4. incoraggiare la creatività e l'innovazione, compresa l'imprenditorialità, a tutti i livelli dell'istruzione e della formazione.
1.1.3 Necessità di ridisegnare il welfare state
1.1.3.2 Il welfare state in Europa
1.1.3.2.1 I quattro modelli europei di welfare
L’iter evolutivo dei due modelli in Europa, spiegati nel paragrafo precedente, è stato studiato da diversi autori tra cui citiamo Gosta Esping – Andersen (a solo scopo generale e di classificazione)68 il quale dopo ricerche e analisi sui diversi schemi di sicurezza sociale ha individuato tre principali modelli di welfare le cui caratteristiche sono riscontrabili, in
67 Attraverso le imposte si realizza una redistribuzione della ricchezza, di tipo verticale, dalle fasce di
popolazione con redditi più elevati a quelle con importi di reddito decisamente più bassi. Questo sistema, nella sua formulazione “pura”, garantisce, o dovrebbe assicurare, un elevato livello di solidarietà, in quanto determina una redistribuzione del reddito estesa all’intera popolazione. L’attuazione di questo modello teorico da parte di alcuni Stati (paesi scandinavi) si è realizzata con l’introduzione delle assicurazioni nazionali che hanno offerto una copertura sociale estesa. Tuttavia l’espansione della platea dei beneficiari e quindi gli elevati costi di questo sistema hanno finalmente indotto molti studiosi e anche una consistente parte della sinistra a meglio definire il “concetto di solidarietà” al fine di delimitarne il perimetro e stabilire i confini tra solidarietà e assistenzialismo puro che riduce la “responsabilità individuale” e disincentiva l’attività del singolo. Tale situazione è stata analizzata da Lindbeck A. (1997) il quale sostiene che in Svezia l’attività troppo pervasiva dello Stato ha ridotto gli incentivi all’offerta di lavoro e di capitale, riducendo così il tasso di crescita del paese.
linea generale, in alcuni gruppi di Paesi appartenenti all’Unione Europea. Per identificare i modelli Esping-Andersen utilizza due indicatori concettuali: demercificazione e destratificazione. Con il primo concetto, quello di demercificazione, si intende il grado di dipendenza del cittadino dal mercato del lavoro. In altri termini, ci si chiede quanto, in un dato regime di welfare, per una persona l’astenersi dal lavoro comporti la perdita del lavoro stesso, la perdita del reddito in misura significativa e, più in generale, la perdita del benessere. Con il termine destratificazione si descrive quanto le misure di benessere sociale, in un dato regime di welfare, siano in grado di integrare o segmentare la popolazione. Dalla ponderazione di questi due concetti si possono fare derivare le caratteristiche di tre diversi regimi di welfare (ESPING ANDERSEN G., 1999).
Il modello di tipo liberale, che trae le origini dall’Inghilterra del diciannovesimo secolo, è tipico dei paesi anglosassoni quali Gran Bretagna ed Irlanda (ma anche Stati Uniti, Canada e Australia) e può considerarsi un’evoluzione del modello universalistico puro, dal quale ha avuto origine. In tale schema la “mano pubblica” garantisce solo i bisogni
fondamentali, incoraggiando (anche con agevolazioni fiscali) i singoli al completamento
delle coperture assicurative ritenute individualmente necessarie. Ovviamente il costo di funzionamento è più contenuto e quindi il finanziamento e la tassazione sono più bassi. La peculiarità del sistema risiede nel riconoscimento di diritti minimi, cioè riguarda solo i casi di emergenza e di estrema necessità ed i programmi sono basati sul bisogno piuttosto che fondati sui diritti di cittadinanza. I diritti sociali garantiti sono minimi e modesti i piani di sicurezza sociale, lasciando al libero mercato un ruolo preminente nella distribuzione delle risorse basate sulla “prova dei mezzi” (means-test), lasciando al libero mercato un ruolo preminente nella distribuzione delle risorse. È rivolto essenzialmente a destinatari rappresentati da soggetti poveri e bisognosi. Si tratta di un regime in cui si registra una forte dipendenza delle persone/lavoratori dal mercato (bassa demercificazione) ed in cui, infine, la destratificazione è bassa poiché propone un dualismo tra un welfare dei ricchi ed un welfare dei poveri.
