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Capitolo II: Neurobiologia della depressione

18 FDG (Fluoro 2 deossi glucosio) in grado di misurare il metabolismo

2.5 Alterazioni neurochimiche e neurofisiologiche

A partire dagli anni 70 è stata introdotta 130“l’ipotesi monoaminergica” della

depressione, secondo la quale alla base della patologia vi era una riduzione delle concentrazione di noradrenalina e serotonina a livello del SNC. Tale ipotesi è stata sostenuta dagli studi condotti sull’azione dei farmaci antidepressivi che aumentavano a livello intersinpatico le concentrazioni di tali monoamine, a differenza di sostanze depressogene che ne determinavano una netta riduzione. Nei soggetti con depressione è stato osservato che la somministrazione a lungo termine di farmaci antidepressivi determina a livello del sistema noradrenergico, una riduzione della sensibilità e del numero dei recettori a2- adrenergici e un

aumento del numero e della sensibilità dei recettori a1, a livello serotoninergico

una riduzione della sensibilità dei recettori 5HT2 e 5HT1. Successivamente si

osservò un ruolo della dopamina nell’eziopatogenesi della depressione caratterizzata da un’alterazione della trasmissione dopaminergica a livello mesolimbico con un’ipofunzione nella depressione e un’iperattività nella mania. Le ricerche dimostrano come altri neurotrasmettitori siano coinvolti nella patogenesi della depressione tra questi; il sistema colinergico e il sistema gabaergico, tra i diversi neuropeptidi troviamo invece, la sostanza P, la vasopressina e gli oppiodi endogeni. Recentissime 131ricerche sostengono che la

depressione maggiore è regolata da un meccanismo neurochimico altamente specifico caratterizzato dall’aumento o riduzione di alcuni principali neurotrasmettitori; in particolare la serotonina, la dopamina e la noradrenalina. Per quanto riguarda il sistema neurotrasmettitoriale serotoninergico sembrerebbe che la depressione si associ ad una riduzione del recettore 5-HT a livello di alcune regioni del tronco encefalico.

130 CASSANO G.B., TUNDO A, Psicopatologia e clinica psichiatrica, Utet, Torino 2006, pp. 265-

266.

131 FAKHOURY M, New insights into the neurobiological mechanisms of major depressive disorders,

Per ciò che concerne la noradrenalina essendo coinvolta nella risposta allo stress nella ricompensa e nell’ansia, molti ricercatori cercano di suggerire antidepressivi che mirano a tale neurotrasmettitore. Infine la dopamina è un neurotrasmettitore strettamente legato alla depressione maggiore essendo coinvolto nella motivazione, ricompensa e attenzione. A tale proposito le ricerche evidenziano nei pazienti depressi una riduzione della tirosina precursore della dopamina nel flusso ematico. Attualmente gli antidepressivi si basano sull’utilizzo di inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), per ripristinare l’equilibrio neurotrasmettitoriale nei pazienti con depressione maggiore. Prima degli SSRI il trattamento antidepressivo si basava sull’utilizzo dei triciclici (TCA) come l’imipramina la quale agiva sulla ricaptazione presinaptica della noradrenalina, questi vennero successivamente sostituti da farmaci di nuova generazione poiché presentavano molteplici effetti collaterali e neurotossici. Gli SSRI si configurano come la classe di farmaci maggiormente utilizzati per il trattamento della depressione maggiore. Il loro meccanismo d’azione è legato all’aumento del recettore 5-HT a livello extracellulare e all’inibizione della sua ricaptazione a livello presinaptico. Diciamo che una migliore comprensione del ruolo dei diversi sistemi neurotrasmettitoriali potrebbe portare alla scoperta di nuovi farmaci antidepressivi favorendo l’identificazione di nuovi bersagli terapeutici. L’ ipotesi monoaminergica della depressione è sostenuta anche dal fatto che gli agonisti delle monoamine sono in grado di ridurre il disturbo mentre gli antagonisti lo inducono. Alcuni ricercatori per approfondire il ruolo della serotonina nella patologia depressiva hanno utilizzato una procedura particolare che riguarda la 132“deplezione di

triptofano”. Dunque i ricercatori hanno prescritto a pazienti in fase remissiva

una dieta a basso contenuto di triptofano e si accorsero che in questi pazienti i livelli ematici di triptofano erano più bassi rispetto ad altri aminoacidi poiché solo una piccola quantità di triptofano riusciva ad oltrepassare la barriera ematoencefalica.

