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Capitolo II: Neurobiologia della depressione

2.1 Aspetti neurobiologici dell’umore

La neurobiologia sia sperimentale che clinica ha permesso di dimostrare come nella patologia mentale e in particolar modo nelle alterazioni dell’umore, vi è una progressiva perdita di trofismo neuronale e una riduzione della plasticità. Le

41aree cerebrali maggiormente coinvolte in questo processo sono: l’ippocampo,

l’amigdala e la corteccia del cingolo che costituiscono insieme ad altre regioni

cerebrali quali; talamo, corpi mammillari, fascio mammillo - talamico, fornice,

ipotalamo, gangli della base, corteccia per frontale orbitale e mediale, il

cosiddetto “Sistema Limbico”, sede principale del controllo dell’emozione e principale rete di scambio delle interconnessioni neurali che collegano, l’elaborazione cognitiva dell’emozione e la produzione delle risposte emotive. Dunque il Sistema limbico è coinvolto in numerose funzioni quali; la regolazione emotiva dei pensieri, degli stimoli esterni, il controllo dell’appetito e del sonno e infine nella modulazione della libido e della motivazione. Alterazioni di tale “network cerebrale” si associa a pensieri negativi, irritabilità, alterazioni dell’appetito, del ritmo sonno veglia, riduzione della motivazione e depressione. Attualmente, l’ipotesi neurobiologica in grado di spiegare più accuratamente tali alterazioni neuroanatomiche, sostiene fortemente che l’associazione tra eventi stressanti prolungati ed elevati livelli di corticosterone, determina un’alterazione nelle stesse aree cerebrali che sono strutturalmente e funzionalmente alterate nella patologia umana.

41 STEGAGNO L, Psicofisiologia dalla genetica comportamentale alle attività cognitive, Zanichelli

Ciò accade, poiché concentrazioni fisiologiche di cortisolo nell’uomo, se da una parte è fondamentale per garantire la plasticità neuronale e indurre la neurogenesi ippocampale, dall’altra parte elevate concentrazioni di cortisolo per un periodo prolungato di tempo in associazione all’attivazione di sinapsi eccitatorie, provoca uno scompenso dell’omeostasi cellulare che predispone l’insorgenza alle recidive. Facendo riferimento ai numerosi studi sulla

42neurobiologia dell’umore è possibile sostenere che l’esposizione prolungata al

corticosterone sopprima la neurogenesi ippocampale. Infatti lo 43stress

interferisce con il processo di proliferazione cellulare, sopravvivenza neuronale e funzionalità. L’esposizione prolungata ad 44elevati livelli di glucocorticoidi può determinare, un’alterazione in altre strutture cerebrali, in particolar modo

nella 45PFC, nella quale avvengono cambiamenti neurodegenerativi che

riguardano; l’attivazione di microglia, atrofia dei neuroni piramidali, riduzione delle spine dendritiche e infine riduzione delle proteine sinaptiche come la PSD95. Di conseguenza, questi cambiamenti si associano a deficit cognitivi nei compiti che correlano con l’attività della corteccia prefrontale. Pertanto è possibile confermare che stress e depressione si associano entrambe ad atrofia neuronale e perdita di neuroni in regioni cerebrali sia limbiche che corticali.

Successivi 46studi neurobiologici, infatti dimostrano come i farmaci

antidepressivi siano in grado di stimolare la neurogenesi e il trofismo neuronale e dunque di indurre nel cervello la proliferazione e la differenzazione di nuovi neuroni con proprietà funzionali e di apprendimento.

42 WILLNER P., BELZUNGC C et al., The neurobiology of depression and antidepressant action,

Neurosci Biobehav Rev 2013, p. 2337.

43 CZEH et al., 2001; MIRESCU and GOULD, 2006; OOMEN et al., 2007; WONG and HERBERT,

2004.

44 DUMAN RS., Neurobiology of stress, depression, and rapid acting antidepressants: remodeling

synaptic connections, Depress Anxiety 2014, pp. 291-6.

45 Le aree frontali anteriori sono notevolmente più estese nell’uomo che nelle altre specie e complesse

sia da un punto di vista strutturale che funzionale.

