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Capitolo III: Trattamenti della depressione farmacoresistente

3.3 Terapia elettroconvulsiva

La depressione maggiore si configura come una patologia complessa che necessita di un trattamento multidimensionale pertanto è necessario selezionare adeguatamente il trattamento e monitorarne la risposta. Le 168strategie di

trattamento includono la terapia farmacologica, psicoterapica,

elettroconvulsivante e nuove tecniche di stimolazione cerebrale non-invasive (TMS e tDCS) utili ed efficaci soprattutto per i pazienti che non rispondono adeguatamente a più terapie farmacologiche. La 169terapia elettroconvulsiva consiste nell’induzione di una crisi convulsiva attraverso l’applicazione di una stimolazione elettrica breve al cuoio capelluto. L’applicazione di tale tecnica richiede un anestesia generale e l’utilizzo di farmaci per impedire le contrazioni muscolari. Inizialmente tale trattamento è stato screditato soprattutto prima della nascita degli psicofarmaci, successivamente diversi studi e ricerche hanno dimostrato una significativa efficacia di esso nella cura di molteplici patologie psichiatriche. In particolar modo la terapia elettroconvulsiva è stata applicata per la cura della depressione poiché questi soggetti rispondevano nell’ 80-90% dei casi positivamente e anche maggiormente a tale trattamento rispetto alla terapia farmacologica. L’utilizzo di questo trattamento richiede un’ attenta valutazione clinica e strumentale con indagini di laboratorio che escludono alcune condizioni che impediscono l’applicazione del trattamento stesso. Nonostante alcuni effetti collaterali, tra il più comune l’amnesia, l’intervento è abbastanza tollerato e si dimostra efficace con 6-9 applicazioni per 2-3 volte alla settimana. Per quanto riguarda la depressione farmacoresistente sono stati condotti numerosi studi al fine di dimostrare l’efficacia della terapia elettroconvulsiva su questi pazienti.

168 MANNING JS., JACKSON WC, Treating Depression in Primary Care: Initial and Follow-Up

Treatment Strategies, J Clin Psychiatry 2015, p. 76.

A tale proposito è stata condotta una ricerca su 17013 pazienti adolescenti farmacoresistenti di età compresa tra i 15-18 anni, trattati con ECT con una media di 14 sedute a paziente per 5 anni. Con l’utilizzo della Beck Depression Inventory-II prima e dopo il trattamento con ECT è stato osservato un miglioramento significativo in 10 pazienti, una piena ripresa in 3 pazienti e una riduzione di 0.96 punti (95% CI, -1,31 a -0,67, p <0.001) sul punteggio totale alla BDI II per ogni trattamento ECT ricevuto. Durante il trattamento sono state monitorate le funzioni cognitive e gli effetti collaterali tra questi sono stati rilevati; cefalea (n = 10), dolori muscolari (n = 9), e nausea e / o vomito (n = 3). I risultati dello studio hanno confermato un miglioramento clinicamente significativo nel 77% del campione farmacoresistente, suggerendo la ECT come opzione potenziale per il trattamento della depressione farmacoresistente anche in soggetti adolescenti. Il trattamento elettroconvulsivo è stato più frequentemente utilizzato sui pazienti anziani con depressione maggiore, poiché quest’ultimi rispetto ai giovani mostrano una maggiore intolleranza alle dosi terapeutiche di antidepressivi, una maggiore vulnerabilità legata all’età e maggiori complicanze legate alla gravità della patologia psichiatrica. Spesso i pazienti più anziani con depressione maggiore mostrano rispetto ai giovani una sintomatologia psicotica considerata un fattore predittivo di una migliore risposta al trattamento elettroconvulsivo. Il modo in cui la terapia elettroconvulsiva deve essere somministrata per migliorare il rapporto tra l’efficacia e gli effetti cognitivi negativi rimane ancora un tema discusso. Il posizionamento monolaterale degli elettrodi (RUL) risulta più favorevole rispetto al posizionamento bitemporale (BT) quando lo stimolo è dato a multiple soglie convulsive. Risulta necessario individuare la dose-stimolo per stabilire la soglia convulsiva soprattutto per i pazienti più anziani i quali sono maggiormente esposti a deficit cognitivi, ad un recupero più tardivo e bradicardia.

