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Può sembrare un doppio paradosso riferire all’attività delle organizzazioni sanitarie la cura della salute, dal momento che, in genere il loro compito precipuo è quello di curare le malattie. Nello stesso tempo può apparire altrettanto paradossale utilizzare i termini di salute e malattia come fossero un unico integrato o l’uno il prolungamento dell’altro. Vedremo come gli sviluppi scientifici ed il contributo rilevante della sociologia abbiano portato ad un simile traguardo, che in realtà tanto paradossale non è, ma soprattutto sarà interessante nel contesto di questo lavoro, coglierne e qualificarne il significato.

La salute è divenuta un problema sociale nelle società post-industriali contemporanee, questa è la ragione per cui la sociologia ha spostato il proprio focus dalla malattia, dalla medicina dai servizi sanitari, alla salute e alla sua promozione nel contesto societario più ampio (Bertolazzi, 2004). Questo allargamento di orizzonti e prospettive riflette la necessità di comprendere meglio l’evoluzione del concetto di salute nel corso degli ultimi 70 anni circa. È infatti in questo ultimo scorcio di storia umana che questo concetto ha assunto un’importanza, un valore ed una visibilità sociale come mai prima nella storia. Appena dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’OMS nella sua costituzione inserisce la ben conosciuta definizione di salute come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non solo l’assenza di malattia o infermità” (WHO, 2006). Tale dichiarazione sebbene possa apparire con gli occhi di oggi estremamente ideale, in quel momento storico ha costituito una cesura netta, con la

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82 tradizionale concezione sia a livello biomedico sia di senso comune, che nelle società di quell’epoca, considerava la salute come semplice assenza di malattia. Certo erano tempi in cui i tassi di mortalità erano abbastanza elevati e la speranza di vita, per contro piuttosto bassa, la sopravvivenza era considerata già un successo. Vigeva, dunque una concezione negativa della salute interpretata come assenza di malattia, che costituiva un problema sociale rilevante, attorno al quale si concentrava l’attenzione della società e l’organizzazione del sistema sanitario in particolare. La salute non era oggetto di riflessione né d’intervento sociale, in virtù del fatto non costituiva un problema socialmente riconosciuto, era una dimensione nascosta della vita sociale. La situazione cambia radicalmente nel momento in cui le transizioni demografiche ed epidemiologiche cominciano a modificare lo scenario sociale, a partire dalla metà del ventesimo secolo (Maturo, 2007). La salute diviene un problema quando gruppi crescenti della popolazione, grazie all’aumento della speranza di vita, hanno dovuto convivere con le malattie cronico-degenerative, ma contestualmente anche quando la società ha cominciato ad imporre una serie d’imperativi salutisti (Hodgetts, 2005), in questo contesto la definizione dell’OMS assume una connotazione normativa sulla salute, in quanto si costituisce come un riferimento valoriale verso il quale riorientare l’intervento dei servi sanitari. Ma come ho detto precedentemente l’accezione normativa e ideale della definizione dell’OMS, la rende in questa veste spesso poco coincidente con il reale che vorrebbe sottintendere, e che l’ha resa oggetto di molte critiche spesso indirizzate verso l’ampiezza della definizione, che invece ha il pregio di aver ampliato l’orizzonte della biomedicina. Se nella concezione negativa della salute possiamo identificare un modello descrittivo, mentre quella dell’OMS è ascrivibile ad un modello normativo (Giarelli, Venneri, 2009). Ad oggi il dibattito su questi temi ha trovato innumerevoli piste di approfondimento, e ambiti di ricerca, tra i quali non posso non includere il lavoro di Antonovsky (Antonowsky, 1996) con il suo lavoro fondamentale, che ha ribaltato la

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83 prospettiva indagando la genesi della salute piuttosto che quella malattia, parlando di salutogenesi, ampliando così lo spettro di osservazione, in cui la relazione uomo-ambiente assume rilevanza primaria, ed il rapporto tra questi due poli diventa inclusivo della diade salute/malattia, per cui la presenza dell’una non costituisce necessariamente esclusione dell’altra, il riferimento obbligatorio diventano quindi i fattori di promozione della salute, le risorse, i limiti e le aspirazioni dell’individuo e della sua comunità (Lindström, Eriksson, 2006). La salute quindi deve, dunque, essere compresa in una cornice ampia e complessa, che si trova, a mio parere nella proposta in Ardigò (1997) in cui si analizza la struttura delle relazioni sociali che sono all’origine del fenomeno salute. Il “quadrilatero” così lo definisce Ardigò, è una matrice di concetti interconnessi tra di loro, costituisce le coordinate generali necessarie a comprendere i fenomeni di salute e malattia sia individuali che collettivi e la loro eziologia. Nella fig. 4 sotto si possono osservare, schematizzati, i quattro poli concettuali che successivamente descriverò: Fig. 4 (Ardigo, 1997) A B C D Natura Esterna Natura interna alle persone IO/ME (ego/social self) in relazioni di mondo vitale Sistema Sociale (inclusivo dell’organizzazion e delle cure sanitarie

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natura esterna: che tiene conto dell’ambiente fisico in genere, l’habitat non

umano delle società umane, che viene ritenuto dallo studioso di scienze sociali come ambiente rispetto al sistema sociale.

sistema sociale: inteso come la trama di relazioni sociali e istituzionali che

producono e riproducono la vita di relazione di una data popolazione, in un determinato tempo. Laddove naturalmente si segua il criterio che un insieme di persone, famiglie, gruppi sociali, formano un sistema sociale dotato di senso quando riescono a mantenere una continuità culturale e di strutture sociali, nonostante il fluire delle generazioni, e malgrado il modificarsi delle contingenze e degli ostacoli ambientali. Ovviamente nel sistema sociale è inclusa come sua parte integrante e attiva, una certa forma di organizzazione sanitaria medica e assistenziale.