Queste rappresentano la sede delle principali funzioni cognitive nell’uomo e occupano tre aree della superficie: laterale, mediale e orbitale ciascuna con una specifica funzione.

Inoltre ciascuna delle tre regioni è costituita, da una porzione dorsale superiore e una inferiore ventrale, la porzione dorsale media i processi cognitivi mentre la porzione ventrale è strettamente associata alla regolazione dei processi emotivi.

Il meccanismo d’azione, mediante il quale i farmaci antidepressivi inducono la neurogenesi e la proliferazione cellullare si basa sull’aumento dei livelli di fattori neurotrofici; in particolar modo il BDNF (brain-derived neurotrophic factor). A tale proposito, ricerche condotte postmortem sull’ippocampo di pazienti depressi, supportano il ruolo del BDNF non solo nella depressione ma anche nei tentativi di suicidio, infatti l’espressione del fattore neurotrofico di origine cerebrale risulta essere ridotto nei pazienti suicidi rispetto ai pazienti trattati con antidepressivi. Ulteriori 47studi clinici, osservando una riduzione

della concentrazione del BDNF nel siero e nel plasma di tali pazienti, considerano la concentrazione del BDNF nel siero come un biomarker della depressione e dell’efficacia dei farmaci antidepressivi. L’evoluzione delle tecniche di brain imaging ha permesso di dimostrare una stretta associazione tra i disturbi dell’umore e cambiamenti funzionali e strutturali in specifiche regioni cerebrali. La depressione, come già accennato precedentemente è associata alla neurogenesi dell’48ippocampo che svolge un ruolo predominante sia nella

memoria che nell’umore, infatti in molti pazienti depressi si riscontra una perdita dei neuroni dell’ippocampo e ciò correla proprio con alterazioni della memoria e umore distimico. La 49neurogenesi avviene a livello del giro dentato, regione della formazione ippocampale e diversi studi condotti su animali dimostrano come fattori stressogeni che inducono sintomi depressivi sopprimono la neurogenesi ippocampale. Inoltre un’altra struttura cerebrale maggiormente coinvolta nella depressione è l’amigdala, si evidenzia infatti una riduzione del volume in questi pazienti.

47 SCHMIDT., DUMAN RS, Peripheral BDNF produces antidepressantlike effects in cellular and

behavioral models, Neuropsychopharmacology 2011, p. 2378.

48L’ippocampo è una struttura cerebrale, situata nella circonvoluzione interna dei lobi temporali, le sue

principali componenti sono situate all’interno del lobo temporale, a livello sottocorticale del

proencefalo e nelle aree mesencefaliche. Queste strutture anatomicamente connesse tra loro, attorno al tronco encefalico, svolgono un ruolo importante nei processi di memoria e apprendimento, nel comportamento e nelle emozioni

Ricordiamo che 50l’amigdala, localizzata nella parte mediale del lobo temporale, rappresenta all’interno del sistema limbico, la struttura centrale nella regolazione delle risposte emozionali e in particolare delle reazioni di difesa. Pertanto, ippocampo e amigdala come un circuito altamente integrato giocano un ruolo non solo nella regolazione dell’umore ma anche nei processi di apprendimento e memoria. A tale proposito 51diversi autori, osservarono che i pazienti con

alterazioni dell’umore presentavano prestazioni peggiori rispetto ai soggetti sani nei compiti di memoria verbale e visiva. I compiti di memoria nei soggetti sani sono strettamente connessi a due porzioni cerebrali specifiche: cornu Ammonis (CA1-3) e giro dentato (DG), strutture che risultano invece ridotte nei pazienti con depressione maggiore. A sostegno di ciò, recenti 52studi di neuroimaging

suggeriscono che il DG e CA1-3 siano coinvolti nei processi di memoria visuo- spaziale. Fino a qualche tempo fa, si credeva che l’ippocampo fosse la sede centrale delle emozioni, come sostenuto da MacLean nella sua teoria del sistema limbico, successivamente si osservò un ruolo chiave dell’ippocampo in uno dei sistemi cognitivi più importanti del cervello, quello della memoria del lobo temporale. Attualmente, si ritiene che il 53cervello contenga diversi sistemi di

memoria; una memoria cosciente dichiarativa o esplicita, mediata dall’ippocampo che ci permette di ricordare cosa si stava facendo durante un trauma e una memoria implicita o memoria emotiva, mediata dall’amigdala che ci permette di ricordare le emozioni associate all’evento traumatico attraverso, la modificazioni di alcuni indici fisiologici come l’aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. Entrambi i sistemi sono attivati dagli stessi stimoli e operano in parallelo per produrre funzioni della memoria indipendenti.

