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Nel contesto economico attuale, caratterizzato da una sempre più marcata specializzazione produttiva, una decisione che molto spesso il management delle aziende ristorative – così come, del resto, quello di qualsiasi impresa economica – si trova ad affrontare15 è rappresentata dalla scelta tra produrre in proprio i beni e/o servizi utili all’esercizio della propria attività – scelta indicata in gergo con il termine “make” – oppure acquistarli da fornitori esterni – il cosiddetto “buy”16.

Il mercato d’approvvigionamento del settore ristorativo, infatti, è sempre più spesso caratterizzato dalla presenza di operatori in grado di rifornire le aziende della ristorazione commerciale e/o collettiva con prodotti pre-lavorati pronti all’uso oppure semplicemente semilavorati17, che, solitamente, consentono alle aziende del foodservice un risparmio di tempo e di manodopera nella fase produttiva del proprio processo18. Puntualmente, pertanto, i responsabili aziendali si trovano a dover attuare delle scelta relative alla tipologia di materie prime che meglio rispondono alle peculiari esigenze del periodo19; oltreché, a

15 Come nota, infatti, B

ERGAMIN BARBATO M., ultima opera citata, pp. 147 – 148, “nei moderni sistemi economici la spinta alla specializzazione e il tasso di innovazione che a questa è più facile associare possono, più spesso di un tempo, condurre a considerazioni che facciano propendere per la esternalizzazione di fasi produttive e di servizi ben al di là delle motivazioni di ordine organizzativo, finanziario e fiscale ormai consolidate”.

16 Oltre agli Autori indicati nel corso della presentazione dei calcoli di “make or buy”, si veda, fra gli Altri,

AA.VV., “Programmazione e controllo: managerial accounting per le decisioni aziendali”, pp. 91 e seguenti; LIZZA

P., ultima opera citata, p. 271; LIBERATORE G. e PERSIANI N., ultima opera citata, pp. 74 – 78. Inoltre per la considerazione dell’importanza di tale tipologia di analisi nel settore foodservice si consulti NINEMEIER J. D., “Management of food and beverage operations”, pp. 161 e seguenti.

17

I cosiddetti prodotti convenience di cui si è già discusso nel capitolo precedente. In merito si consideri quanto segue: “è ormai costante la diminuzione nei paesi industrializzati del tempo che i consumatori dedicano alle preparazioni culinari, fenomeno dovuto soprattutto alle mutate condizioni di vita e al ritmo spesso frenetico delle attività. Da molti anni quindi l’industria alimentare offre, sia all’utente domestico sia al ristoratore, una gamma amplissima di prodotti “semilavorati” o conveniece food ormai completa”. DEL DUCA M., in “Manager

dei processi ristorativi. Il mercato ristorativo: tipologie organizzative, sistemi e tecnologie produttive”, p. 72. 18

Sempre DEL DUCA M., ultima opera citata, p. 73, sottolinea, infatti, che l’attuale “panorama sociale, sommato alle esigenze di riduzione del personale ed innalzamento della produttività per addetto delle aziende del comparto catering e ristorazione, hanno portato ad un enorme interesse verso i prodotti alimentari semilavorati in grado di risolvere a buon titolo i problemi ottimizzando tempi e tecnologie impiegate”. Per un maggior approfondimento delle circostanze tecnico-organizzative che giustificano il ricorso all’utilizzo dei prodotti convenience si rinvia alla lettura dell’opera, pp. 74 e seguenti, nonché a DOPSON L.e HAYES D.K., “Food

and beverage cost control”, pp. 201 – 202. 19

La stagionalità di molti materiali, soprattutto di origine agricola, utilizzati nel processo produttivo comporta, per l'appunto, la necessità di periodiche riconsiderazioni anche delle decisioni già intraprese, ogni prodotto considerato come alternativa, infatti, non è conveniente o sconveniente in quanto tale, ma in quanto associato ad un preciso contesto temporale: in alcune stagioni o mesi dell’anno sarà conveniente acquistare prodotti surgelati o simili in quanto meno costosi rispetto all’acquisto e all’utilizzazione della materia grezza, mentre

139 dover valutare la convenienza del ricorso all’outsourcing per lo svolgimento di alcune attività aziendali, quali ad esempio il lavaggio della biancheria di sala e cucina oppure il ricorso a personale esterno negli eventi di maggior afflusso.

Si tratta di una scelta che, seppur dal punto di vista redditual/economico non presenta rilevanti criticità, dovendosi optare per la soluzione economicamente più conveniente, richiede un’accurata ponderazione nel caso in cui comporti delle implicazioni strategiche, a breve come a lungo termine20. L’acquisto, ad esempio, di prodotti alimentari pronti all’uso in un locale che si propone al cliente quale artefice di una produzione artigianale volta al rispetto della tradizione gastronomica locale potrebbe compromettere seriamente l’appeal, la credibilità e, conseguentemente, la redditività dell’azienda, qualora la clientela venisse a conoscenza di tale fatto.

