, servizi e innovazione. Le persone dotate di buone e aggiornate competenze hanno maggiori probabilità di avere e mantenere il lavoro e di disporre di retribuzioni più elevate.

Dobbiamo a questo punto analizzare singolarmente i due concetti chiave: competenze come moneta di scambio e capitale umano.

In Economia la moneta è un oggetto che ha più di una funzione; ognuna di queste funzioni riflette un diverso rapporto sociale tra cui quello di essere un mezzo di pagamento in una transazione. La moneta, oltre ad aver favorito gli scambi, ha sostituito il “baratto” dove la merce assumeva un valore di scambio. Le Teorie del Valore104 di una merce

104 Si parla di Teorie del Valore in economia per indicare l'insieme delle concezioni riguardanti la genesi e la

determinazione del valore, come proprietà delle merci distinta e logicamente antecedente rispetto al prezzo, che ne costituisce in tale ottica la manifestazione fenomenica.

Per 'teoria del valore' si possono intendere due cose distinte: la determinazione quantitativa dei rapporti secondo cui le merci vengono scambiate sul mercato, cioè dei loro prezzi relativi; oppure la ricerca dell'origine del valore delle merci, dunque l'indagine circa il fondamento stesso, l'oggetto e il metodo del discorso economico. Circa la sostanza che conferisce valore alle merci, le due spiegazioni rivali possono essere definite:

cercano di spiegare come si genera questo valore. Senza entrare in analisi specifica, possiamo mutuare da queste teorie la seguente distinzione:

1. valore d’uso: è il valore che un individuo assegna ad un bene o servizio, varia da persona a persona (teoria del valore utilità: soggettiva). Ma può anche essere considerato come il valore intrinseco dei fattori di produzione impiegati (teoria del valore lavoro: oggettiva);

2. valore di scambio è quello che si viene a creare dopo un’interazione tra un acquirente (colui che offre il suo valore d’uso) e un venditore (colui che vende ad un determinato prezzo).

Le competenze rientrano nella visione oggettiva di valore d’uso in quanto vengono considerate come la risultante di in un investimento in termini di formazione e apprendimenti, quindi del valore intrinseco e della loro propensione ad essere utilizzate. Il valore d’uso della competenza richiede continua manutenzione, deve essere curata, aggiornata e sviluppata. Deve cioè appartenere ad un soggetto che sia in grado di tenerla in vita e di curarla costantemente, attraverso una sorta di apprendimento permanente che non può ridursi ad un evento cognitivo, ad un impegno di semplice studio. Il risultato di questo investimento è il poter scambiare le competenze acquisite (valore-lavoro) con un posto di

'oggettiva': riconduce il valore delle merci al lavoro che direttamente o indirettamente è stato impiegato per produrle: essa sarebbe oggettiva in quanto il lavoro impiegato per produrre una merce dipende dalle tecniche di produzione adottate, e queste in ogni dato momento sono date.

'soggettiva': nega che questo dipenda da loro proprietà intrinseche: il valore delle merci dipenderebbe dall'apprezzamento, da parte dei singoli soggetti, dell'attitudine dei beni economici a soddisfare i bisogni. La teoria del valore utilità intende spiegare i prezzi delle merci a partire da quanto appare sul mercato; la teoria del valore lavoro, a partire da quanto avviene nella sfera della produzione.

Le due teorie sottendono una diversa visione del mondo, per quanto riguarda lo scopo della produzione. La teoria del valore utilità assume che scopo della produzione sia la produzione di valori d'uso, il soddisfacimento dei bisogni dei consumatori. La teoria del valore lavoro assume invece che scopo della produzione sia la produzione di valori di scambio, in vista della realizzazione di un profitto. La teoria del valore lavoro e la teoria del valore utilità sono dunque contrapposte nelle premesse e nelle conclusioni; se però si concepisce il sistema capitalistico come un sistema storicamente determinato, esse hanno una implicazione comune.