50STEGAGNO L, Psicofisiologia dalla genetica comportamentale alle attività cognitive, Zanichelli,

Bologna 2010, p. 95.

51 LEE et al., 2012.

52TRAVISA S., COUPLANDB NJ., SILVERSONEB PH et al., Dentate gyrus volume and memory

performance in major depressive disorder, Journal of Affective Disorders 2015, p. 159.

Dunque, ippocampo e amigdala sono strettamente connessi ad altre aree corticali come la corteccia ventromediale che svolge un ruolo fondamentale nel processo del 54decision making e nell’inibizione della risposta emotiva. Inoltre

l’attivazione della 55corteccia prefrontale ventromediale, implica il grado di

controllo del comportamento che un individuo ha sui fattori stressanti, pertanto quando un fattore stressogeno è controllato, l’attivazione del nucleo dorsale del raphe, indotta dallo stress è inibita dalla corteccia pre frontaleventromediale, ciò suggerisce che la corteccia prefrontale ventromediale è in grado di inibire l’attività neuronale indotta dallo stress, nei nuclei del tronco encefalico. La corteccia prefrontale ventrale è costituita dalla corteccia orbitofrontale e dalla

corteccia cingolata subgenuale che svolge un ruolo particolare. Quest’area

riceve afferenze dirette dal talamo dorsomediale, dalla corteccia temporale, dal sistema olfattivo e dall’amigdala e invia efferenze alla corteccia cingolata, ippocampo, ipotalamo laterale e amigdala, comunicando con altre regioni della corteccia frontale. In tal modo è in grado di fornire informazioni su ciò che accade nell’ambiente, attraverso le sue afferenze e di organizzare i comportamenti, le risposte fisiologiche e le risposte emozionali, modulate dall’amigdala. Lesioni della corteccia prefrontale ventromediale provoca alterazioni comportamentali e della capacità di prendere decisioni, associate ad una disregolazione emotiva. Diversi studi hanno permesso di osservare una stretta correlazione tra la disregolazione emotiva e la compromissione delle competenze che riguardano il mondo reale. Ulteriori ricerche dimostrano, come le reazioni emotive siano in grado di guidare i giudizi morali, le gratificazioni personali e le decisioni relative ai rischi e come la corteccia prefrontale sia implicata in questi processi.

54 Per decision making si intende, la capacità di indirizzare il proprio comportamento e di produrre

risposte appropriate sulla base di esperienze passate e delle loro conseguenze, questa abilità è mediata dalla corteccia orbitofrontale.

55 AMAT J., BARATTA MV., PAUL E., BLAND ST., WATKINS LR., MAIER SF, Medial

prefrontal cortex determines how stressor controllability affects behavior and dorsal raphe nucleus, Nature neuroscienze 2005, p. 365.

Fino a poco tempo fa, si credeva che i 56giudizi morali fossero l’espressione di processi razionali e consapevoli, attuali evidenze empiriche dimostrano invece come siano le emozioni protagoniste dei giudizi morali. Studi di neuroimaging hanno evidenziato alterazioni di altre strutture cerebrali; riduzione volumetriche dei gangli della base, talamo, corteccia frontale, sostanza grigia, corteccia cingolata che regola le emozioni e il comportamento e infine il cervelletto, coinvolto nella regolazione del tono muscolare e movimento. A tale proposito, si è osservato che nei pazienti con disturbi dell’umore vi è un’aumentata attività della corteccia cingolata anteriore che potrebbe predisporre ad un maggior rischio di recidive e una riduzione della porzione ventrale del cervelletto rispetto ai soggetti sani. Infatti, una storia ricorrente di depressione si associa a bassi

