Capitolo III: Trattamenti della depressione farmacoresistente
3.7 Trattamenti psicoterapic
La depressione ricorrente essendo una patologia molto complessa accompagnata da un’ampia base biologica richiede un trattamento integrato e multidimensionale in cui l’intervento terapeutico risulta essenziale. Tra gli interventi psicoterapici maggiormente utilizzati ritroviamo; la terapia cognitivo- comportamentale, le nuove terapie cognitive-comportamentali di III generazione, in particolar modo la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT), la psicoterapia interpersonale breve e infine la psicoterapia dinamica. Con il termine cognitivo-comportamentale si fa riferimento ad un’ampia classe di psicoterapie, tra queste ritroviamo quelle volte a modificare direttamente il comportamento dei pazienti depressi e quelle invece volte a modificare le cognizioni distorte che sottendono la patologia. Dunque secondo Beck, principale esponente della terapia cognitiva, il modello cognitivo della depressione si basa su 3 principali aspetti: la triade cognitiva, gli schemi e le
distorsioni cognitive. Con la 201triade cognitiva si fa riferimento alla visione
negativa che il depresso ha di sé stesso, del suo presente e del futuro, in questo caso è necessario che il terapeuta comprenda all’inizio del trattamento il mondo del paziente. Gli schemi rappresentano dei presupposti cognitivi stabili in base ai quali si interagisce con l’ambiente esterno. Le distorsioni cognitive rappresentano convinzioni negative che mantengono nel depresso il fatto che tutto vada male, tra queste le più rilevanti sono: la generalizzazione che implica la tendenza ad applicare un esperienza a tutti gli altri eventi per confermare la convinzione che tutto è negativo e l’astrazione selettiva che implica la tendenza a concentrarsi sugli aspetti negativi di un evento ignorando i possibili aspetti positivi.
Nella terapia cognitiva di Beck oltre alle tecniche cognitive che agiscono al fine di modificare le convinzioni distorte e i pensieri disfunzionali dei pazienti depressi e di condurre quest’ultimi a riconoscere le connessioni tra cognizione- emozione-comportamento, a regolare i propri pensieri disfunzionali e a sostituire le convinzioni distorte con interpretazioni più realistiche, vengono utilizzate anche le tecniche comportamentali il cui obiettivo è di modificare i comportamenti depressivi riconoscendo i pensieri disfunzionali. Attualmente la psicoterapia cognitiva-comportamentale e gli interventi psicoterapici cognitivi- comportamentali di III generazione (mindfulness) rappresentano il trattamento di prima scelta in combinazione con altri trattamenti farmacologici e fisici per la cura dei pazienti depressi. A tale proposito un ampio numero di ricerche ha dimostrato l’efficacia della terapia cognitiva nel trattamento della depressione paragonabile a quella ottenuta con gli interventi farmacologici. Inoltre è stato osservato che i pazienti trattati con terapia cognitiva mostrano un rischio di ricaduta più basso rispetto ai pazienti trattati solo farmacologicamente dopo l’interruzione del trattamento. Poichè la reattività cognitiva all’induzione di un umore depressivo e le competenze cognitive predicono il rischio di ricaduta in seguito a trattamento cognitivo è stato condotto uno studio per comprendere meglio la relazione tra questi due costrutti. 202Sono stati reclutati 67 partecipanti
di età media 38 anni con diagnosi di depressione maggiore, il 54% del campione era costituito da soggetti di sesso femminile e il 93% era di origine Caucasica. Tutti i soggetti dello studio sono stati valutati sia nella fase pre-trattamento che post-trattamento mediante la SCID, la HRSD, la DAS e la WOR. Durante lo studio si è osservato che i pazienti con maggiori competenze cognitive mostravano una riduzione della reattività cognitiva di fronte a stati d’animo tristi e che la relazione tra competenze cognitive e reattività cognitiva era più forte tra le donne rispetto agli uomini.
202 STRUNK DR., ADLER AD., HOLLARS SN, Cognitive Therapy Skills Predict Cognitive
Reactivity to Sad Mood Following Cognitive Therapy for Depression, Cognit Ther Res 2013, pp. 1214-1219.
