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Dopo aver dato conto oltre che dei principali filoni teorici e di alcuni dei temi che hanno caratterizzato il dibattito il dibattito più recente nell’ambito

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44 delle teorie organizzative, ritengo opportuno esaminare, sinteticamente, alcuni concetti di base considerati nelle teorie, particolarmente utili nello sviluppo del mio progetto.

L’ambiente organizzativo

Per ambiente organizzativo s’intende l’ambiente esterno all’organizzazione, il primo problema con cui si confronta approcciandosi alla sua analisi, coincide con il primo passo da fare, ossia definire l’organizzazione e i suoi confini, operazione non priva d’incognite, poiché a dipendenza di come osserviamo i diversi attori che gravitano dentro e attorno all’organizzazione questi confini potranno variare. Se per esempio prendiamo il paziente di un ospedale, come possiamo intenderlo? Membro dell’organizzazione? Cliente? Prodotto? Le risposte potrebbero essere tutte corrette, ma quello che conta è che ognuna di esse porterebbe a diverse interpretazioni di ciò che è interno o esterno all’organizzazione. Come si può facilmente dedurre la situazione è piuttosto articolata e dispiega, nell’approccio all’ambiente organizzativo, alcune questioni essenziali. Il primo tema attiene alla configurabilità stessa dell’ambiente, come qualcosa di effettivamente esterno, un secondo aspetto riguarda la complessità dell’ambiente e la difficoltà di studiarne in maniera esaustiva tutti gli aspetti costitutivi, abbiamo poi il problema di poter descrivere i rapporti tra un’organizzazione e l’ambiente esterno e la necessità di identificare degli strumenti per la gestione delle sollecitazioni, di vario grado e livello, provenienti dall’ambiente (Knudsen, 2009). Lo sviluppo economico, tecnologico e sociale, soprattutto nel secondo dopoguerra, ha radicalmente trasformato ciò che possiamo intendere come l’ambiente esterno di un’organizzazione. L’ambiente non è più concepibile come un’insieme indifferenziato di risorse di varia natura a cui attingere, o sorgente di fatti imprevedibili e di carattere eccezionale, a cui un’organizzazione poteva trovarsi a far fronte in modo sporadico e raro. Piuttosto è un ambito in cui sono presenti altre organizzazioni, che generano concorrenza, gli stessi fornitori con intessere

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45 relazioni, le organizzazioni sociali di collocamento della manodopera, in generale è esso stesso capillarmente organizzato e regolato. Queste considerazioni pongono il tema della descrizione e dello studio dei rapporti tra un’organizzazione e l’ambiente organizzativo, quest’ultimo può essere esaminato, secondo un approccio modernista utilizzando tre livelli d’analisi che sono: il network interorganizzativo, l’ambiente generale, l’ambiente internazionale (Adler, 2009). Il network organizzativo descrive le interazioni dell’organizzazione con altri attori ambientali che sono direttamente connessi con le sue attività, e che a loro volta sono spesso costituiti in forme organizzative, per esempio i fornitori, i clienti, le modalità di assunzione dei propri dipendenti, di reperimento di materie prime, di macchinari, tecnologie, ma anche enti istituzionali in relazione al quadro normativo vigente. Il network descrive come un reticolo le interazioni fra l’organizzazione e queste altre entità, che possono essere più o meno vicine rispetto all’organizzazione, dunque nella possibilità di esercitare un condizionamento o intessere dei rapporti più o meno assidui e strutturati. Oltre alle organizzazioni che costituiscono il network esiste tutto un universo di forze che si muovono nell’ambiente in modo diffuso, e che attraversano il network ma che sono difficili da intercettare con la sola analisi della rete interorganizzativa. Diventa necessario suddividere l’ambiente generale in tanti settori differenti fra i quali, possiamo annoverare, il settore sociale, culturale, legale, politico, economico, tecnologico e fisico. Questi settori non solo sono in grado d’influenzare l’attività di un’organizzazione, ma si influenzano reciprocamente (Turner, 2012), per cui rendono ulteriormente complessa la descrizione dell’impatto che possono avere su un’organizzazione. Un ulteriore livello di analisi riguarda l’ambiente internazionale/globale, che estende la propria osservazione sulle contingenze che toccano l’organizzazione dall’esterno dei confini nazionali, che devono essere considerati anche quando un’organizzazione non espande la propria attività oltre le proprie frontiere,

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46 perché altre organizzazioni dall’estero possono essere interessate ad inserirsi nel mercato in cui si sta operando ponendo sfide concorrenziali. Esistono anche istituzioni internazionali, attori organizzativi che si muovono attraverso i confini nazionali o che operano direttamente su scala mondiale (WTO, IMF, ecc.), che con la loro attività possono esercitare un impatto sull’organizzazione. Non ultimo, va considerato il tema della globalizzazione che inquadra quell’insieme di scambi, e interconnessioni di natura economica, politica, socioculturale, legale, tecnologica e fisica che hanno reso più permeabili, se non irrilevanti i confini e le frontiere tradizionali.