Ciò porto i ricercatori a concludere che la deplezione di triptofano, precursore della serotonina (5-HT), provoca una maggiore probabilità di recidiva, infatti quando i soggetti riprendevano una dieta normale la sintomatologia si attenuava. Tali risultati indicano che l’effetto di alcuni antidepressivi dipende dalla quantità di serotonina disponibile a livello cerebrale e che la deplezione di triptofano non ha alcun effetto sui soggetti normali ma solo sui soggetti con una storia personale e familiare di depressione. Prendendo in considerazione i risultati ottenuti i ricercatori suggeriscono la presenza di differenze fisiologiche cerebrali nei soggetti più vulnerabili. Poiché i farmaci antidepressivi basati sulla ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SSRI e SNRI) non agiscono nell’immediato ma solo dopo due settimane si ipotizza il coinvolgimento di qualcos’altro rispetto al semplice incremento dell’attività monoaminergica. Gli SSRI agiscono come agonisti indiretti della serotonina e nonostante provocano un rapido blocco della serotonina a livello presinaptico i benefici clinici del trattamento sono osservabili solo dopo alcune settimane. A tale proposito

133recenti studi hanno individuato segnali intracellulari e geni bersaglio che

potrebbero contribuire all’attività dei farmaci antidepressivi e spiegare il loro ritardo nell’azione. Questi dati suggeriscono una regolazione positiva della serotonina sull’espressione del gene che codifica per il fattore neurotrofico cerebrale (BDNF). Per comprendere meglio l’effetto del fattore neurotrofico cerebrale sul sistema serotoninergico è stata utilizzata una strategia sperimentale dalla quale emerge che la correlazione tra effetti neurochimici e comportamentali (BDNF e SSRI) suggerisce che l’attività antidepressiva del fattore neurotrofico è legata all’attivazione della neurotrasmissione serotoninergica nell’ippocampo adulto. Pertanto tenendo in considerazione tali risultati i ricercatori ipotizzano che una terapia che combina il fattore neurotrofico cerebrale e il trattamento con SSRI potrebbe migliorare l ‘efficacia delle attuali terapie farmacologiche.

133 DELTHEIL T., GUIARD B.P., CERDAN J., DAVID D.J., TANAKA K.F, Behavioral and

serotonergic consequences of decreasing or increasing hippocampus brain-derived neurotrophic factor protein levels in mice, Neuropharmacology 2008, p. 1006.

Un numero sempre più crescente di ricerche ha evidenziato nei pazienti depressi un’alterazione dell’espressione del fattore neurotrofico cerebrale nelle regioni del sistema limbico, in particolar modo nell’ippocampo, le quali svolgono un ruolo fondamentale nella patogenesi e nel trattamento della depressione maggiore. Infatti è stato osservato che i pazienti depressi presentano una ridotta espressione del fattore neurotrofico cerebrale (BDNF) a livello dell’ippocampo e il trattamento con antidepressivi determina l’aumento di tale fattore nell’ippocampo.134Recenti studi hanno dimostrato che una maggiore espressione

del BDNF svolge un ruolo fondamentale nell’efficacia cellullare e comportamentale degli antidepressivi, pertanto l’infusione diretta del BDNF nell’ippocampo produce un effetto simile agli antidepressivi. Diverse meta- analisi forniscono ulteriori prove del fatto che i livelli sierici di BDNF vengono regolati nei pazienti depressi in maniera differenziale da stress e antidepressivi. Questi risultati confermano che la concentrazione sierica di BDNF è un

biomarker per la depressione maggiore e l’efficacia degli antidepressivi e che la

somministrazione periferica di BDNF produce risposte comportamentali simile a quelli di antidepressivi. Numerose evidenze sostengono che il trattamento con antidepressivi correla con aumentati livelli dell’ippocampo e favorisce la neurogenesi a livello del giro dentato. Questo effetto stimolante degli antidepressivi sulla neurogenesi ippocampale è stata osservata anche in assenza di trattamento farmacologico con la terapia elettroconvulsiva con la stimolazione del nervo vago e con l’esercizio fisico. Inoltre è stato dimostrato che il 135fattore neurotrofico cerebrale media l’effetto stimolante degli antidepressivi sulla neurogenesi e che i farmaci antidepressivi (SSRI) favoriscono la neurogenesi aumentando l’impatto dei recettori 5-HT1A.

134 SCHMIDT HD., DUMAN RS, Peripheral BDNF Produces Antidepressant-Like Effects in Cellular

and Behavioral Models, Neuropsychopharmacology 2010, pp. 2378–2391.