Ancora un altro studio è stato condotto 203su 44 pazienti sottoposti ad una psicoterapia ospedaliera per 8 settimane e ad un follow-up dopo 6 mesi di trattamento psicoterapico. E’ stato osservato che i pazienti mostravano una riduzione della sintomatologia depressiva e dei problemi interpersonali sia durante il trattamento che nel follow-up, ciò suggerisce l’importanza dell’intervento psicoterapico nel trattamento della depressione. In un altro
204studio i ricercatori hanno confrontato una specifica psicoterapia per la
depressione cronica detta Cognitive Behavioral Analysis Sistema di Psicoterapia con trattamento farmacologico (escitalopram). Pertanto sono stati reclutati 60 pazienti con depressione maggiore cronica sottoposti casualmente a 22 sessioni di (CBASP) o a trattamento con escitalopram più la gestione clinica. I partecipanti sono stati valutati attraverso la Montgomery-Asberg Depression Rating Scale (MADRS) nella fase pretrattamento, dopo 8 e 28 settimane. I risultati dimostrano una riduzione della sintomatologia depressiva dopo 8 e 28 settimane in entrambi gruppi. Dopo 8 e 28 settimane di trattamento i tassi di risposta erano abbastanza elevati, rispettivamente 64% alla (CBASP) e 60% al trattamento farmacologico con escitalopram più gestione clinica e le percentuali di remissione moderate (36,8% CBASP e 50% al trattamento farmacologico più la gestione clinica). Tali risultati suggeriscono che entrambi i trattamenti si configurano interventi efficaci per i pazienti ambulatoriali con depressione cronica e nel caso dei non-responder, l’intervento psicoterapico può aumentare la probabilità di risposta al farmaco e viceversa. Un interessante ricerca è stata condotta con l’obiettivo di dimostrare l’efficacia della terapia cognitivo- comportamentale in combinazione con il trattamento farmacologico nella cura di pazienti depressi ospedalizzati.
203 DINGER U., KOHLING J., KLIPSCH O., EHRENTHAL JC., NIKENDEI C., HERZOG W.,
SCHAUENBURG H, [Day-clinic and Inpatient Psychotherapy of Depression (DIP-D) - Secondary Outcomes and Follow-up Results of a Randomized-Controlled Pilot Trial, Psychother Psychosom Med Psychol 2015.
204 SCHRAMM E., ZOBEL I., SCHOEPF D., FANGMEIER T., SCHNELL K., WALTER H.,
DROST S et al., Cognitive Behavioral Analysis System of Psychotherapy versus Escitalopram in Chronic Major Depression, Psychother Psychosom 2015, pp. 227-240.
Sono stati reclutati 206 pazienti con diagnosi di depressione maggiore in fase acuta, tra questi 105 sono stati sottoposti ad un trattamento integrato mentre 101 sono stati trattati solo farmacologicamente. Tutti i partecipanti sono stati valutati attraverso la Hamilton Depression Rating Scale, la Beck Depression Inventory e la Clinical Impression Global Scale. I 205risultati hanno evidenziato che i pazienti trattati con terapia cognitivo-comportamentale in aggiunta al trattamento farmacologico mostravano una riduzione della sintomatologia rispetto ai pazienti trattati solo farmacologicamente come evidenziato dai punteggi ottenuti alle diverse scale di valutazione, rispettivamente: HAMD= -22,21 (punteggio ottenuto dai pazienti trattati con entrambi gli interventi) rispetto a -19,86 dell’altro gruppo; BDI= 14, 99 ottenuto dal primo gruppo rispetto a 11,36 ottenuto dall’altro gruppo. Inoltre anche i tassi di remissione risultavano più bassi nel primo gruppo rispetto al secondo (HAMD= 72% rispetto al 51% e BDI= 58,8% contro 43,1%). Ciò suggerisce che il trattamento cognitivo comportamentale in aggiunta al trattamento farmacologico standard migliora nettamente la sintomatologia nei pazienti ospedalizzati con depressione maggiore cronica. Attualmente anche le emergenti psicoterapie di III generazione hanno ricevuto molte approvazioni riguardo la loro efficacia nel trattamento della depressione ricorrente, in particolar modo la Mindfulness- Based Cognitive Therapy (MBCT). Infatti un’ampia ricerca è stata condotta su 51 pazienti con depressione ricorrente per valutare parallelamente la modulazione delle dinamiche elettrocorticali lineari e non lineari 206(oscillazioni
α e γ EEG) la gravità della sintomatologia depressiva e l’autocompassione in risposta al trattamento con MBCT.