Nel regime conservatore – corporativo le misure di welfare sono strettamente collegate alla posizione occupazionale, frutto della tradizione bismarckiana tipica di quei luoghi in cui le prestazioni in campo sociale sono legate, prevalentemente, alla prestazione lavorativa e rispecchiano logiche di matrice assicurativa. I destinatari sono i lavoratori, in particolari maschi e capofamiglia e i paesi in cui è diffuso tale modello sono la Germania, l’Austria, la Francia, l’Olanda. La demercificazione è media, poiché la dipendenza dal mercato è attenuata, ma non annullata, e la destratificazione è medio bassa. In questo
regime viene data particolare enfasi al concetto di “sussidiarietà” degli interventi pubblici, principio in ragione del quale lo Stato interviene solo nella misura in cui i bisogni non trovano risposta a livello individuale, familiare o da parte di associazioni intermedie. Questo modello è caratterizzato da:
a) una forte presenza pubblica, soprattutto in materia di pensioni e sussidi di
disoccupazione, e da un ridotto spazio al mercato;
b) le prestazioni e i sussidi a garanzia del reddito, nei casi di disoccupazione dovuti a
ristrutturazioni aziendali e inoccupazione e quelle sanitarie, sono fortemente correlate con la posizione lavorativa e/o allo stato di famiglia del beneficiario;
c) le prestazioni sono finanziate sia dalle imposte a carico di ogni individuo,
parametrate al reddito, sia da una apposita contribuzione obbligatoria che scatta con l’avvio di una occupazione retribuita.
Quasi tutta la popolazione, sia i lavoratori, sia le persone a loro carico, è coperta dalla assicurazione pubblica, e solo per coloro che non rientrano nel sistema, è previsto un apposito programma assistenziale. Il modello che ne deriva è prevalentemente occupazionale e, quindi, anche il ruolo delle organizzazioni sindacali è diverso e più incisivo che altrove, conservando, soprattutto nel settore sanitario, ampi margini di autonomia rispetto ai poteri pubblici.
Nel regime socialdemocratico, infine, si rilevano una predominanza di schemi universalistici, un alto livello di demercificazione, poiché la dipendenza dal mercato è molto attenuata, e un alto livello di destratificazione, poiché vi è una eguaglianza di trattamento per tutti i cittadini. Si tratta di un modello, quindi, in cui i diritti alle prestazioni dello Stato sono riconosciuti agli individui sulla base del “diritto di cittadinanza” e non sulla contribuzione, sui rapporti di lavoro, sulla prova della condizione di bisogno. I paesi scandinavi sono quelli in cui tale modello è maggiormente diffuso. Il modello nordico è caratterizzato da alta protezione pubblica ed alta tassazione, con una gestione del mercato del lavoro molto dirigista. In questo schema la copertura è universale e prevede una ampia protezione dai rischi, con sussidi generosi che, in taluni paesi, porta a riconoscere le indennità di malattia e di maternità anche a coloro che non partecipano al mercato del lavoro. Le prestazioni, erogate al verificarsi del rischio, sono tutte finanziate con il gettito
fiscale e sono destinate a tutelare l’individuo in quasi tutti gli aspetti della sua vita sociale,
dalle agevolazioni per la casa, alle cure mediche (anche a favore dei parenti), all’istruzione gratuita per i meno abbienti. L’intero apparato è gestito dall’amministrazione pubblica, fatta eccezione per le prestazioni a seguito di disoccupazione, la cui assicurazione ha