170 ZHAND N., COURTNEY DB., FLAMENT MF, Use of Electroconvulsive Therapy in Adolescents

Considerando la correlazione tra età e soglia convulsiva, la dose-stimolo iniziale utilizzata per il trattamento dei pazienti anziani con depressione maggiore viene scelta in base all’età del paziente stesso. Durante gli ultimi anni è stato proposto un posizionamento bifrontale degli elettrodi per coniugare l’efficacia della terapia elettroconvulsiva bifrontale con un profilo più cognitivo favorevole. A tale proposito diversi 171studi randomizzati hanno confrontato l’efficacia e gli

effetti negativi sulla cognizione della ECT BIFRONTALE vs RUL, dimostrando una maggiore alterazione del flusso sanguigno nei lobi frontali lasciando intatti i lobi temporali con la ECT BF e una maggiore efficacia di quest’ultima rispetto alla ECT RUL. Ricordiamo uno studio randomizzato condotto in doppio cieco per 4 anni su 73 pazienti tra 60-85 anni di età con depressione maggiore unipolare e bipolari, trattati con la ECT RUL e la ECT BF. L’efficacia è stata valutata con la somministrazione della Hamilton Depression Rating Scale e la sicurezza con il 172Mini Mentale State Examination. I risultati dello studio hanno mostrato una riduzione della sintomatologia depressiva con una differenza non significativa tra le due diverse applicazioni (p= 0,703), i tassi di risposta per il gruppo BF e RUL erano rispettivamente 63,3% e 67,6%, una remissione a breve termine in 14 pazienti (38,9%) nel gruppo della ECT BIFRONTALE e in 19 pazienti (51,4%) nel gruppo della ECT RUL e infine in nessuno dei due gruppi è stato rilevato un deterioramento delle funzioni cognitive. I dati empirici degli studi condotti fin ora dimostrano che solo il 60-70% dei pazienti con disturbo depressivo maggiore rispondono al trattamento farmacologico di prima linea, mentre il restante 30-40% risulta resistente.

171 ENGEDAL K., BENTH JS., DYBEDAL GS., GAARDEN TL., TANUM L, Clinical efficacy of

formula-based bifrontal versus right unilateral electroconvulsive therapy (ECT) in the treatment of major depression among elderly patients: A pragmatic, randomized, assessor-blinded, controlled trial, J Affect Disord 2015, pp. 8-17.

172 Il MMSE è una batteria globale utilizzata in ambito neuropsicologico per una valutazione globale

Vari fattori clinici si associano alla mancata risposta e resistenza al trattamento nella depressione maggiore come la non-aderenza, la scarsa tollerabilità agli antidepressivi, la comorbidità psichiatrica e medica. Le ricerche condotte fino ad ora sostengono che la ECT sia un trattamento efficace per il trattamento della depressione farmacoresistente anche se rimane ancora aperto il dibattito riguardo il deterioramento cognitivo temporaneo provocato dall’ECT nella fase acuta post-trattamento. L’effetto collaterale maggiormente riscontrato nei pazienti, successivamente alla ECT è “l’amnesia anterograda e retrograda”. A tale proposito un gruppo di studi hanno riscontrato che differenti modalità di montaggio degli elettrodi nella ECT, la frequenza del trattamento, la forma dell’impulso e la dose di trattamento avevano un impatto significativo sull’incidenza e sulla durata del deterioramento cognitivo nei pazienti depressi. In una recente 173meta-analisi sono stati valutati i deficit cognitivi conseguenti

alla ECT e si è osservato che il deterioramento cognitivo era limitato ad un periodo post trattamento di 3 giorni. Sono ancora in corso gli studi che cercano di quantificare l’effetto delle diverse modalità di trattamento ECT sulla durata e sulla presenza del deterioramento cognitivo. I dati empirici suggeriscono che la terapia elettroconvulsiva rimane il trattamento più efficace per i casi di depressione resistente confermando che i deficit cognitivi ad essa legati come l’amnesia anterograda e retrograda scompaiono entro pochi giorni dopo il trattamento. Le ricerche si stanno concentrando sulla possibilità di individuare un agente farmacologico per poter ridurre gli effetti cognitivi della ECT. Tra gli agenti sono stati utilizzati; il Piracetam, il Naloxone, gli ormoni tiroidei, la Ketamina, agenti colinergici ma tutti mostravano risultati contrastanti.