205 KOHLER S., HOFFMANN S., UNGER T., STEINACHER B., DIERSTEIN N., FYDRICH T,
Effectiveness of cognitive-behavioural therapy plus pharmacotherapy in inpatient treatment of depressive disorders, Clin Psychol Psychother 2013, pp. 97-106.
206 SCHOENBERG PL., SPECKENS AE, Multi-dimensional modulations of α and γ cortical
dynamics following mindfulness-based cognitive therapy in Major Depressive Disorder, Cogn Neurodyn 2015, pp. 13-29.
I risultati hanno evidenziato che la MBCT influenza diversi meccanismi neurali, in particolar modo la sincronizzazione neurale e la connettività di rete dinamica lineare e non lineare, infatti può esercitare un ruolo eccitatorio o inibitorio sulle fasce oscillatorie corticali che correlano rispettivamente con la possibilità di favorire l’emotività positiva e disimpegnarsi dal materiale negativo. Un altro intervento psicoterapico che si è dimostrato utile ed efficace nel trattamento della depressione maggiore è la 207psicoterapia interpersonale breve. Si tratta di
un intervento relativamente breve (12-16) settimane nato in un primo momento per il trattamento della depressione e applicato successivamente nel trattamento di altre patologie psichiatriche. Tale intervento si fonda su una base psicobiologica e parte dal presupposto che la depressione si snoda su tre componenti; i sintomi, le esperienze interpersonali e specifici tratti di
personalità. La psicoterapia interpersonale si focalizza sul funzionamento
interpersonale della persona depressa e non si propone come obiettivo principale la ricostruzione della struttura della personalità ma il miglioramento della sintomatologia, dell’autostima del paziente aiutandolo a sviluppare strategie più adattive per risolvere le problematiche interpersonali. Generalmente l’intervento terapeutico si suddivide in II fasi principali: la prima fase viene condotta mediante un approccio psicoeducativo istruendo il paziente sulla natura del disturbo e la sua base psicobiologica, la seconda fase mira all’acquisizione di tutte le informazioni necessarie per ricostruire il mondo delle relazioni interpersonali del paziente e la loro relazione con l’attuale episodio depressivo. Molto spesso i problemi interpersonali possono essere ricondotti a 4 grandi aree:
lutto, conflitti di ruolo, transizioni di ruolo e deficit interpersonali. Per ciò che
riguarda la 208psicoterapia dinamica o analiticamente orientata questa si basa su
processi inconsci e impliciti che non sono direttamente accessibili alla coscienza, pertanto risulta più difficile descrivere e misurare i meccanismi mediante i quali essa induce il cambiamento.
207 CARPINIELLO B, La Depressione, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006, pp. 71-2.
208 MUNDO E, Neuroscienze per la psicologia clinica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009,
Nel caso del trattamento psicodinamico il cambiamento è associato a II aspetti principali; l’esperienza relazionale terapeutica sostenuta dai processi di transfert e controtransfert e l’interpretazione dei contenuti inconsci che non sono accessibili alla coscienza. La nuova relazione di attaccamento che si instaura con il terapeuta permette l’acquisizione di nuove memorie implicite e l’aumento delle possibilità del paziente nel suo essere e fare e tutto ciò si ripercuote nelle nuove modalità con cui il paziente si relaziona con se stesso e con gli altri. Le interpretazioni e l’aumento della consapevolezza da parte del paziente sui propri contenuti inconsci non solo rappresentano un elemento essenziale del cambiamento e del miglioramento indotto dall’intervento terapeutico ma possono apportare delle modificazioni sia nella dimensione implicita che inconscia. Tali aspetti rappresentano il focus della psicoterapia dinamica e sono correlati da un punto di vista neurobiologico alla memoria implicita o procedurale ossia a quella memoria che non richiede un accesso cosciente alle informazioni e all’attività psichica inconscia. Diverse 209meta-analisi forniscono
risultati positivi riguardo l’efficacia di tale intervento terapeutico per il trattamento di alcune patologia psichiatriche tra queste; la depressione, il disturbo post traumatico da stress, disturbi dell’alimentazione, disturbi da abuso di sostanze e infine disturbo borderline di personalità.
