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Studiare l’organizzazione, lo abbiamo visto, significa problematizzare la complessità del rapporto tra lavoro, organizzazione e tecnologia, si tratta di portare alla luce le trame delle pratiche sociomateriali attraverso cui umani e non umani mettono in scena le attività, in questo senso si possono definire ambienti tecnologicamente densi, secondo la formulazione di Bruni (Bruni, Parolin, 2014), tutte quelle situazioni organizzative in cui:

 lavorare implica complesse pratiche sociomateriali ed uno specifico know-how tecnologico;

 umani e tecnologie lavorano insieme;

 l’interazione è resa possibile dalle tecnologie e spazio e tempo vengono riconfigurati sulla base di tali interazioni (e tecnologie). Il concetto di densità, tuttavia, non va pensato come un dato da cui muovere per la propria osservazione, ma piuttosto va interpretato come un attributo

Università di Bologna Dottorato in Sociologia e Ricerca Sociale 2018 Vincenzo D’Angelo

143 emergente, in divenire, nell’ambiente su cui si sta lavorando. Da questa assunzione deriva che la densità tecnologica di una ambiente organizzativo, quale può per esempio essere un reparto ospedaliero, non discende eminentemente dalla numerosità della presenza tecnologica in detto ambiente, quanto dalle peculiarità qualitative delle relazioni che si stabiliscono tra di esse, e forse soprattutto dalle interazioni che il loro uso genera con il lavoro quotidiano e le pratiche organizzative (Bruni et al., 2013). La prospettiva delle organizzazioni come ambienti tecnologicamente densi, porta con sé come conseguenza la necessità di collocare l’artefatto tecnologico in una dimensione prettamente relazionale, perché la tecnologia in questa cornice dismette i panni di semplice supporto, funzionale all’organizzazione, e diventa condizione ineludibile per l’effettiva realizzazione del lavoro degli attori organizzativi (Danholt et al., 2013). L’ambiente organizzativo stesso non è più un contesto dato in cui la tecnologia semplicemente funziona, diventa piuttosto uno scenario reso possibile dalla tecnologia nel quale si realizzano i meccanismi organizzativi delle pratiche lavorative. Il proposito di attribuire capacità di agency ad oggetti e materiali può sembrare vagamente esoterico, ma in realtà sottintende la volontà/necessità di recuperare la dimensione materiale dell’agire sociale, nella misura in cui gli oggetti “fanno e fanno fare” (Bruni et al., 2013), costruiscono le organizzazioni come fenomeni materialmente eterogenei. Il riferimento alla materialità del sociale, la sociomaterialità, rende necessario chiarire meglio come si realizza ed a partire da quali presupposti. La definizione di questo concetto appartiene ad Orlikowsky (Orlikowski, 2007), per la quale la sociomaterialità è realizzata dall’intreccio costitutivo del sociale e del materiale nella quotidianità della vita organizzativa. Resta però da spiegare in che modo questa interazione si realizza, Bruni (Bruni et al., 2013) a questo scopo fa riferimento al concetto “affordance”, che è stato proposto per primo da Gibson (Gibson 1986), il quale propone di leggere la dimensione materiale del mondo, come un

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144 invito per un repertorio di azioni possibili (un cerotto rimanda alla cura di una ferita, ma può essere anche un modo per nascondere un’imperfezione sulla pelle), tenuto conto che gli oggetti hanno molteplici connotazioni (affordance), questo significa che possono acquisire altrettante molteplici identità, a dipendenza dell’attività che li struttura nella pratica e considerando i fattori materiali (Bruni et al., 2013). Ciò significa in relazione agli ambienti organizzativi, che il ruolo o ruoli, di cui possono appropriarsi non è significativamente legato alle loro peculiarità tecniche, ma piuttosto alle modalità relazionali che nelle attività pratiche li connettono ad attori diversi ed alle loro capacità di manipolare gli elementi ambientali e tradurli in risorse da giocare nell’azione (Viteritti, 2012). Le tecnologie informatiche e i network comunicativi hanno alterato le concettualizzazioni tradizionali di progettazione dei processi lavorativi, hanno ridotto le esigenze di prossimità fisica, di controllo gerarchico e dei meccanismi diretti di integrazione, come la supervisione, i ruoli di collegamento, i gruppi di lavoro faccia a faccia, rendendo possibile lavorare con formulazioni organizzative asincrone, non essendo più la compresenza e la contemporaneità un requisito necessario alla cooperazione (Butera, 2009). Anche i processi di decision making subiscono una decentralizzazione, in funzione della maggiore accessibilità delle informazioni, l’integrazione avviene attraverso le connessioni elettroniche, molti attori organizzativi grazie ad esse gestiscono una rilevante quantità di informazioni e ciò comporta l’appiattimento dei livelli gerarchici, ma nello stesso, tempo un aumento del controllo manageriale, le tecnologie informatiche aumentano le possibilità di scambi informativi, e ne amplificano la velocità (Bruni, 2011). Nel contesto degli studi sulla relazione tra tecnologia e struttura organizzativa, si sviluppò l’idea che la scelta di una tecnologia possa essere così impegnativa da risultare determinante, per la concezione degli altri aspetti dell’organizzazione, questo assunto divenne noto come imperativo tecnologico, ma ci sono poi stati altri riscontri empirici che segnalavano