173 OREMUS C., OREMUS M., McNEELY H., LOSIER B., PARLAR M., KING M., HASEY G.,

FERVAHA G et al., Effects of electroconvulsive therapy on cognitive functioning in patients with depression: protocol for a systematic review and meta-analysis, BMJ Open 2015.

Attualmente l’attenzione è rivolta al 174CEPO (carbamylated erythropoietin) in

quanto promuove la proliferazione e la differenziazione neuronale, la protezione contro la morte delle cellule in deprivazione di ossigeno e glucosio e NMDA eccitotossicità in colture di neuroni ippocampali di topo e infine la crescita dei neuriti e la formazione della colonna vertebrale neuronale in neuroni di ratto. Pertanto CEPO nei modelli animali ha fornito risultati incoraggianti riguardo alla sua funzione neuroprottettiva e neurotrofica in diverse patologie; sclerosi multipla, ischemia cerebrale, ansia e depressione. Il trattamento della depressione resistente è molto complesso infatti circa il 50% dei pazienti ha un decorso cronico e il 20% non risponde ai diversi trattamenti farmacologici e psicoterapeutici. La terapia elettroconvulsiva in questi casi è uno dei trattamenti più efficaci, infatti i tassi di remissione successivamente alla sua applicazione sono pari al 70-90% rispetto al trattamento farmacologico con antidepressivi. Nonostante la comprovata efficacia della ECT il suo meccanismo d’azione molecolare rimane ancora sconosciuto, pertanto la comprensione dei meccanismi biologici sottostanti all’azione degli antidepressivi ha reso possibile individuare biomarcatori predittori della risposta terapeutica. Dunque alcuni parametri sono stati proposti come possibili biomarcatori degli effetti della ECT, tra questi: CRH, ACTH, CORTISOLO, PROLATTINA, OSSITOCINA, anche se la questione rimane ancora discussa. Da un punto di vista neurobiologico, diversi studi hanno osservato che la terapia elettroconvulsiva correla con l’aumento della neurogenesi ippocampale e con una maggiore proliferazione delle cellule gliali a livello della corteccia frontale.

174 KELLNER CH., ADAMS DA., BENFERHART A, Further improving the cognitive effect profile

of electroconvulsive therapy (ECT): the case for studying carbamylated erythropoietin, Medical Hypotheses 2015, pp. 258–261.

Le ricerche condotte negli ultimi anni ipotizzano il coinvolgimento del 175BDNF nella fisiopatologia dei disturbi dell’umore, infatti si è osservato una riduzione dei livelli plasmatici del BDNF nei pazienti depressi e alcuni studi sostengono che i livelli plasmatici di BDNF tenderebbero ad aumentare in conseguenza a trattamento a lungo termine con antidepressivi. Inoltre è stato osservato che il BDNF è responsabile dello sprouting neuronale nell’ippocampo e nella corteccia cerebrale e dell’aumentata connettività dei circuiti neurali coinvolti nella regolazione dell’umore. A tale proposito è stato condotto uno studio al fine di comprendere l’eventuale correlazione tra i cambiamenti plasmatici di BDNF e miglioramento clinico in pazienti depressi farmacoresistenti dopo la terapia elettroconvulsiva. Sono stati reclutati 21 pazienti farmacoresistenti 19 donne e 2 uomini di età media 63 anni valutati mediante la HDRS (Hamilton Depression Rating Scale), BPRS (Brief Psychiatric Rating Scale) e la CGI (Clinical Global Impressions) prima e dopo un ciclo di trattamento con ECT eseguita 3 volte alla settimana a giorni alterni. Successivamente si è cercato di misurare i livelli plasmatici di BDNF per valutare eventuali cambiamenti in relazione alle varie scale alle quali i pazienti sono stati sottoposti prima e dopo ma non è stata riscontrata alcuna correlazione significativa, poiché i livelli plasmatici di BDNF nei pazienti farmacoresistenti erano bassi sia prima che dopo. Ciò ha portato i ricercatori a concludere che i miglioramenti di questi pazienti in conseguenza a ECT non sono mediati dalla modificazione dei livelli plasmatici di BDNF. Ricordiamo un altro studio in cui è stato descritto il caso di una donna di 89 anni con una storia di 60 anni di depressione farmacoresistente trattata con ECT. Si tratta di una donna che ha ricevuto più di 400 terapie elettroconvulsive considerando la sua elevata resistenza agli antidepressivi, nonostante la forte esposizione a terapia ECT i ricercatori evidenziarono un minimo deterioramento cognitivo e confermarono la sicurezza e l’efficacia della ECT anche in età avanzata.

