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Il margine di contribuzione nella ristorazione

“Un problema tipico delle aziende con produzione diversa [tra le quali compare, per l’appunto, l’azienda ristorativa] è quello di definire la combinazione di prodotti che, tramite l’utilizzo delle strutture esistenti, si presenta pro-tempore come la più conveniente”33; la dottrina e la pratica manageriale da tempo hanno riconosciuto al margine di contribuzione, nelle sue varie connotazioni, il ruolo di guida a tale importante scelta manageriale, poiché esso costituisce un adeguato indicatore del grado di partecipazione attraverso il quale i vari prodotti commercializzati concorrono alla copertura dei costi fissi e, eventualmente, alla produzione di reddito34.

Malgrado tale figura sia di semplice derivazione logica e, sotto certi aspetti, di agibile determinazione contabile, nel settore ristorativo il concetto di margine di contribuzione presenta un’ evidente anomalia nel suo utilizzo, in quanto, in maniera del tutto erronea data la precisione che dovrebbe sempre contraddistinguere l’utilizzo dei termini in ogni sistema informativo, alla sua denominazione vengono attribuiti con totale noncuranza significati diversi a seconda delle circostanze gestionali in esame35.

33 N

ATI A., “Costi di produzione e decisioni aziendali”, p. 169.

34

Per l’analisi dello svolgimento di tale fondamentale funzione da parte del margine di contribuzione si veda fra gli Altri, oltre a quanto sarà sostenuto nel corso della trattazione, BERGAMIN BARBATO M., “Programmazione e

controllo in un’ottica strategica”, pp. 141 e seguenti; LIBERATORE G.e PERSIANI N., “Contabilità analitica per le

decisioni economiche”, pp. 66 – 71; SELLERI L., “Contabilità dei costi e contabilità analitica: determinazioni

quantitative e controllo di gestione”, pp. 246 e seguenti; COLLINI P.e MIO C., “Ragioneria generale e applicata 2.

Analisi e contabilità dei costi”, pp. 39 – 43. 35

PAVESIC D.V.e MAGNANT P.F., “Fundamental principles of restaurant cost control”, p. 51; AA.VV., “Restaurant

financial basics”, p. 191. Quest’ultimi in particolare scrivono: “Earlier we defined the term “contribution

margin” to be: Revenue – Variable cost. This definition is a typical accounting-related explanation of the term. In the contest of food cost control, however, “contribution margin” has a slightly different meaning: Revenue – Food cost. Food cost are one type of a variable cost, so in the context of food cost control our definition is more specific”. Tuttavia, non si ritiene condivisibile la posizione degli Autori, ritenendo che a termini precisi debba sempre corrispondere un’altrettanto precisa definizione; motivo per cui nel corso della trattazione, qualora il termine “margine di contribuzione” venisse impiegato dalla dottrina ristorativa con accezioni diverse da quella classica, si provvederà ad indicare esattamente il significato ad esso attribuito. Nello specifico, comunque, si tiene a sottolineare sin da ora, come ricordato da PAVESIC D.V.e MAGNANT P.F., pp. 51 – 52, che

nel settore ristorativo per il calcolo del Break-Even Point il “margine di contribuzione “ viene normalmente recepito nella sua configurazione canonica, mentre nelle analisi del menu e nelle politiche di pricing esso viene interpretato con il significato di differenza tra Ricavi e Food/Beverage cost.

144 Nella sua concezione canonica, il margine di contribuzione, rappresenta “l’importo che contribuisce a coprire i costi fissi”36 e come tale è ottenuto dalla differenza tra ricavi totali e costi variabili, esprimibile sia in valore monetario sia come percentuale sulle vendite37.

Margine di contribuzione Ricavi totali – Cos variabili totali

margine di contribuzione percentualizzato rispetto

alle venfite

margine di contribuzione

totale vendite 100

Tuttavia la sua considerazione in termini globali d’azienda, poco aiuta le decisioni manageriali in merito alla definizione della migliore configurazione produttiva, poiché ingloba tutto il range produttivo aziendale, mentre i responsabili per conoscere quale prodotto o classe di prodotti è più conveniente produrre, ovvero nel caso della ristorazione inserire in menu, necessitano di informazioni parziali per singolo oggetto di analisi. Nasce, quindi, da tale esigenza il bisogno di determinare configurazioni di margine di contribuzione specifiche rispetto alla varietà produttiva e/o organizzativa dell’imprese, ma totali in merito al particolare oggetto di calcolo38. A causa, infatti, della diversa incidenza con cui l’azienda riesce a piazzare i propri prodotti sul mercato, la considerazione del solo margine di contribuzione unitario non è sufficiente, salvo alcune rare eccezioni39, ad indicare in maniera consona una presa di posizione sul prodotto più vantaggioso40, motivo per cui esso va

36

AVI M.S., “Management Accounting. Volume II. Cost Analysis”, p. 84.