209 FONAGY P, The effectiveness of psychodynamic psychotherapies: An update, World Psychiatry 2015,
3.8 Caratteristiche neurobiologiche della risposta ai trattamenti
Con l’introduzione delle tecniche di neuroimaging funzionale è possibile acquisire informazioni e immagini relative all’attività di diverse regioni cerebrali a riposo e a seguito di specifiche stimolazioni. Attualmente si sta sviluppando molto rapidamente la possibilità di identificare le risposte al trattamento dei pazienti con disturbo depressivo maggiore. L’attività metabolica nelle corteccia fronto-insulare permette di distinguere i pazienti che rispondono al trattamento farmacologico o psicoterapico, configurandosi come un biomarcatore della selezione del trattamento. Diversamente, l’elevata attività metabolica nella corteccia sottogenicolata e nella corteccia cingolata anteriore può essere considerata come un fattore predittivo di scarse risposte sia al trattamento psicoterapico che farmacologico, ciò suggerisce che i trattamenti non standard possono essere perseguiti nel corso del trattamento e che attraverso la misurazione delle varie attività cerebrali è possibile selezionare un trattamento specifico per ogni singolo paziente. La possibilità di abbinare uno specifico trattamento ad un singolo paziente prende il nome di medicina personalizzata o di precisione che si propone come obiettivo principale di utilizzare le caratteristiche individuali per selezionare gli interventi più adeguati ad ogni singolo paziente, riducendo i costi e gli eventuali effetti collaterali e ottenendo in tal modo risultati migliori. Da un punto di vista neurobiologico la depressione maggiore è connotata da un ridotto metabolismo della corteccia prefrontale dorsolaterale (ipofrontalità), una maggiore attività metabolica nelle regioni del sistema limbico, in particolar modo nell’amigdala e nell’insula, un’iperattività della corteccia cingolata subcallossale, e infine una riduzione volumetrica dell’ippocampo. A tale proposito alcuni studi hanno evidenziato un iperattività della corteccia prefrontale dorsolaterale nei pazienti depressi, tale risultato implica un aspetto fondamentale che denota come alcuni pazienti si abituano a tale condizione sintomatologica.
La possibilità di migliorare il trattamento della depressione maggiore è fondata sullo sviluppo di trattamenti che mirano al processo fisiopatologico della patologia, tra questi ricordiamo il test di soppressione al dexametasone e l’identificazione di un’ampia gamma di endofenotipi. Infatti le ultime ricerche riconoscono il ruolo fisiopatologico dell’infiammazione come potenziale contributo della patologia depressiva ed evidenziano che l’inclusione di pazienti con elevati livelli di infiammazione può confondere i risultati di studi in cui vengono esaminati l’attività metabolica cerebrale o altri fattori per studiare la risposta al trattamento. Recentemente gli studi di neuroimaging si concentrano sulla possibilità di evidenziare modelli di reti del disturbo depressivo maggiore. Infatti nella depressione maggiore si parla di una modalità di rete predefinita
210(DMN) che coinvolge la corteccia cingolata posteriore, la corteccia parietale
inferiore e mediale del lobo temporale e la corteccia mediale prefrontale. Di conseguenza è stato osservato che i pazienti depressi rispetto ai controlli sani
presentano cambiamenti nell’attività del DMN in particolar modo durante l’elaborazione dell’informazione. Un’altra rete individuata è l’esecutivo centrale implicato durante le attività orientate al raggiungimento di uno scopo e richiede il coinvolgimento della working memory e del planning strategico. Le aree maggiormente coinvolte in questa rete sono la corteccia prefrontale ventrolaterale, la corteccia fronto-insulare e la porzione dorsale della corteccia cingolata anteriore che permettono di orientare e mantenere l’attenzione verso stimoli rilevanti esterni ed interni. Dunque per ciò che riguarda la possibilità di individuare biomarcatori predittivi della risposta al trattamento diciamo che i trattamenti di prima linea selezionati per la cura della depressione maggiore sono un trattamento farmacologico che implica due farmaci antidepressivi e un trattamento psicoterapico. Tali trattamenti hanno differenti meccanismi d’azione e suggeriscono che specifici stati cerebrali possono essere più o meno responsivi ad uno di questi interventi.