175 RAPINESI C., KOTZALIDIS GD., CURTO M., SERATA D., FERRI VR., SCATENA P et al.,

Electroconvulsive therapy improves clinical manifestations of treatment-resistant depression without changing serum BDNF levels, Psychiatry Res 2015, pp. 171-8.

Questo 176caso suggerisce come in alcuni pazienti la terapia elettroconvulsiva sia essenziale per episodi acuti di depressione grave e per la terapia di mantenimento. Come già noto i disturbi del ritmo sonno-veglia sono presenti in circa il 60-90% dei pazienti con disturbo depressivo maggiore rispetto al 6% della popolazione generale. I disturbi del sonno non solo sono uno dei principali sintomi della depressione ma contribuiscono al mantenimento di essa infatti l’insonnia si associa ad un rischio raddoppiato di sviluppare depressione maggiore, a maggiori ricadute, tendenze suicidarie e alla reiterazione del disturbo. Infatti la probabilità di remissione della sintomatologia aumenta se gli antidepressivi sono associati ad altri trattamenti cognitivi e non che agiscono sui disturbi del sonno. Attualmente ci sono diversi studi che indagano gli effetti della ECT sui disturbi del sonno, tra questi uno studio condotto su 11 e 25 pazienti ha dimostrato che la terapia elettroconvulsiva riduceva la durata del sonno REM e aumentava la latenza del sonno REM, parametri che caratterizzano il sonno dei depressi. Ciò potrebbe suggerire che l’effetto antidepressivo indotto dalla terapia elettroconvulsiva è mediato dal suo effetto benefico sulla qualità e durata del sonno. A tale proposito è stato condotto uno studio al fine di verificare se la terapia elettroconvulsiva esercita un effetto a breve termine sui parametri soggettivi e oggettivi del ritmo sonno-veglia. Sono stati reclutati 17712 pazienti gravemente depressi di età media 62 anni e per

l’83% di sesso femminile, valutati complessivamente per 43 notti, dopo 19 sessioni di ECT. Tra tutti i partecipanti (n=12), 8 pazienti sono stati studiati per 5 giorni e 4 notti, 3 pazienti sono stati studiati per 3 notti e infine 1 paziente è stato valutato per 2 notti. Tra i parametri soggettivi del sonno erano inclusi; i diari del sonno, scale analogiche visive, questionari che venivano compilati ogni mattina per valutare la soggettiva qualità del sonno e i disturbi dell’umore correlati.

176 CARNEY S., SAMI MB., CLARK V., KURUVILLA KK, Electroconvulsive therapy: a life course

approach for recurrent depressive disorder, BMJ Case Rep 2015.

177 HOOGERHOUD A., ANDREIA W. P., GILTAY EJ et al., Short-Term Effects of Electroconvulsive

Therapy on Subjective and Actigraphy-Assessed Sleep Parameters in Severely Depressed Inpatients, Depression Research and Treatment 2015, pag 1-7.