135 WILLNERA P., SCHEEL- KRUGERB J., BELZUNG C, The neurobiology of depression and

Tuttavia anche il sistema noradrenergico è coinvolto nel processo di neurogenesi infatti una riduzione del sistema noradrenergico determina una minore proliferazione cellullare mentre una stimolazione dello stesso determina l’effetto contrario. Dunque la 136neurobiologia clinica e sperimentale ha dimostrato come

nella depressione ci sia una perdita di trofismo neuronale e di plasticità cerebrale che correla con la riduzione volumetrica di alcune regioni cerebrali tra queste; l’ippocampo, l’amigdala e la corteccia del cingolo. Tali dati sono supportati da studi di brain imaging i quali hanno evidenziato una marcata riduzione del volume ippocampale nei soggetti con depressione maggiore. La riduzione del trofismo neuronale e della neurogenesi nelle stesse regioni cerebrali coinvolte nel controllo delle funzioni cognitive, emotive ed affettive può essere associata da una parte ad una mancato trattamento tempestivo della patologia dall’altra ad un’ipotesi genetica secondo la quale le strutture cerebrali sopracitate sarebbero ridotte già dalla nascita e renderebbero tali soggetti più vulnerabili agli eventi stressanti esterni. A tale proposito numerosi studi di neurobiologia sperimentale hanno dimostrato che il trattamento farmacologico con antidepressivi è in grado di stimolare il trofismo neuronale e la neurogenesi ippocampale migliorando la plasticità cerebrale. Inoltre sulla base di tali studi emerge che la neurogenesi è un fenomeno indispensabile per l’efficacia d’azione dei farmaci antidepressivi e che quest’ultima è strettamente correlata al trofismo neurale, al processo di neurogenesi e alla sintesi di fattori trofici. Ciò suggerisce che la depressione necessita di un trattamento farmacologico tempestivo e che si protragga anche dopo la remissione della sintomatologia poiché il tempo necessario per ripristinare il trofismo neurale è maggiore del tempo impiegato per attenuare la sintomatologia.

2.5.1 Ritmo sonno-veglia nella depressione

Numerose ricerche confermano una stretta correlazione tra ritmo sonno-veglia e depressione. I 137dati empirici suggeriscono che circa il 90% dei pazienti

depressi presenta un’alterazione del pattern di sonno,difficoltà

dell’addormentamento e ripetuti risvegli notturni. Il ritmo sonno veglia dei pazienti depressi è caratterizzato da una riduzione del sonno ad onde lente (stadi 3 e 4), aumento della veglia rilassata (stadio 1), risvegli precoci mattutini, riduzione della latenza del sonno REM, maggiore proporzione di sonno REM nella prima metà della notte associata ad aumento del numero di movimenti oculari rapidi. E’ stato dimostrato che la presenza di un’insonnia persistente in pazienti depressi aumenta il rischio di recidive. Tra i trattamenti antidepressivi ritenuti più efficaci in questo caso sono: la deprivazione selettiva e la

deprivazione totale. La deprivazione selettiva di sonno REM, consiste nel

monitorare il soggetto tramite EEG e risvegliarlo appena entra in sonno REM. A tale proposito numerose evidenze suggeriscono che tale tecnica è in grado di attenuare la sintomatologia depressiva, infatti il trattamento farmacologico con antidepressivi sopprime il sonno REM ritardandone l’insorgenza e riducendone la durata. Un’ altra tecnica di deprivazione selettiva di sonno è la deprivazione ad onde lente che prevede l’emissione di suoni durante una registrazione con EEG in una notte di sonno appena compare il sonno ad onde lente. Per quanto riguarda la deprivazione totale di sonno questa a differenza della deprivazione selettiva produce dei benefici immediati. Pertanto alcuni ricercatori hanno dimostrato che la sintomatologia depressiva può essere ridotta da una deprivazione totale di sonno anche se in modo transitorio poiché durante il sonno viene prodotta una sostanza con effetto depressogeno che rende gli individui più suscettibili alla depressione.

I dati empirici suggeriscono che la deprivazione parziale di sonno può ridurre il tempo necessario per l’efficacia del trattamento farmacologico e che la deprivazione di sonno nei pazienti farmacoresistenti facilita il trattamento farmacologico con antidepressivi. Numerosi 138studi condotti nel corso del

tempo hanno permesso di confermare un effetto antidepressivo della deprivazione di sonno REM. All’interno di uno di questi studi sono stati reclutati due gruppi, nel primo gruppo i pazienti venivano risvegliati appena entravano in sonno REM, nel secondo gruppo i pazienti depressi del gruppo di controllo venivano svegliati durante le fasi di sonno Non- REM. La procedura venne applicata per tre settimana e alla fine dell’ultima settimana i ricercatori hanno mostrato che i pazienti deprivati di sonno REM presentava una sintomatologia depressiva minore rispetto ai pazienti che non erano stati deprivati di sonno REM. Ciò ha portato i ricercatori a suggerire che l’efficacia

del trattamento farmacologico con antidepressivi inibitori delle

monoaminossidasi dipende dalla loro azione sulla riduzione del sono REM.

138 BREEDLOVE SM., ROSENZWEIG., WATSON NV, Psicologia Biologica, Ambrosiana editore,