La teoria del valore lavoro, in quanto fa dipendere il valore delle merci dalle tecniche di produzione, rinvia alla questione delle macchine: se siano neutrali, se di esse si faccia un uso capitalistico, o se abbiano addirittura una forma capitalistica. Soltanto nel primo caso una teoria del valore lavoro sarebbe oggettiva in senso stretto, e peraltro non sarebbe in contraddizione con una teoria del valore utilità. Nel secondo e nel terzo caso il valore delle merci verrebbe invece a dipendere dalle decisioni dei capitalisti circa l'uso o la forma delle macchine e dunque circa le tecniche di produzione. Una teoria del valore utilità, d'altra parte, presuppone la sovranità del consumatore, sovranità di cui si può dubitare. La scelta dei consumatori, quale si esprime sul mercato, è necessariamente limitata all'ambito delle alternative offerte dai produttori. Può perciò darsi che le scelte registrate sul mercato siano soltanto preferenze di secondo ordine, rispetto alle scelte che i consumatori farebbero se fossero disponibili altre alternative (v. Dobb, 1940; tr. it., p. 295). Tutte e due le teorie, anche se in modo differente, rinviano dunque al particolare modo di produzione cui si riferiscono e al diverso potere dei diversi soggetti economici e delle diverse classi sociali. In tutti e due i casi è il rapporto capitalistico a determinare il valore delle merci, in quanto esso determina sia le tecniche di produzione sia i gusti dei consumatori, all'interno di un processo di produzione e riproduzione il cui fine non è il valore d'uso bensì il valore di scambio: il profitto.

lavoro che dia un reddito e a che fare con il Riconoscimento delle competenze. Il valore di scambio è ciò che ottiene l’individuo nel mercato del lavoro dal valore d’uso della competenza e questo ha a che fare con la Certificazione.

Fonte: IRSEA 2003

Figura 19: La competenza tra valore d'uso e valore di scambio

La riuscita di questo scambio dipende anche dall’altro soggetto attivo nell’attribuzione del valore: il mercato del lavoro e la società. Nella teoria economica del valore, la Certificazione sembrerebbe però richiamare più il valore d’uso secondo la visione utilitarista che il valore di scambio in quanto di solito, la certificazione non determina di per sé un valore di scambio, limitandosi ad attestare in modo pubblico e formale la sicura presenza di un valore d’uso, inteso come comprovata conformità ad uno standard. Pertanto la Certificazione se non viene organizzata in un quadro di senso dato da una qualifica e da un identità professionale rischia di rimanere solo un valore d’uso rispondente all’esigenza post fordista di flessibilità.

L’altro concetto che ci siamo proposti di analizzare è il capitale umano.

La teoria del capitale umano che è stata elaborata nei primi anni sessanta da Schultz (1961), Mincer (1958; 1970) e Becker (1962; 1964), ha poi avuto notevoli sviluppi in varie direzioni che non è certo possibile riprendere qui.

COMPETENZA

Valore d’uso

Componente tecnica intrinseca della competenza legata alla sua facoltà di abilitare il soggetto che ne è portatore alla realizzazione di un valore d’uso.

Valore di scambio Componente sociale derivata della competenza relativa a quello che gli attori del contesto sono disposti a riconoscerne e a valorizzarne

Contesto di apprendimento

Contesto di spendita

Molte sono le definizioni che i vari autori hanno dato del capitale umano ai vari livelli (di individuo, famiglia, impresa, paese). Ci sembra comunque utile, in questo contesto, riferirci a quella generale riportata in un noto lavoro dell’OECD del 2001 (OECD, 2001), dove per capitale umano si intende “le conoscenze, le capacità e le competenze e gli attributi individuali che facilitano il benessere personale, sociale e economico”. E’ chiaramente una definizione che fa riferimento alle molteplici caratteristiche del capitale umano e ai fattori che ne influenzano il livello e l’evoluzione.