Tra i parametri obiettivi ritroviamo l’actigraphy (accelerometro piezoelettrico) che valuta con precisione la variabilità del sonno di un soggetto, misura l’intensità e il grado di movimenti in un minuto ed è sensibile agli effetti del trattamento. Altri parametri utilizzati sono le caratteristiche sociodemografiche, i punteggi ottenuti alla Montgomery-Asberg Depression Rating Scale (MADRS) e il Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI) che valuta precedenti problemi di sonno ed è costituito da 7 sottoscale; soggettiva qualità del sonno, la durata del sonno, la latenza del sonno, abituale efficienza del sonno, disturbi del sonno, uso di farmaci per dormire, e disfunzione giornaliere. All’interno di questo studio pilota i ricercatori hanno riscontrato differenze riguardo la qualità del sonno tra le notti in cui i pazienti avevano ricevuto la terapia elettroconvulsiva e le altre notti ma in entrambi i casi non vi era nessuna variazione dei parametri oggettivi e soggettivi. Pertanto i ricercatori hanno concluso suggerendo che la ECT non influenzava i parametri soggettivi e oggettivi del sonno nel breve termine e che gli studi futuri dovrebbero comprendere misurazioni di riferimento prima dell'inizio di un corso di ECT e terminare dopo il completamento del corso di ECT.

3.4 Stimolazione del nervo vago

L’elevata prevalenza della depressione farmacoresistente solleva un problema significativo per i pazienti e comporta anche un elevato costo sociale, poiché i trattamenti farmacologici e psicoterapici non risultano essere sufficienti e adeguati per questa classe di soggetti. Considerando la scarsa efficacia delle terapie esistenti per tali pazienti, si stanno esplorando 178trattamenti somatici

alternativi tra questi vi è un’ampia gamma di ricerche che sostiene l’efficacia e la sicurezza della stimolazione del nervo vago (VNS) come possibile trattamento della depressione farmacoresistente. Il 179nervo vago è una componente del sistema del nervoso autonomo coinvolto nella regolazione dell’omeostasi metabolica, nell’asse neuroendocrino-immunitario e nella regolazione della funzione di molteplici organi, ghiandole e muscoli volontari come; la vocalizzazione, la frequenza cardiaca, la respirazione, la deglutizione, la motilità intestinale e la secrezione gastrica Il nervo vago in uscita da destra e sinistra dal tronco cerebrale, passa attraverso il collo (nella guaina carotidea tra l'arteria carotide e la vena giugulare) il torace superiore (lungo la trachea) e inferiore, il diaframma (lungo l'esofago), e nella cavità addominale. Durante questo corso, varie strutture sono innervate da esso come la laringe, faringe, cuore, polmoni, e del tratto gastrointestinale. Infine le fibre sensoriali afferenti terminano nel nucleo solitarius del tratto, il quale invia fibre che collegano direttamente o indirettamente differenti regioni cerebrali tra queste; amigdala, ipotalamo, talamo, corteccia orbitofrontale e locus coerulus.

178 RIZVI SJ., DONOVAN M., GIACOBBE P., PLACENZA F., ROTZINGER S., KENNEDY SH,

Neurostimulation therapies for treatment resistant depression: a focus on vagus nerve stimulation and deep brain stimulation, Int Rev Psychiatry 2011, pp. 424-436.

179 Il nervo vago (nervo craniale X) è un nervo misto composto da 20% di fibre "efferente" (invio di

segnali dal cervello al corpo) e l'80% "afferenti" (sensoriali) fibre che trasportano le informazioni dal soma al cervello.

La stimolazione del nervo vago è una tecnica di stimolazione elettrica o manuale del nervo vago applicata mediante uno stimolatore elettrico collocato a livello sottocutaneo del torace e collegato attraverso un filo elettrico al nervo vago di sinistra. Nel corso del tempo è stato osservato su modelli animali come la stimolazione del nervo vago sia in grado di modulare l’attività elettrica cerebrale e produrre effetti anticonvulsivanti. Pertanto molteplici studi clinici condotti su tale stimolazione hanno permesso di riconoscere la VNS come trattamento efficace e adeguato per l’epilessia e la depressione farmacoresistente, considerando la sua elevata tollerabilità e gli scarsi effetti collaterali. Infatti le ricerche mostrano come tale tecnica riduce al minimo i potenziali effetti cardiaci e sicuro e ben tollerato anche dai pazienti pediatrici e può essere utilizzato in associazione alla terapia farmacologica e terapia elettroconvulsiva. Studi di neuroimaging funzionale dimostrano che la VNS esercita un effetto antidepressivo in quanto modula l’attività fisiologica delle regioni cortico- limbiche-talamo-striatali coinvolte nei disturbi dell’umore e influenza l’attività dei sistemi neurotrasmettitoriali coinvolti nei disturbi dell’umore; serotonina, noradrenalina. Inoltre da un punto di vista neurochimico tale tecnica aumenta l’espressione del BDNF attivando il suo recettore e promuove la neurogenesi ippocampale. A tale proposito citiamo uno 180studio pilota condotto su 60