Il problema di descrivere l’ambiente esterno all’organizzazione, riguarda la possibilità di effettuare un’analisi appropriata dei fattori che possono condizionare l’attività organizzativa al fine di poterli gestire nel miglior modo possibile. In questo senso assume particolare valore il tema dell’incertezza ambientale, indicata dall’interazione tra i diversi livelli di complessità e di cambiamento in un dato ambiente. Detto questo non significa che tutti percepiscano l’incertezza dell’ambiente in modo uguale, anzi nel corso degli anni è stato rovesciato l’assunto per cui è l’ambiente in se ad essere incerto, e si è focalizzata l’attenzione sulle diverse percezioni dei attori organizzativi, arrivando a sostenere che l’incertezza non sia una proprietà dell’ambiente, ma è legata alla percezione degli individui che si trovano a prendere decisioni organizzative (Aldrich, Reuf, 2006). Questa osservazione alla prospettiva dell’informazione sull’incertezza, sostiene che i manager provano incertezza quando percepiscono il proprio ambiente come imprevedibile, condizione che sovente si verifica quando non ritengono di avere a disposizione le informazioni utili a prendere decisioni razionali. Uno dei modi che le organizzazioni tendono ad adottare per rispondere all’incertezza, è l’isomorfismo, che nella sostanza significa che l’organizzazione sviluppa strutture e sistemi interni, in modo da avvicinarsi al grado di complessità percepito nel proprio ambiente, gli americani

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47 Lawrence e Lorsch (1967), hanno spiegato, nel loro libro Organization and Environment le implicazioni dell’isomorfismo (Beckert, 2010). Gli autori hanno osservato che le diverse domande ambientali spingono le organizzazioni verso la differenziazione interna, da cui deriva la specializzazione di parti diverse dell’organizzazione, in risposta alle altrettanto diverse sollecitazioni che provengono dall’ambiente. Un altro fattore critico nel rapporto tra l’organizzazione e l’ambiente è il tema della dipendenza, che questa ha nei confronti dell’ambiente e che riguarda diverse tipologie di risorse, per cui per gestire tale dipendenze organizzazione deve riuscire a controbilanciare il potere dei fattori/attori ambientali su cui le dipendenze si basano. Per concludere questo sintetico viaggio nella relazione tra organizzazione e ambiente, alcune brevi riflessioni prospettiche. Una caratteristica importante condivisa dalle organizzazioni post-industriali è la scomparsa dei confini organizzativi, che sono sempre più trasparenti e permeabili, anche i confini tra gruppi e le divisioni interne tenderanno a scomparire. Le persone che si troveranno a lavorare in organizzazioni post-industriali, potrebbero non poter/dover fare distinzioni tra reparti, posizioni gerarchiche e persino tra diversi impieghi come è la normalità fare oggi (Bonazzi, 2008). La vita organizzativa post-industriale e piena di incertezze, contraddizioni e paradossi che contrastano con la stabilità, la routine e la tradizione dell’organizzazione industriale. Questa prospettiva di assenza di confini si estende a quegli stakeholder che condividono gli interessi dell’organizzazione, e le imprese che saranno in grado di tenere in considerazione tutti o il maggior numero possibile di stakeholder, avranno maggiori probabilità di ottenere risultati migliori, rispetto ad organizzazioni che non riusciranno altrettanto bene in questa attività.

La struttura sociale

Un concetto di grande rilievo nello studio dei processi organizzativi è la struttura sociale, con la quale ci si riferisce, alle relazioni tra le persone che

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48 assumono dei ruoli in un’organizzazione e ai gruppi organizzativi o unità ai quali essi appartengono. Tali relazioni possono assumere forme diversificate e pertanto determinare in modo differenziato la struttura dell’organizzazione, che può essere più o meno flessibile, formalizzata, complessa e può intessere rapporti più o meno stabili con l’ambiente esterno. La divisione del lavoro definisce la distribuzione delle responsabilità e l’assegnazione degli incarichi all’interno di un’organizzazione, la corretta attuazione di questa componente organizzativa è determinante ai fini del raggiungimento degli obiettivi e di risultati attesi. Da ciò ne deriva che l’organizzazione può essere osservata a partire da diverse tipologie di dimensioni e misure, (grandezza, componente amministrativa, differenziazione verticale ed orizzontale, integrazione, standardizzazione, formalizzazione specializzazione), tutte queste dimensioni possono poi essere misurate al fine di dare un’immagine della struttura (Ackroyd, 2010). La divisione del lavoro tra i diversi dipartimenti, per esempio, è conosciuta come differenziazione orizzontale, mentre la divisione dell’autorità su diversi livelli gerarchici, come differenziazione verticale. La differenziazione non è sempre equamente distribuita, ma coerentemente con quanto detto prima, in relazione all’interazione con l’ambiente, può presentarsi diversificata, Lawrence e Lorsch (1967), ne osservarono 4 possibili variazioni (Aldrich, Reuf, 2006): dipartimenti che operano in ambienti più stabili tendono ad essere più formalizzati e gerarchici rispetto a quelli che si devono interfacciare con maggiore incertezza ambientale; i dipartimenti i cui compiti implicavano maggiore incertezza, erano più orientati verso le relazioni (la vendita), mentre quelli che manifestano minore incertezza (la produzione), erano più orientati al lavoro; anche l’orientamento al tempo è determinato dalla diversa esposizione del dipartimento, chi lavora in ricerca e sviluppo è più predisposto verso aspettative di medio-lungo termine, al contrario di chi opera nel settore vendite; anche rispetto agli obiettivi sono influenzati,