210 DUNLOP BW., MAYBERG HS, Neuroimaging-based biomarkers for treatment selection in major
Un altro tipo di trattamento biomarcatore sarebbe quello mirato a identificare quali pazienti potrebbero non rispondere ai trattamenti standard, tale biomarker indica l’utilizzo di tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva riservate ai pazienti farmacoresistenti, tra queste la terapia elettroconvulsiva, la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva e la stimolazione magnetica transcranica a corrente diretta. Nella pratica clinica attuale applicando gli algoritmi dei trattamenti standard sarebbe possibile prevedere la resistenza al trattamento. Molte ricerche di neuroimaging si sono concentrate sullo studio dell’insula che si configura come uno snodo cruciale per i processi affettivi e sembrerebbe svolgere un ruolo chiave nel ripetersi dell’episodio depressivo. A tale proposito è stato condotto uno studio al fine di confermare come l’attività metabolica dell’insula potrebbe essere considerata un fattore predittivo di risposta al trattamento. Sono stati reclutati 63 pazienti, tra i 18 e 60 anni con depressione maggiore e sono stati sottoposti ad una valutazione dell’attività cerebrale a riposo mediante PET nella fase pretrattamento e successivamente in modo casuale a trattamento psicoterapico cognitivo-comportamentale e a trattamento farmacologico con escitalopram. I risultati mostrarono come l’attività metabolica di specifiche aree quali; la porzione destra dell’insula anteriore, la porzione destra della corteccia motoria, l’amigdala sinistra, il precuneo sinistro e la porzione della corteccia premotoria sinistra era in grado di distinguere i responsivi e i non-responder alle tecniche di stimolazione cerebrale profonda. Ancora in un altro studio di neuroimaging sono stati messi a confronto un gruppo di pazienti trattati farmacologicamente con paroxetina e con psicoterapia, anche in tale studio i cambiamenti dell’attività metabolica dell’insula rappresentavano un dato statisticamente significativo della risposta al trattamento. I risultati dimostrano che in entrambi i gruppi vi era un aumento dell’attività metabolica dell’insula anteriore in seguito ai trattamenti e una riduzione dell’attività metabolica della corteccia prefrontale ventrolaterale soltanto nel gruppo trattato farmacologicamente con escitalopram.