La teoria, o forse meglio le teorie, del capitale umano hanno comunque fornito una giustificazione scientifica a due convincimenti: per i singoli individui, il livello (o stock) e lo sviluppo del capitale umano determinano un diverso livello e sviluppo delle loro retribuzioni e redditi (e ciò vale anche per le famiglie); per l’economia nel suo complesso, determinano il livello e la crescita economica complessiva del paese (e ciò vale anche per le imprese).

In tal modo, dal punto di vista microeconomico, il capitale umano di un individuo è considerato una delle principali determinanti del successo nel mondo del lavoro e l’investimento formativo assume rilevanza per le maggiori opportunità che offre agli individui di accesso e permanenza nel mercato del lavoro, oltre che di progressione di carriera e di miglioramento delle condizioni professionali, anche in termini retributivi. L’investimento nell’apprendimento del soggetto viene giudicato in base ai suoi tassi di rendimento attualizzati105 (FITZ-ENZ J., 2000). In altre parole, si ipotizza di essere in grado di determinare l’opportunità di prendere una certa decisione di studio sulla base del parametro della profittabilità (ROSSETTI S.; TANDA P, 2001).

A livello macroeconomico, si ritiene che le capacità competitive di un paese e del suo sistema produttivo dipendano dal tasso di accumulazione e dallo stock degli investimenti in capitale fisico, ma anche dall’investimento e dallo stock di conoscenze incorporate nel capitale umano. Quest’ultimo, come il progresso tecnologico, costituisce un elemento altrettanto cruciale del processo di crescita economica dei paesi, alla luce dei positivi effetti che gli investimenti in educazione e formazione determinano sulla produttività del lavoro. Le recenti teorie del capitale umano tendono a porre l’accento anche sulla qualità del lavoro, come fattore in grado di determinare il risultato dell’intero processo produttivo e la crescita economica. Si sostiene, infatti, che anche il capitale fisico è formato da beni che sono a loro volta il frutto del lavoro umano e, quindi, la vera potenzialità economica delle

105 Storicamente esistono, tuttavia, dei precedenti alla teorizzazione americana si veda Petty (1682), Smith e

risorse disponibili sta nella loro tecnologia, la quale non è altro che conoscenza umana applicata alla produzione. La possibilità da parte delle imprese di fruire di lavoratori maggiormente istruiti innalza la produttività e contribuisce quindi a spiegare il più elevato livello di reddito che caratterizza i paesi più sviluppati e in generale il loro benessere materiale. Il processo di sviluppo è perciò tanto maggiore quanto più elevata è la qualità del lavoro in grado di creare tecnologia e di utilizzarla in modo appropriato.

La teoria del capitale umano però va considerata parallelamente alla teoria funzionalista in quanto entrambi la teorie si svilupparono negli anni ’50 e ’70. Quest’ultima, come la prima, si è proposta di spiegare il rapporto tra struttura sociale e istituzione scolastica infatti la teoria funzionalista106, sia nella versione classica (Durkeim107 1971; 1962) che in quella moderna (Merton, 1983; Parsons, (PARSON T., 1981) considera la società come un “sistema” di “parti” interdipendenti, che compiono determinate funzioni utili o necessarie alla sopravvivenza dell’intero sistema. Le funzioni svolte dall’istruzione sono la socializzazione, il controllo sociale, la selezione e allocazione degli individui nelle varie occupazioni. E’ un dato di fatto che l’istruzione ha avuto in tutti i paesi più avanzati una enorme espansione, quali che siano gli indicatori prescelti (tassi di scolarizzazione, numero di ore passate a scuola ogni giorno, numero di insegnanti, percentuale degli investimenti nell’istruzione sul PIL ecc). E tale espansione ha riguardato, in varia misura, tutti gli strati sociali, e sia gli uomini che le donne. Secondo questi teorici tale espansione è una conseguenza della modernizzazione e della crescente differenziazione istituzionale della