Ulteriore aspetto da porre, poi, in considerazione è dato dal possibile diverso risultato ottenibile in termini qualitativi tra le due soluzioni produttive21; infatti, anche in una logica di bilanciamento tra conseguenze di breve e di medio-lungo termine, nonché di efficacia ed efficienza, è indispensabile che mai la nuova alternativa apporti una riduzione della qualità percepita e della conformità igienico-sanitaria del prodotto finito22, e ciò nonostante essa possa apportare un beneficio economico nel breve periodo23.

Tuttavia, la considerazione dell’impatto strategico e qualitativo della decisione da intraprendere rilevano in maniera determinante “fintantoché la situazione

nella consueto periodo di produzione agricola potrebbe essere conveniente acquistare il prodotto direttamente allo stato di raccolta.

In quest’ultimo caso, è tuttavia da notare, come negli ultimi anni le nuove tecnologie produttive e di conservazione delle merci hanno ridotto il giogo stagionale a cui la ristorazione era sottoposta, diminuendo così anche la frequenza con cui alcune scelte decisionali necessitano delll’attenzione del management. Nel caso, infatti, di notevoli vantaggi differenziali nell’acquisto “in stagione” di alcune materie prime rispetto al resto dell’anno, la decisione manageriale può indirizzarsi nell’acquisto in sovrannumero nei periodi caratteristici di produzione agricola – quando, quindi, il costo del prodotto risulta inferiore – conservando la parte in eccesso rispetto ai fabbisogni produttivi per i periodi in cui il reperimento della merce sul mercato risulta eccessivamente oneroso oppure, addirittura, impossibile. Relativamente a quest’ultimo punto si consulti NOBBIO C.e CALELLA A., “Manuale delle Ristorazione: F & B”, p. 358.

20

COLLINI P.e MIO C., “Ragioneria generale e applicata 2. Analisi e contabilità dei costi”, p. 100; AVI M.S.,

Management Accounting. Volume II. Cost Analysis”, p. 170. In particolare si rimanda ai primi due Autori citati

per una valutazione sulle modalità con cui le decisioni qui considerate possono influenzare la sfera strategica della gestione e, conseguentemente, sulle tecniche per valutare anche tale elemento di scelta.

21

DOPSON L.e HAYES D.K.,ultima opera citata, p. 295.

22 Si veda, fra gli Altri, L

ATTIN G.W., “The lodging and food service industry”, pp. 226 – 227.

23 Fra gli Altri, M

140 reddituale/finanziaria/patrimoniale dell’azienda è sufficientemente positiva; infatti nel momento in cui un’impresa operasse a condizioni gestionali di “emergenza”, ovverosia presentasse squilibrio economico, tensioni finanziarie, sottocapitalizzazione, ecc, le considerazioni di carattere economico dovrebbero, necessariamente, prendere il posto di quelle di contenuto strategico [e qualitativo] in quanto, agendo diversamente, l’impresa sarebbe destinata a sicuro fallimento”24.

Tuttavia, “sia che la decisione si presenti come strategica e improntata all’efficacia (difficilmente esprimibile quantitativamente), sia che si ponga come eminentemente operativa e dettata da un’esigenza di maggior efficienza (…), la valutazione delle conseguenze economiche rappresenta una fase non eliminabile, anche se con peso relativo nella prima ipotesi, costituendo invece il metro principale di giudizio nella seconda”25; è per tale motivo, pertanto, che da tempo la dottrina e la pratica contabile hanno predisposto un oramai consolidato strumento metodologico in grado di “indirizzare il processo decisionale stabilendo non tanto una griglia precostituita, impossibile da codificare vista l’eterogeneità delle situazioni e delle domande, quanto piuttosto un percorso logico valido nella generalità delle ipotesi”26.

Essenzialmente tali modelli di valutazione economica prevedono l’impostazione di un’analisi differenziale volta all’individuazione della soluzione dai maggiori benefici economici, in termini di minori costi o maggiori ricavi per l’azienda. Essi, pertanto, prendono in considerazione solamente i costi sorgenti e i costi cessanti27, nonché gli eventuali redditi incrementali28 – i primi riguardano i costi che si generano a seguito dell’ipotesi di acquisto presso terzi; i costo cessanti, al contrario, si riferiscono ai costi eliminabili in conseguenza a tale decisione – confrontando i quali giungono alla determinazione della scelta più

24 A

VI M.S., “Management Accounting. Volume II. Cost Analysis”, p. 169.

25

BERGAMIN BARBATO M., ultima opera citata, p. 147. Ad ogni modo, similmente, si rivedano anche le opere precedentemente citate sull’argomento.