E’ stato osservato che la scarsa risposta al trattamento con rTMS è stata associata ad una condizione pretrattamento caratterizzata da una ridotta attività metabolica dell’insula bilaterale e della corteccia cingolata anteriore nei pazienti depressi farmacoresistenti rispetto ai controlli sani. Ciò conferma l’ipotesi secondo la quale l’attività metabolica della porzione inferiore dell’insula può essere considerata come un fattore predittivo della scarsa risposta ai trattamenti. In un'altra ricerca è stato osservato che i pazienti con ridotta attività metabolica dell’insula rispondevano positivamente all’intervento psicoterapico cognitivo- comportamentale, pertanto una scarsa attività metabolica dell’insula in condizioni di riposo indica che il paziente è un buon candidato per il trattamento psicoterapico. 211Negli ultimi anni sono sempre di più i pazienti depressi che non
rispondono adeguatamente ai diversi trattamenti, pertanto da un punto di vista clinico rimane ancora aperta la discussione riguardo la possibilità di individuare quei fattori neurobiologici in grado di predire la risposta al trattamento. Con l’applicazione delle tecniche di neuroimaging è stato possibile mappare le regioni cerebrali coinvolte nella risposta al trattamento dei pazienti farmacoresistenti; tra queste, l’ippocampo, l’amigdala, l’insula e il lobo temporale mediale. A tale proposito è stato condotto uno studio con l’obiettivo primario di indagare le caratteristiche neurocognitive dei pazienti responsivi e non al trattamento con rTMS, e di individuare i predittori dell’esito di trattamento. Prima del trattamento con rTMS tutti i pazienti sono stati sottoposti a valutazione neuropsicologica e a risonanza magnetica funzionale. E’ stato osservato che il 50% dei pazienti rispondevano in seguito a 6 settimane di trattamento quotidiano con rTMS, infatti la risposta al trattamento correlava con una riduzione della sintomatologia valutata mediante i punteggi ottenuti di soggetti alla Hamilton Depression Rating Scale e alla Beck Depression Inventory-II.
211 FURTADO CP., HOY KE., MALLER JJ., SAVAGE G., DASKALAKIS ZJ., FITZGERALD PB,
Cognitive and volumetric predictors of response to repetitive transcranial magnetic stimulation (rTMS) - a prospective follow-up study, Psychiatry Res 2012, pp. 12-19.
Inoltre i ricercatori non hanno evidenziato variazioni a carico del volume del lobo temporale mediale e del profilo neurocognitivo tra i responder e non- responder, ma hanno osservato che un volume ridotto della porzione sinistra dell’ippocampo nella fase pretrattamento è in grado di predire il miglioramento della sintomatologia. Tali risultati suggeriscono che anomalie strutturali e funzionali di specifiche regioni cerebrali possono predire la risposta al trattamento con rTMS. I progressi ottenuti nel campo delle neuroscienze hanno permesso di avanzare la possibilità di osservare le modificazioni neurobiologiche in seguito ad 212interventi clinici psicoterapici. Per il raggiungimento di tale obiettivo sono state utilizzate tecniche di neuroimaging funzionale, considerando l’elevata risoluzione spaziale e temporale e la capacità di quest’ultime di valutare come l’attività cerebrale si modifica in seguito al trattamento. L’attività metabolica sia in risposta a specifici stimoli che in condizioni basali, rappresenta un indice predittivo della risposta ai trattamenti e della gravità della sintomatologia depressiva. Dunque tali studi hanno confrontato l’attività metabolica di specifiche regioni cerebrali coinvolte nella patogenesi della depressione prima e dopo un trattamento psicoterapico cognitivo-comportamentale e un trattamento farmacologico con antidepressivi. I risultati dimostrano che l’intervento psicoterapico cognitivo-comportamentale è in grado di modulare l’attività cerebrale a livello dell’amigdala, corteccia cingolata anteriore e corteccia prefrontale allo stesso modo del trattamento farmacologico. A sostegno di ciò è stato condotto un altro studio PET su pazienti depressi con l’obiettivo di valutare l’effetto della psicoterapia breve e del trattamento farmacologico sull’attività metabolica cerebrale delle regioni implicate nella depressione maggiore.
212 MUNDO E, Neuroscienze per la psicologia clinica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009
Tale studio ha messo in evidenza che un trattamento di 12 settimane sia con psicoterapia breve che con l’utilizzo di farmaci antidepressivi inibitori della ricaptazione della serotonina (paroxetina) determina una riduzione del metabolismo della corteccia prefrontale che implica un miglioramento della sintomatologia. Ancora un’altra ricerca è stata condotta al fine di comprendere gli effetti neurobiologici della terapia cognitivo-comportamentale rispetto agli effetti indotto dal trattamento farmacologico. Pertanto sono stati reclutati un gruppo di soggetti sottoposti a trattamento psicoterapico e a trattamento farmacologico con SNRI (venlafaxina). I ricercatori osservarono che la risposta