106 Seguendo la limpida analisi di Barbagli (1997), tale teoria può essere articolata nelle seguenti

proposizioni:

a) il livello di qualificazione richiesto dalle occupazioni della società industriale cresce costantemente attraverso due processi:

a.1: in primo luogo una tendenza all’aumento della percentuale dei posti di lavoro che richiedono un alto livello di qualificazione e una tendenza parallela alla diminuzione di quelli che ne richiedono uno basso

a.2: in secondo luogo una tendenza degli stessi posti di lavoro a un costante innalzamento del livello di qualificazione richiesto

b) e’ l’istruzione fornita dalle istituzioni scolastiche che provvede il livello di qualificazione richiesto. Ciò significa:

b.1: l’istruzione rende la forza lavoro più produttiva;

b.2: essa viene fornita non da molte, ma da un’unica istituzione specializzata: la scuola.

c) ne consegue che man mano che il livello di qualificazione richiesto dalle occupazioni nella società industriale cresce, aumenta la percentuale della popolazione che deve passare attraverso le istituzioni scolastiche, così come aumenta la durata del periodo che questa deve trascorrere in esse.”

107

La teoria durkheimiana dell’ordine sociale ne spiega l’esistenza non grazie alla coercizione, all’interesse o alla inerzialità della vita sociale, ma in base ad un minimo di consenso verso alcuni valori comuni (soprattutto morali), che è quindi una condizione necessaria della stabilità e della continuità della società. Nella sociologia di Durkheim il punto di partenza è perciò la società, con le sue esigenze di continuità e stabilità. Le forme della solidarietà sociale non possono essere spiegate a partire dall’individuo e dai suoi interessi. L’individuo, lasciato a sé stesso, sarebbe infatti un essere asociale ed egoista , quasi animalesco (BESOZZI E., 1998).

società, cioè della tendenza della società a diventare più complessa, ad articolarsi in un gran numero di ruoli, professioni, mestieri, alcuni dei quali richiedono “capitale umano strategico”, ovvero personale molto qualificato capace di svolgere le “occupazioni strategiche della società moderna” (imprenditori, manager, ingegneri, medici, architetti, insegnanti ecc). In altre parole, la principale funzione della scuola è quella di soddisfare la domanda di qualificazione proveniente dal mondo del lavoro, ed essa lo fa convertendo le capacità in competenze necessarie a svolgere le occupazioni “più strategiche”. Ciò favorirebbe la mobilità sociale e lo sviluppo economico. Queste erano le idee degli studiosi funzionalisti intorno agli anni ’50-’60.

Al di là dei meriti, dei punti di forza e di debolezza teorici ed empirici, di queste due teorie, occorre dire che alla loro base vi erano anche due diverse ideologie:

1) l’istruzione come mezzo di progresso sociale; 2) l’istruzione come mezzo di sviluppo economico.

Secondo la prima, la politica scolastica non doveva tanto rimettere in discussione le disuguaglianze nella distribuzione del potere e della ricchezza, cioè i privilegi, ma si dovevano cambiare i criteri di tale distribuzione. Diffondere l’istruzione voleva dire distribuire in modo diverso, favorendo non i giovani socialmente privilegiati, ma quelli intellettualmente dotati, cioè forniti di quelle capacità che l’istruzione avrebbe convertito nelle competenze necessarie. La seconda ideologia si rifaceva invece alla “teoria del capitale umano”, secondo la quale l’istruzione è una forma di investimento produttivo in, appunto, “capitale umano”. Questo tipo di investimento e quindi l’espansione dell’istruzione, si sosteneva, potesse dare sicuramente un grande contributo allo sviluppo economico, non solo delle società avanzate, ma anche dei paesi sottosviluppati.

2.6.1 La certificazione delle competenze “funzionale” al capitale umano

Gli orientamenti e i dispositivi adottati e/o in via di sperimentazione, sia in ambito europeo che in ambito nazionale e regionale, per quanto riguarda il riconoscimento e la certificazione delle competenze, ci permettono di delineare l’approccio su cui fondano le proprie radici. Nonostante l’apparente differenziazione, i sistemi di certificazione stanno convergendo su molti punti in comuni.

La procedura viene infatti suddivisa in fasi e servizi riassumibili in:

1. Accoglienza: questo servizio fornisce informazioni relative al percorso di