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Prima di addentrarmi nelle specificità dell’organizzazione ospedaliera, ritengo opportuno posare un tassello di carattere storico e sociologico, al fine di facilitare il percorso di comprensione ed analisi sul tema dell’organizzazione ospedaliera.

Uno dei luoghi per definizione deputati alla cura è senza dubbio l’ospedale, come luogo simbolico in cui salute e malattia trovano la loro arena d’incontro e scontro, l’organizzazione ospedaliera e per certi aspetti paradigmatica, delle tensioni tra cura della salute e malattia e le formule organizzative che si adoperano, e nel tempo si sono adoperate, per rispondere alle sfide poste.

Uno sguardo retrospettivo alle modificazioni intervenute nella rappresentazione delle funzioni attribuite alla medicina e al servizio

Università di Bologna Dottorato in Sociologia e Ricerca Sociale 2018 Vincenzo D’Angelo

90 sanitario, mostra un parallelo processo di progressivo allineamento della mission organizzativa, intesa come una dichiarazione d’intenti, della struttura ospedaliera, per cui possiamo identificare tre principali poli di trasformazione, l’accoglienza, l’istituzionalizzazione e la continuità territoriale dell’assistenza. Prima di costituire un luogo tipicamente deputato all’erogazione di cure, ed in particolare di cure ad elevata specializzazione, che costituiscono la tipicità dell’ospedale come lo conosciamo oggi, era in realtà un contenitore generico in cui convogliava la più differenziata e disperata parte di popolazione, dai senza fissa dimora, emarginati sociali, poveri e derelitti di ogni genere, un’umanità fragile a cui l’ospedale offriva, appunto, offriva sostanzialmente ospitalità (Cosmacini 2007). Nel tempo l’ospedale è passato attraverso diverse caratterizzazioni e spinte socio- culturali dall’essere un servizio assistenziale, espressione della pietà cristiana ed esclusivo monopolio della Chiesa, ai suoi esordi. Nei secoli successivi, a cominciare dal diciottesimo, l’ospedale comincia ad assumere i connotati di una struttura organizzata e finalizzata alla guarigione, attraverso lo studio, la classificazione e la cura delle malattie. In conseguenza muta anche la connotazione del soggetto da ospedalizzare in base al principio per cui venivano accettati solo persone ammalate, ed esclusi le altre categorie con attributi più psicosociali, i malati a loro volta erano distinti in acuti o curabili e in cronici o incurabili. Si tratta di un’epoca di grande espansione dei fornitori di prestazioni sanitarie in particolare medici, ma anche delle strutture ospedaliere che vedono il loro numero aumentare in modo rilevante, la cura della salute assume sempre più le fattezze di una pratica formalizzata e professionale, e parallelamente un aumento di quello che oggi definiremmo consumo di cure. L’ospedale moderno si costituisce, quindi con un ambito privilegiato della specializzazione e della tecnica clinica, per la gestione del corpo (malato), non è più semplicemente un riparo dalla morte e dalla miseria per emarginati (Foucault 1998). L’ordine e la disciplina ne costituiscono i principali connotati, l’organizzazione assume

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91 dunque un’importanza apicale, in relazione alle strategie di cura, per cui la costante presenza dei medici impegnati ad osservare, classificare ed in ultima analisi a sorvegliare i malati, prende le forme di una grande opera di protezione della comunità, in cui il sapere medico s’impone come il più idoneo a definire numerosi temi d’interesse pubblico, fino ad interpretare in chiave medico-sanitaria ogni atto socialmente condannabile (Pieratelli, Bacchi, 2004). La struttura ospedaliera assume i tratti di una istituzione sociale totale, le cui peculiarità sono l’applicazione di logiche d’isolamento e di spersonalizzazione, in cui la natura sempre più “scientifica” della pratica medica concentrata nella ricerca elementi oggettivi, di ordine chimico e biologico, distrae il medico dalla situazione complessiva, psicologica e sociale del paziente. Tra gli studi sociologici più conosciuti e importanti, che hanno affrontato il tema dei percorsi d’istituzionalizzazione, ricordo Goffman con la sua opera del 1961 Asylums, in cui mette a fuoco il carattere totalizzante dell’organizzazione ospedaliera, facendo un parallelo con le prigioni, in cui soggetti che non hanno commesso alcun reato si trovano a vivere in una situazione comune, trascorrendo un periodo della loro vita in un regime chiuso (Goffman si riferisce in particolare agli ospedali psichiatrici), e formalmente amministrato (Goffman, 2001). Il complesso delle attività che vi si svolgono è imposto dall’alto da un sistema di regole formali esplicite e da un corpo di addetti alla loro esecuzione, organizzate secondo un piano razionale al fine di adempiere allo scopo ufficiale dell’istituzione. I bisogni umani vengono manipolati controllati dall’organizzazione burocratica, di un’istituzione ospedale fondata sul binomio cura-custodia. Questa tipologia ospedaliera, che con qualche differenza è applicabile anche all’ospedale generalista, comincia a dissolversi con i radicali mutamenti socio-culturali che si contrappongono alla coartazione dell’uomo in quanto malato/deviante. L’autoritarismo e lo scientismo clinico tipicamente associati alla logica riparatoria nei confronti della malattia, cedono il passo ad un nuovo modello di servizio sanitario,

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92 indirizzato verso un approccio globale al bisogno di assistenza. Il paradigma medico (in particolare bio-medico) non è più l’unico che possa contribuire al mantenimento e al recupero della salute, il modo di agire della medicina non è sovrapponibile ad una macchina tecnologicamente sviluppata e fatta funzionare da personale specializzato, il sistema di cure appartiene alla comunità nella sua interezza e non è patrimonio esclusivo delle professionalità mediche e sanitarie, (Donati, 2003). L’ospedale, quindi, non è l’unico collettore della domanda di salute, altre forme di sapere, altre pratiche, altre figure formali ed informali, altri servizi, concorrono alla relativizzazione di un modello ospedaliero istituzionale e totalizzante. In questo quadro evolutivo deve essere posta la lettura dell’ospedale come organizzazione che risponde alla domanda di salute.