livelli di 57recettori GABA proprio nella corteccia cingolata. Studi

elettrofisiologici e biochimici hanno dimostrato la presenza di due differenti siti di legame del GABA, GABA a e GABA b che differiscono tra loro per struttura molecolare, profilo farmacologico e trasduzione del segnale). Un’altra struttura cerebrale profondamente associata alle alterazioni dell’umore è l’insula coinvolta anche essa nella regolazione delle emozioni, percezione e cognizione. A tale proposito 58studi condotti con fMRI hanno mostrato nei pazienti con alterazione dell’umore, variazioni della porzione anteriore dell’insula e della sostanza grigia. I risultati di questi studi concorrono a sostenere l’ipotesi secondo la quale, la depressione maggiore è caratterizzata da alterazioni cerebrali che sono alla base di più frequenti ricadute e malattie croniche. Una recente ricerca ha permesso di dimostrare, come pazienti con depressione maggiore, dopo il recupero rimangono comunque più vulnerabili all’incidenza di nuovi episodi con un rischio dell’80% rispetto alla popolazione generale.

56 CARLSON N.R, Fisiologia del comportamento, Piccin, Padova 2014, pp. 367-69.

57 I recettori gaba sono i principali neurotrasmettitori inibitori del SNC che si trovano in quantità elevata in

alcune strutture cerebrali come; nuclei della base, ipotalamo, sostanza grigia periacqueduttale e ippocampo.

58 FAKHOURY M, New insights into the neurobiological mechanisms of major depressive disorders,

Tale lavoro ha individuato un 59“default mode network” coinvolto nei meccanismi biologici sottostanti alla vulnerabilità. Pertanto attraverso fMRI, sono stati confrontati 20 soggetti dopo il recupero dall’evento depressivo con 20 controlli sani. I risultati dello studio hanno mostrato nei pazienti dopo il recupero, un’alterazione della connettività funzionale in alcune regioni cerebrali; in particolar modo a livello del precuneo bilaterale e della corteccia prefrontale

dorsomediale che costituiscono il substrato neurale per i modelli cognitivi,

introspettivi e meditativi. Ciò ha condotto i ricercatori ad ipotizzare che il “default mode network” continua ad essere alterato nei pazienti depressi in fase di recupero, agendo come substrato per l’elaborazione, interferendo con il reclutamento di reti più efficaci e infine determinando un substrato biologico della vulnerabilità. Il concetto del “default mode network” è stato introdotto, in seguito ad un numero esiguo di prove che dimostrano un pattern di disattivazione che coinvolge alcune regioni cerebrali, in particolare precuneo, corteccia cingolata posteriore, corteccia prefrontale mediale, laterale e corteccia parietale posteriore che si verifica durante l’esecuzione di un compito. Generalmente questa rete si attiva durante l’esecuzione di un compito ma diverse ricerche hanno mostrato che questa rete rimane attiva anche nel cervello a riposo, con un alto grado di connettività funzionale tra le regioni.

59 NIXON N.L ., LIDDLE P.F., NIXON E., WORWOOD G., LIOTTI M., PALANIYAPPAN L,

Biological vulnerability to depression: linked structural and functional brain network findings, The British Journal of Psychiatry 2014, pp. 283-5.

Questo stato di riposo è stato definito proprio 60“default mode dell’attività

cerebrale”, per indicare uno stato in cui il soggetto è vigile e sveglio ma non

attivamente coinvolto in compiti finalizzati. Successive 61ricerche a tale

proposito hanno permesso di evidenziare come nella depressione, alterazioni del default mode network correlano con ruminazioni negative. Dunque è possibile sostenere che alterazioni dell’umore, correlano con modificazioni strutturali e funzionali di specifiche aree cerebrali, coinvolte sia nella regolazione di specifiche funzioni cognitive che nella regolazione delle emozioni.

60 BROYD SJ., DEMANUELE C., DEBENER S., HELPS SK., JAMES CJ., SONUG-BARKE EJ,

Default-mode brain dysfunction in mental disorders: a systematic review, Neurosci Biobehav Rev 2009, p. 279.

61 WHIDFIELD-GABRIELI S., FORD JM, Default Mode Network Activity and Connectivity in