pazienti con depressione farmacoresistente unipolare e bipolare da circa 10 anni che non avevano risposto a 16 diverse terapie antidepressive. Successivamente all’applicazione della stimolazione vagale per 10 settimane, il 30% dei pazienti rispondevano ottenendo miglioramenti e il 15% la remissione. Tra 13 pazienti che non avevano risposto in precedenza a più di sette trattamenti farmacologici nessuno ha risposto a VNS invece tra i pazienti rimanenti che non avevano risposto precedentemente a meno di sette trattamenti, il 39% rispondeva alla nuova terapia.

Durante il follow-up, i ricercatori hanno dimostrato che il 44% dei pazienti dopo un anno rispondevano efficacemente alla VNS e dopo 2 anni il tasso di remissione era pari al 22%. Tali risultati suggeriscono che l’efficacia della VNS aumentava e si manteneva con il tempo e i pazienti con un minor numero di precedenti trattamenti senza successo erano più propensi a rispondere al nuovo trattamento. Ancora un altro studio randomizzato in doppio cieco controllato con placebo è stato condotto su 235 pazienti con depressione unipolare e bipolare farmacoresistente. Il campione è stato suddiviso in II sottogruppi: il gruppo attivo che riceveva la stimolazione vagale e il gruppo placebo con dispositivo spento. Dopo l’applicazione della stimolazione per 10 settimane si è osservato un recupero del gruppo attivo pari al 15% rispetto al 10% del placebo. Rispetto all’esito primario dell’efficacia di risposta valutata con la scala Hamiltom (HDRS) non vi era una significativa differenza tra il gruppo sperimentale e il placebo, ma vi era una differenza significativa nel tasso della

risposta pari al 17% nel gruppo sperimentale rispetto al 7% del placebo. Al termine dello studio i pazienti sono stati seguiti e confrontati a lungo termine

con un trattamento naturalistico detto TAU. Dopo un anno i pazienti trattati con VNS mostravano un tasso di miglioramento pari al 27% e un tasso di remissione pari al 16% rispetto al gruppo con trattamento naturalistico che mostravano un tasso di miglioramento pari al 13% e un tasso remissione pari al 7%. Attraverso questo studio i ricercatori hanno confermato che la risposta antidepressiva in seguito alla stimolazione vagale aumenta e si mantiene con il tempo. Inoltre altro dato importante è che non vi era alcuna differenza tra i pazienti con depressione unipolare e bipolare. Un altro studio è stato condotto per confrontare la risposta e la remissione di pazienti depressi farmacoresistenti trattati con 181VNS e TAU e TAU da solo seguito per 96 settimane.

181 BERRY SM., BROGLIO K., BUNKER M., JAYEWARDENE A., OLIN B., RUSH AJ, A patient-

level meta-analysis of studies evaluating vagus nerve stimulation therapy for treatment-resistant depression, Med Devices (Auckl) 2013, pp. 17-35.

Pertanto i partecipanti reclutati sono stati suddivisi in 2 gruppi: il primo gruppo costituito da 134 pazienti veniva sottoposto a due trattamenti VNS e TAU e il secondo gruppo costituito da 235 pazienti veniva sottoposto ad uno solo trattamento (TAU). La risposta al trattamento veniva valutata mediante la

Montgomery-Asberg Depression Rating Scale (MADRS) mentre i

miglioramenti con la Clinical Global Impressions (CGI-I). I risultati confrontati