26

COLLINI P.e MIO C., ultima opera citata, p. 100.

27

Tali concetti, peraltro, sono già stati richiamati nel corso del precedente capitolo.

28

Nel caso infatti, l’abbandono dell’attività svolta internamente consenta la possibilità di sfruttare diversamente i fattori produttivi, ad esempio gli spazi del locale, ottenendo l’opportunità di generare maggiori introiti, la valutazione economica deve tenere in considerazione anche tale aspetto positivo di reddito. In merito si veda AVI M.S., ultima opera citata, pp. 172 – 173, nonché, per alcune considerazioni in rapporto al preciso ambito economico rappresentato dal settore dell’ospitalità, AVI M.S.,“Gli aspetti contabili delle imprese

141 conveniente; in particolare se i costi cessanti si presentano maggiori ai costi sorgenti allora la preferenza prettamente economica ricade sull’alternativa buy, mentre nel caso opposto si predilige l’opzione make29.

Tuttavia, se da un punto di vista pratico la cognizione del modello è alquanto agevole, così come lo è la determinazione dei costi sorgenti, più elaborata risulta, spesso, la comprensione e conseguente individuazione dei costi cessanti, posto che spesso la pratica aziendale è solita identificare il costo cessante con il costo variabile e viceversa il costo fisso con il costo non cessante; tale associazione però, non sempre è rappresentativa della realtà aziendale, posto che vi possono essere circostanze in cui si verifica esattamente il contrario. Per agevolare quindi la distinzione tra costi cessanti e costi non cessanti è utile precisare che i primi si riferiscono a costi realmente eliminabili in azienda, oppure a costi economicamente utilizzabili in altre attività aziendali30.

Nel settore ristorativo, inoltre, un’aggiuntiva complicazione nel processo di paragone è causata dalle diverse rese di trasformazione che, solitamente, prodotti grezzi e prodotti semilavorati possiedono in fase di lavorazione, aspetto che obbliga l’addetto all’analisi a convertire i prezzi per unità acquistata così come appaiono in fattura, in prezzi per unità netta utilizzabile31. In definitiva, quindi, i calcoli di “make or buy”, richiedono le seguenti determinazioni economiche (Tabella 4.1):

MAKE BUY

Totale costi cessanti

Totale costi sorgenti (meno)

Margine di contribuzione di secondo livello derivante dallo svolgimento della nuova attività

Tabella 4.1: Determinazioni economiche per il calcoli di “make or buy”

FONTE: AVI M.S., “Management Accounting. Volume II. Cost Analysis”, p. 173

29

Per alcuni esempi pratici si veda, fra gli Altri, COLLINI P.e MIO C., ultima opera citata, pp. 91 – 99; AA.VV.,

Programmazione e controllo: managerial accounting per le decisioni aziendali”, pp. 472 – 475; SELLERI L., ultima opera citata, pp. 248 – 250.

30

Per l’approfondimento dell’analisi qui espressa si rimanda a AVI M.S., “Management Accounting. Volume II.

Cost Analysis”, p. 170 – 171. Allo stesso modo si consiglia la lettura di BERGAMIN BARBATO M., ultima opera citata,

pp. 148 – 151.

31 In merito a questa peculiarità del settore ristorativo si veda, ad esempio, D

OPSON L.e HAYES D.K., pp. 75 – 76 e 295 – 296.

142 Oltre ai risvolti strategici ed economici, infine, il management deve poi considerare le diverse implicazioni finanziarie che l’alternativa “buy” solitamente comporta, come ad esempio l’entrata finanziaria conseguente allo smantellamento di un reparto piuttosto che l’alterazione dei flussi di cassa aziendali; tali variazioni, infatti, potrebbero addirittura determinare la sconvenienza di una soluzione che dal punto di vista meramente economico risulta vantaggiosa32.

Oltre alla risoluzione matematica, comunque, la dottrina propone, poi, un’ulteriore risoluzione grafica, in grado di determinare immediatamente, a parità di condizioni economiche, l’influenza che il volume di produzione/acquisto presenta sulla decisione manageriale; data, infatti, l’incidenza dei quantitativi prodotto/acquistati la soluzione “buy”, solitamente, risulta conveniente entro determinati limiti, apparendo invece sconveniente al superamento di tale massimale operativo, (si veda Figura 4.1).

Figura 4.1: Analisi grafica decisione “make or buy”

FONTE: NATI A., “Costi di produzione e decisioni aziendali”, p. 161 e BERGAMIN BARBATO M., “Programmazione e

controllo in un’ottica strategica”, p. 153.

32 B

ERGAMIN BARBATO M., ultima opera citata, p. 151.

Soglia di indifferenza Alternativa buy Co sti Volume Alternativa make

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