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49 l’impegno nella produzione per esempio genera maggiore attenzione all’efficienza e al contenimento dei costi, mentre nei dipartimento di vendita, maggiore attenzione alle problematiche dei clienti. Si può dedurre da queste osservazioni che più è complessa un’organizzazione in termini di differenziazione verticale ed orizzontale, maggiore è la tensione nella comunicazione e maggiore è il bisogno di coordinazione e integrazione. La questione che si pone è di come generare il processo d’integrazione, uno dei più comuni strumenti a questo scopo è la gerarchia, si formalizzano i rapporti con i manager, i quali hanno il compito di coordinare le attività e risolvere i problemi, è evidente tuttavia che ogni qualvolta s’introducono livelli di gerarchia, si producono ulteriori differenziazioni verticali, che chiarisce l’insufficienza di questo strumento nel lungo periodo. A complemento della gerarchia sono stati pensati numerosi meccanismi d’integrazione: le regole, le procedure e le pianificazioni, tra gli esempi più comuni. Il tema di fondo resta il rapporto tra incertezza/instabilità organizzativa e differenziazione/integrazione.

L’organizzazione come fosse un organismo vivente ha un suo ciclo di vita, che nella descrizione di Greiner (1972), si struttura in cinque fasi fondamentali: la fase imprenditoriale, in cui l’organizzazione è concentrata sulla produzione e vendita del proprio prodotto, se l’organizzazione ha successo l’incremento degli affari e l’ampliamento della struttura, generano un problema di leadership, che in genere viene superata introducendo nell’organizzazione dei manager professionisti, i quali si preoccupano innanzitutto di imprimere una specifica direzione all’organizzazione, e soprattutto d’integrare i diversi gruppi che sono si sono costituiti con l’ampliamento, cercando di dare loro un senso di appartenenza e collettività. La fase della collettività, mette al centro delle priorità l’identificazione di obiettivi e routine precise, il potere è gestito in modalità centralizzate, ma la crescente complessità organizzativa rende il processo decisionale centralizzato un ostacolo all’azione, che genera quella che Greiner (1972)

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50 chiama crisi di autonomia (Bakker, 2010). La soluzione della crisi di autonomia è la delega, la successiva fase del ciclo di vita dell’organizzazione si chiama infatti, la fase della delega. In questa fase in virtù della decentralizzazione dei processi decisionali, aumenta il bisogno d’integrazione, il quale cresce fino ad esprimere una crisi di controllo in modalità efficaci, delle articolazioni che sono nate con il decentramento. Il passo successivo sarà un’attività di formalizzazione che rappresenta una fase specifica del ciclo dell’organizzazione, in cui vengono creati meccanismi di controllo sempre più complessi, con procedure standardizzate che iniettano nell’organizzazione i difetti della burocrazia. L’ultima fase è quella della collaborazione, in cui attraverso il lavoro d’equipe si cerca di ripersonalizzare l’organizzazione, con una riformulazione dei compiti in chiave collaborativa, mettendo l’accento sui fattori motivazionali, la valorizzazione delle persone, sugli incentivi, questo passaggio rappresenta una crisi di rinnovamento che conduce o ad una nuova forma dell’organizzazione o al suo declino.

Ogni organizzazione consiste di una serie di elementi sociali che includono, le persone, le loro posizioni all’interno dell’organizzazione, e i gruppi o unità alle quali appartengono. I teorici modernisti hanno utilizzato tre tipi di relazioni tra persone, posizioni e unità per definire la struttura sociale: la gerarchia, la divisione del lavoro e i meccanismi di coordinamento. Le dimensioni classiche della struttura sociale che i modernisti continuano a ritenere interessanti comprendono, la complessità, la centralizzazione e la formalizzazione, queste dimensioni permettono di distinguere tra organizzazioni di stampo meccanicistico, organicistico e burocratico. Il postmodernismo e le organizzazioni a rete mettono in discussione molte delle analisi moderniste sulla struttura sociale, spostando l’attenzione sui processi e sulle relazioni. La prospettiva simbolico-interpretativa, considera la struttura emergente dalle relazioni che nascono nelle interazioni sociali, entrambe, evidenziano che le organizzazioni hanno altre risorse oltre alla

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51 struttura sociale, per facilitare l’integrazione delle attività differenziate, come per esempio la cultura organizzativa e la tecnologia, a cui nel contesto di questo lavoro dedicherò degli approfondimenti specifici.