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3.2 I costi nella ristorazione

3.2.3 Gli altri costi

Un terzo raggruppamento di componenti negative di reddito è, infine, costituito dagli altri costi della gestione ristorativa. Sebbene, infatti, le spese sostenute in cibo, bevande e personale “rappresentino le maggiori aree di costo [del comparto foodservice](…), vi sono, comunque, dei costi operativi addizionali” che il management deve tenere in adeguata considerazione al fine di ottenere un proficuo andamento dell’attività esercitata, in quanto anch’essi concorrono al risultato aziendale158.

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KEISTER D.C., ultima opera citata, pp. 216 – 217. Si rimanda a tale Autore ed opera anche per la descrizione del metodo di calcolo che sarà di seguito illustrata.

155

AA.VV., “Restaurant financial basics”, p. 98. Gli Autori che propongono tale metodo, trattano solo della determinazione del food cost del personale, ma considerate le argomentazioni presentate nel corso della trattazione, si ritiene opportuno adattare il pensiero degli Autori in maniera tale che divenga applicabile anche per la valorizzazione dei beverage benefit.

156 AA.VV., “Restaurant financial basics”, p. 98. 157

Anche per codesto metodo si rinvia a AA.VV., “Restaurant financial basics”, p. 98.

158 D

OPSON L. R. e HAYES D., ultima opera citata, p. 341.; si rimanda agli Autori anche per la citazione espressamente richiamata. Similmente si veda PAVESIC D.V.e MAGNANT P.F., ultima opera citata, p. 18.

113 Si tratta, quindi, di un aggregato di costo di tipo residuale159, poiché ricomprende al suo interno tutti i costi che non è possibile attribuire ai fattori produttivi precedentemente esposti; appartengono, dunque, a tale aggregato, ad esempio160, gli ammortamenti e gli affitti dei beni immobilizzati, i costi di manutenzione, le licenze per l’esercizio dell’attività, i premi assicurativi, le forniture generali (gas, energia, ecc.), le spese di marketing, i costi per l’intrattenimento della clientela, ecc.161.

Similmente a quanto avviene in sede di analisi dei costi del lavoro e delle bevande ed alimenti, anche relativamente agli “altri costi” è opportuno procedere ad una loro suddivisione fondata sull’opportunità/capacità manageriale di manovrarli in relazione alle decisioni intraprese.

Tali costi, quindi, si devono suddividere, ancora una volta, innanzitutto, tra costi contrallabili e non controllabili e, in secondo luogo, tra costi fissi – nella loro natura discrezionale o vincolata –, variabili e semivariabili162, come, ad esempio, rispettivamente: gli ammortamenti; le commissioni sui pagamenti ricevuti mediante alcuni mezzi elettronici e/o le spese di servizi di lavanderia in outsourcing163; e le utenze telefoniche ed energetiche.

Nonostante ciò, anche tali costi vengono spesso inizialmente trattati in maniera aggregata dalla pratica amministrativa, la quale spesso in sede consuntiva solitamente li sintetizza in un

159 In termini qualitativi e non quantitativi, considerato che possono assumere anche un valore monetario

cospicuo.

160

Prevedere una rassegna completa di tale gruppo di costi non è, infatti, possibile poiché come d’altronde riconoscono e chiariscono con alcune singolari dimostrazioni anche DOPSON L.R. e HAYES D., ultima opera citata,

pp. 341 – 342, (testo tradotto), “quasi tutto nel business ristorativo può costituire un altro costo (…) [motivo per cui] ogni attività del foodservice avrà la sua lista esclusiva di altri costi richiesti”. Nonostante ciò, gli Autori presentano, pp. 342 – 345, un’elencazione di costi generali a cui pertanto si rimanda, con il preciso avvertimento, però, di valutare con circospezione le voci di costo considerate, poiché l’inclusione di alcune di esse tra gli altri costi risulta incongruente con i dettami stabiliti dalla letteratura e, addirittura, dagli stessi Autori, nel definire il del costo del lavoro e del food & beverage.

161

Fra gli Altri, KOTAS R. e DAVIS B., “L’analisi dei costi nella ristorazione”, pp. 18 e 49; AA.VV., “Food and

beverage management”, p. 270. 162

I concetti qui richiamati sono già stati chiariti e presentati nel corso dei paragrafi precedenti, tuttavia, per un ulteriore approfondimento in merito, dettagliato in ambito ristorativo, si vedano DOPSON L.R. e HAYES D., ultima opera citata, pp. 346 – 350, e KEISTER D.C., ultima opera citata, pp. 116 – 130.

163

I costi della biancheria di sala e cucina, invece, cosi come i costi relativi al’acquisto di posate, bicchieri, stoviglie e utensili di cucina, solitamente rappresentano un costo fisso – in quanto contabilmente immobilizzati – la cui imputazione all’esercizio economico avviene, quindi, attraverso il loro ammortamento; per maggiori dettagli sul trattamento contabile solitamente riservato a tali immobilizzazioni peculiari del settore ristorativo si veda, fra gli Altri, AA.VV., “Restaurant financial basics”, pp. 286 – 287.

114 unico indicatore percentuale che ne stabilisce l’incidenza sul totale delle vendite164, arrecando però, a livello gestionale, gli stessi inconvenienti illustrati relativamente agli indicatori di incidenza degli altri costi chiave della ristorazione. È quindi, ancora una volta, compito del management e del sistema informativo di supporto all’attività di controllo prevedere alla loro corretta ripartizione, la quale impone poi, per alcuni di essi, oltre alla suddivisione presentata, l’eventuale assegnazione ai relativi reparti di competenza165.

164

Secondo la formula, presentata, (con una piccola variante non di rilievo), anche daDOPSON L.R. e HAYES D., ultima opera citata, p. 346:

165 Come ricordano K

OTAS R.e DAVIS B., ultima opera citata, p. 49: “non esiste normalmente alcuni bisogno di

ripartire le spese generali tra i vari reparti di un’azienda, poiché i responsabili di ogni reparto hanno poco controllo od addirittura nessuno su tali spese. Ci sono alcune eccezioni naturalmente (es. combustibile per la cucina, sostituzioni dell’attrezzatura di cucina, pentolame) ma, generalmente, le spese generali dovrebbero essere osservate come un onere a fronte del totale dei profitti lordi dei reparti e non come un onere a fronte degli introiti prodotti dai singoli reparti”.

Tale posizione degli Autori, però, pone in rilievo un’incongruenza terminologica tra il concetto di “costi generali” utilizzato dagli stessi e quello di “costi generali” solitamente impiegato dalla letteratura in materia di controllo di gestione, motivo per cui nel presente paragrafo si è preferito utilizzare il termine generale “altri costi” per indicare l’oggetto in esame. Secondo l’impostazione dottrinale, infatti, come sostenuto anche da AVI

M.S., “Management Accounting. Volume II. Cost Analysis”, p. 137, sono costi generali, solamente quei costi in cui “non è ravvisabile alcun collegamento automatico fra componente negativo di reddito e volume di attività svolta”, collegamento che, al contrario, come dimostrato, è possibile riscontrare in alcuni costi componenti il raggruppamento “altri costi” utilizzato nella ristorazione.

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