37

Per la presentazione di quest’ultima formula si veda fra gli Altri AVI M.S.,“Gli aspetti contabili delle imprese

alberghiere”, p. 162; mentre per i riferimenti alle rimanenti espressioni presentate si rimanda, oltre agli Autori

già citati e a quelli che seguiranno, a qualsiasi manuale di contabilità manageriale.

38

Per un riferimento dottrinale su quanto appena richiamato e su quanto seguirà si veda AVI M. S., “Management Accounting. Volume II. Cost Analysis”, p. 85 e seguenti. Similmente si consideri BERGAMIN BARBATO

M., opera e pagine precedentemente citate. In merito, tuttavia, è utile far notare come l’opportunità di scegliere tra prodotti o gruppi di prodotti quelli da spingere maggiormente sia causata da restrizioni tecnico- operative subite dall’azienda, in linea teorica, infatti, come ricordano COLLINI P.e MIO C., nell’ultima opera citata, p. 39, “ogni prodotto che fosse in grado di contribuire alla copertura dei costi fissi presentando un margine (appunto di contribuzione) positivo darebbe un aiuto alla complessiva copertura dei costi fissi aziendali. Se questo contributo (margine) sia a livello di singolo prodotto adeguato o insufficiente, in sé, non è questione da porsi perché comunque, per quanto poco, una contribuzione positiva è meglio di nulla. È il margine complessivo generato da tutti i prodotti che deve, nella sua totalità, essere sufficiente alla copertura dei costi fissi e solo rispetto a questo è dunque possibile esprimere oggettivi giudizi sulla sua congruità”.

39 Per la considerazione delle quali si rimanda ad A

VI M.S., ultima opera citata, p. 86.

40

Si ricorda, infatti, che le determinazioni del margine di contribuzione, nelle sue varie connotazioni, “non sono soltanto utili per orientare adeguatamente gli sforzi di promozione di vendite, ma sono addirittura indispensabili per attuare anche la più semplice delle simulazioni al fine di giungere a una coerente

145 solitamente preso in considerazione congiuntamente con il mix di vendita realisticamente ottenibile41. Tale valutazione è, pertanto, attuabile mediante la ponderazione del contributo dei singoli prodotti con la relativa quantità vendibile, ottenendo così quello che solitamente viene definito “margine di contribuzione di primo livello”.

Margine di contribuzione

di primo livello Margine di contribuzione unitario quan tà venduta ovverosia

Margine di contribuzione

di primo livello Ricavo unitario cos variabili unitari q.tà venduta

Tuttavia, anche tale determinazione non risulta sufficiente o, per meglio dire, adeguata, in alcune specifiche situazioni aziendali, come ad esempio nel caso di produzione soggetta a restrizioni operative, definite in gergo “colli di bottiglia”. Tipico esempio di tali limitazioni, nelle imprese della ristorazione, potrebbe essere, ad esempio, la scarsa presenza di personale altamente qualificato in presenza di voci di menu dall’elevata complessità produttiva42, oppure un altro fattore limitante, sempre interno alla cucina, potrebbe essere rappresentato da dotazioni strumentali, come potrebbero essere i forni, presenti nella struttura in misura ridotta rispetto alle complessive esigenze potenziali della produzione.

In tali casi, pertanto, il contributo di ogni prodotto al risultato economico deve essere relazionato con l’impiego delle risorse scarse e ciò può addirittura comportare il totale sovvertimento delle scelte attuate sulla base del canonico margine di contribuzione43.

“Nell’ambito dei vincoli produttivi, [pertanto] occorre innanzitutto individuare e misurare il fattore produttivo più scarso, quello, cioè, la cui capacità produttiva condiziona tutte le

formulazione del budget. Infatti sulla base di tali valori: si innesteranno le ipotesi in ordine ai volumi di vendita totali e di prodotto, si potranno verificare le conseguenze di eventuali manovre sui prezzi, di cambiamenti nelle forniture o nei processi che comportino modifiche nei costi variabili”. BERGAMIN BARBATO M., ultima opera citata, p. 141.

41

È naturale che l’azienda cercherà di spingere, solitamente (per alcune eccezioni si veda il concetto di margine di contribuzione per fattore scarso), il prodotto dal miglior margine di contribuzione unitario, tuttavia i riscontri del mercato non sono sempre e anzi, lo sono raramente, in linea con il volere aziendale; motivo per cui il mix di vendita diviene un indispensabile parametro di valutazione.