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145 come l’influenza della tecnologia dipendesse dalle dimensioni dell’organizzazione, nello specifico più l’organizzazione è di dimensioni limitate e più la tecnologia ha un impatto determinante (Hatch, 2010). Tuttavia quando l’organizzazione diventa più complessa questa relazione svanisce, o forse è più corretto dire che entrano in gioco variabili emergenti dalla struttura sociale, le quali sono correlate alla tecnologia in quanto singole unità organizzative e i loro addetti, che fanno riferimento alla tecnologia della loro unità piuttosto che alla tecnologia principale dell’organizzazione (Orlikowsky, 2007). Nelle grandi organizzazioni le relazioni tra il nucleo tecnologico e le caratteristiche generali della struttura sociale sono più diluite, la struttura e la tecnologia rimangono significativamente correlate, ma il loro rapporto è estremamente molto più complesso che nelle piccole organizzazioni. La complessità, l’incertezza e l’interdipendenza, temi che nelle organizzazioni sanitarie sono particolarmente cogenti, spingono le organizzazioni ad elaborare informazioni al fine di coordinare le proprie attività (Galbraith, 2010). Secondo l’autore la complessità tecnica genera la complessità strutturale, mentre l’incertezza favorisce le norme organicistiche, l’interdipendenza a sua volta fa aumentare le richieste di coordinamento, a causa del fatto che ciascuno di questi fattori aumenta il flusso di comunicazione dell’organizzazione, e questo a sua volta si riverbera sull’organizzazione, in questa logica quindi la tecnologia è collegata alla struttura sociale attraverso gli effetti di mediazione della comunicazione. Il problema del rapporto tra organizzazione e tecnologia, analizzato secondo l’ottica per cui si cerca di capire quali siano le effettive influenze reciproche è stato studiato anche da sociologi che assumono la prospettiva della teoria della strutturazione (Giddens, 1984), che centra la sua attenzione sul rapporto tra struttura ed azione umana, hanno interpretato la relazione tra tecnologia e organizzazione, per cui la struttura è incorporata nelle proprietà materiali della tecnologia, al punto che i nostri comportamenti sono predeterminati

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146 dagli strumenti che utilizziamo, il fatto per esempio che il lavoro davanti al computer, obblighi a mantenere la posizione seduta davanti allo schermo (Schubert, 2013). Oppure, le strutture sociali non sarebbero incorporate nella tecnologia, ma invece emergono nel momento in cui interagiamo con gli strumenti tecnologici. La struttura e la tecnologia si determinano a vicenda, restando all’esempio di prima, l’evoluzione informatica verso la facile mobilità dei dispositivi, è una chiara indicazione di co-evoluzione di struttura sociale e tecnologia. Queste riflessioni però concentrano la loro attenzione quasi esclusivamente sulla tecnologia, diverso è focalizzare il tema osservando le pratiche sociali ricorrenti sulla costruzione di routine e sulle improvvisazioni associate alla tecnologia, allora si potranno notare le differenti modalità con cui le persone utilizzano la tecnologia, una notazione apparentemente scontata, ma che porta con sé degli effetti meno ovvi. Mentre le teorie dell'azione assumono un modello lineare di spiegazione che privilegia l'intenzionalità degli attori, da cui deriva un'azione significativa, le teorie della prassi (Pinch, 2013) assumono un modello ecologico in cui l'agentività è distribuita tra gli umani e non umani, in cui è la relazionalità tra il mondo sociale e la materialità a riconfigurare l'agentività (Latour, 2005) come una capacità realizzata attraverso le associazioni di umani e materialità.