carattere volontario ed è gestita dalle associazioni sindacali. In questo quadro, in cui la copertura è estremamente generalizzata, i programmi di assistenza sociale per i meno abbienti, seppur presenti, sono ovviamente meno efficaci (si da tutto a tutti nella medesima quantità, con prestazioni prevalentemente in cifra fissa), assumono un ruolo marginale e quindi, alla fine, meno solidale. Il modello socialdemocratico è, dunque, un regime fortemente dominato dallo Stato, con un peso notevolissimo sull’economia che si riflette in un elevato carico fiscale che tendenzialmente rende molto meno competitiva l’economia nel suo complesso e riduce la “spinta individuale” alla crescita (LINDBECK A., 1997)69
. Accanto a questa classica tripartizione dei regimi di welfare, il politologo Maurizio Ferrera propone di aggiungere un quarto modello che definisce welfare mediterraneo (FERRERA M., 2006, p. 42) o dell’Europa meridionale (NALDINI M., 2007, p. 53). Comprende i paesi dell’Europa meridionale, in particolare, l’Italia, la Spagna, il Portogallo e la Grecia. Quest’ultimo modello ha le seguenti caratteristiche specifiche: affida alla famiglia e alle reti parentali una responsabilità primaria di tutela; lo Stato, a sua volta, interviene soltanto con modalità residuali; ed, infine, la protezione pubblica privilegia apporti finanziari rispetto all’offerta di servizi sociali (ad es. ricoveri, ospedali diurni, assistenza domiciliare, ecc.) che sono delegati alle famiglie. Il modello mediterraneo può definirsi un modello di tipo misto, ossia universalistico nel settore della sanità e dell’assistenza ed occupazionale nel settore di garanzia del reddito e nella previdenza; si caratterizza per un alta protezione normativa del lavoro, bassi sussidi di disoccupazione estesi però ad ampie fasce di percettori, spesa sociale che privilegia gli schemi pensionistici (anche per l’elevato livello contributivo che grava sul costo del lavoro e sui redditi) e ruolo ancora importante (fortunatamente) della famiglia70.
69
Segnatamente la Svezia, proprio per i motivi su esposti, ha rivisto in modo selettivo le prestazioni assistenziali ed ha introdotto, a partire dal 1999, un regime pensionistico di tipo contributivo, con una netta corrispondenza tra contributi versati e prestazioni, con requisiti di accesso elevati in termini di età e anzianità contributiva che di fatto si inquadra in uno schema classico di tipo “occupazionale”. Per favorire la conoscenza della propria situazione previdenziale, in Svezia ai cittadini viene inviata periodicamente la cosiddetta “busta arancione” dalla quale si desume quando, con quanto si andrà in pensione e cosa si deve fare per crearsi una pensione complementare privata. Il mercato, che in questi Paesi è (era) quasi del tutto assente poiché l’intero welfare è gestito dallo Stato, comincia a fornire prestazioni sociali e quindi a ibridare il sistema. Diverso è il caso della Norvegia (e in parte anche quello della Finlandia) poiché dispone di un fondo sovrano denominato “fondo pensione” che è finanziato dagli introiti della vendita di petrolio e dispone di risorse assai consistenti; molte prestazioni sociali saranno finanziate dal fondo.
70 Più in dettaglio si riscontra come i Paesi dell’Europa meridionale siano accomunati da un sistema di
tipo assicurativo/bismarckiano nelle politiche di reddito, che, tuttavia, presentano numerose differenziazioni. Ferrera ed altri studiosi pensano che in tutti e quattro i Paesi sud-europei, a differenza di quanto accade nell’Europa centro-settentrionale, manchi un sistema di protezione minima di base, anche se Italia, Spagna e Portogallo hanno introdotto sperimentalmente e con scarsi risultati schemi di garanzia del reddito minimo. Se per l’Italia il riferimento è il “reddito minimo di inserimento” si rimanda ad un bellissimo articolo di G. A. Stella16 per dimostrare non solo il fallimento ma anche l’inutilità e il danno sociale che queste politiche di
Figura 2: I quattro modelli europei di welfare