42

AVI M.S.,“Gli aspetti contabili delle imprese alberghiere”, p. 164.

43 A tal proposito, ad esempio, si confrontino le esemplificazioni presentate da B

ERGAMIN BARBATO M., ultima opera citata, pp. 141 e 144.

146 altre”44 – nel caso citato di mancanza di personale qualificato, ad esempio, si potrebbe utilizzare come fattore di misurazione l’ora di manodopera qualificata45, mentre nel riportato caso dei forni il parametro di misurazione più appropriato potrebbe essere rappresentato dalle ore macchina disponibili di quest’ultimi – e successivamente rapportare il margine di contribuzione unitario al necessario fattore produttivo scarso per ottenerlo46.

Margine di contribuzione unitario per fattore scarso

Margine di contribuzione unitario Quan tà di fa ore scarso per

o enere un'unità di prodo o

In tali situazioni, quindi, l’indicatore della contribuzione dei vari prodotti risulterà essere il margine di contribuzione per fattore scarso, posto che, analogamente a quanto avviene con quello di “determinazione canonica”, più elevato sarà quest’ultimo più redditizia risulterà per l’impresa la produzione del bene ad esso correlato.

Un ulteriore configurazione parziale di reddito è, infine, costituita dal margine di contribuzione di secondo livello47, la cui necessità di determinazione si manifesta in alcune circoscritte opzioni manageriali, quali possono essere, ad esempio, le decisioni in merito alla possibilità di eliminare un’area di attività aziendale48.

Si tratta di un indicatore in grado di “stabilire quale sia il peso di (…) [ogni “linea o gamma di prodotti o (…) area di affari”] nel formare il risultato economico complessivo” con l’intento, nello specifico, di trarre gli “utili elementi (…) [per] valutare le conseguenze delle scelte strategiche attuate e (…) [per ricavare] indispensabili spunti in ordine agli sviluppi strategici futuri”49. Ne consegue, dunque, che contrariamente al margine di contribuzione di primo livello, il margine semilordo rappresenta uno strumento di utilizzo nelle decisioni di

44

NATI A., “Costi di produzione e decisioni aziendali”, p. 170.

45

AVI M.S.,“Gli aspetti contabili delle imprese alberghiere”, p. 164.

46 In merito all’argomento si veda anche, oltre ad Autori già citati – fra i quali, ad esempio, A

VI M. S., “Management Accounting. Volume II. Cost Analysis”, pp. 102 e seguenti; COLLINI P.e MIO C., ultima opera citata, pp. 41 e seguenti – LIBERATORE G.e PERSIANI N., in “Contabilità analitica per le decisioni economiche”, p. 69.

47

Altri Autori presentano tale margine con il nome di “margine semilordo”, si veda a d esempio BARBATO M., ultima opera citata, p. 118.

48

LIBERATORE G.e PERSIANI N., ultima opera citata, p. 69, indicano uno semplice criterio per stabilire l’opportunità di utilizzo del margine di contribuzione di secondo livello rispetto al margine di contribuzione di primo livello, ossia “in linea di principio, (…) il margine semilordo di contribuzione deve essere utilizzato in luogo del margine lordo quando i costi fissi speciali sono eliminabili nell’alternativa considerata. Altrimenti, si usa il margine lordo”.

49 Per le citazioni qui espressamente richiamate si rinvia a B

147 medio-lungo periodo, considerato che pone all’attenzione manageriale la possibilità di eliminare alcuni costi fissi aziendali50.

Margine di contribuzione

di secondo livello margine di contribuzione di primo livello cos ssi speciali

Nell’ambito di validità del margine di contribuzione, nelle sue varie connotazioni, è infine doveroso ricordare come anche tale modello di guida delle scelte manageriali non debba indurre all’approvazione deterministica delle alternative più profittevoli, in quanto “fintantoché l’azienda è contraddistinta da buone performances economiche” “è possibile che, in determinate circostanze, le scelte dei manager ricadano, per motivi strategici di lungo periodo, su soluzioni che, a breve, apparentemente appaiono le meno convenienti”51; in tali circostanze, tuttavia, la valenza decisionale del margine di contribuzione non scompare dal sistema informativo del controllo bensì si tramuta in un intento informativo52.

50

In merito ad alcune precisazioni in merito alla valenza di medio-lungo termine del margine di contribuzione di secondo livello si rimanda a AVI M.S., ultima opera citata, p. 100.

51

AVI M.S., ultima opera citata, p. 109, per entrambe le citazioni.

52 Oltre alla già citata opera di A

VI M.S., p. 109, si veda anche della stessa Autrice “Gli aspetti contabili delle

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