la persona: che deve rendere conto del soggetto come attore capace di

relazioni interattive in virtù della sua natura di mondo vitale, nella duplice versione quindi di un ego come agente intenzionale e di sé, in qualità di immagine riflessa dagli altri significativi per il soggetto. Un attore sociale, quindi, dotato di coscienza e dunque capace di intenzionalità che nell’agire costruisce la propria trama di relazioni intersoggettive e sociali come mondo vitale quotidiano.

natura interna: qui si vuole intendere la base bio-psichica, che connota

l’umano come entità sia biologica che mentale, riconoscendo che si da così spazio al classico dualismo cartesiano nel rapporto mente-corpo, che pur con criticità è utile accettare in sede di analisi senza incedere ad un approccio olistico a tutti i costi, che rischia di apparire troppo rigido.

Dalla interconnessione fra i quattro poli concettuali deriva la parte più interessante ed euristica del modello

La connessione 1 fra natura esterna e natura interna, mette in evidenza il duplice ruolo della natura esterna che si caratterizza sia come potenziale produttrice di malattia sia come risorsa terapeutica per il corpo umano. Nel primo caso, la natura è vista come ambiente in grado di perturbare, nei

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85 confronti del quale la società ha il dovere di organizzarsi ed intervenire con la prevenzione collettiva per difendere i singoli come corpi nel quadro di strategie di selezione sempre più complesse messe in atto da ogni specifico sistema sociale nei confronti del suo ambiente. Sembra abbastanza chiaro che la relazione tra natura esterna e natura interna viene vista come mediata dal sistema sociale con un’attenzione particolare a quel sottosistema per cui la prevenzione è un compito precipuo, vale a dire il sistema sanitario.

Nel secondo caso sono le virtù curatrici della natura stessa rappresentare una risorsa per ristabilire l’equilibrio perturbato nel corpo umano (salute) che le concezioni omeostatiche della medicina considerano malattia. È necessario chiarire come questa concezione, storicamente, risulta prevalere nella medicina prescientifica orientale, mentre l’ideologia della natura esterna come soprattutto patogena e piena di agenti portatori di malattia, da cui la scienza deve difendere gli individui in vari modi è tipica espressione della medicina occidentale costruita su basi empirico-scientifiche a partire dalla metà del diciannovesimo secolo. Questa riflessione conduce alla connessione n 2 tra sistema sociale natura esterna, dove la relazione che si produce vede la società organizzata difendere i propri membri dagli stimoli patogeni del suo ambiente. In questo senso assistiamo alla grande stagione della medicina occidentale, caratterizzata dal trionfo sulle malattie infettive grazie alle scoperte della microbiologia e la loro applicazione nel campo della profilassi sanitaria. Questa epoca segna il definitivo consolidarsi del paradigma bio-medico fortemente riduzionista che identifica nel modello infettivologico, attraverso l’identificazione di un nesso causale lineare unidirezionale in termini di: agente patogeno-vettore-malattia, come modello e punto di riferimento concettuale ed eziologico fondamentale. Nel tempo però la scomparsa quasi totale delle malattie infettive in occidente, nell’arco di un secolo, non definisce tanto la vittoria della biomedicina sulla malattia, quanto il risorgere della stessa in forme nuove e tipiche delle società a sviluppo industriale avanzato, infatti alle malattie

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86 infettive subentrano le malattie cronico-degenerative, che per loro caratteristica non sono più imputabili ad un singolo agente patogeno, quanto piuttosto ad una pluralità di fattori che originano la loro complessità negli stili di vita e nelle condizioni di lavoro.

Questo livello dell’analisi rivela la connessione n 3 tra il sistema sociale e la natura interna delle persone, dove il sistema sociale stesso viene ad identificarsi come fonte di causalità patogena delle malattie nei confronti dei soggetti. In questo caso ci si viene a trovare di fronte a patologie la cui origine sociale rende inutili le classiche misure di profilassi e prevenzione, chiamando direttamente in causa l’influenza degli stili di vita, in effetti sembra, che la crescente autonomia dei sistemi sociali nei confronti delle perturbazioni patogenetiche causate dagli eventi e contingenze della natura esterna, in virtù di una altrettanto crescente efficacia terapeutica in rapporto agli agenti patogeni naturali, produca una altrettanto significativa tendenza ad introiettare le fonti della patologia della salute.

Osserviamo qui un’ambivalenza di fronte alla quale l’organizzazione sanitaria è risultata essere spesso impotente se non addirittura in qualche caso anche direttamente nel ruolo d’imputata, come nel caso delle malattie iatrogene.

Con il progressivo entrare in crisi della biomedicina occidentale, a partire dagli settanta, si affermano una serie di spinte culturali e sociali che rendono protagonista direttamente il soggetto (in relazioni di mondo vitale, polo C del quadrilatero) che fanno assumere alle successive interconnessioni particolare significato. La connessione n 4 la persona e la sua natura interna, esprime il rapporto di sempre maggior consapevolezza del soggetto con il proprio corpo, che viene evidenziato dalla crescente tendenza negli ultimi tre decenni, all’auto-aiuto, all’auto diagnosi e all’auto terapia oltre alla volontà di gestire la salute ed i problemi di salute con un approccio comunitario in cui i soggetti in relazione di mondo vitale costituiscono

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87 ambienti di incontro e di cura reciproca, senza chiamare in causa l’intervento specialistico della medicina professionale.

La connessione n 5 si riferisce specificamente alla relazione tra il soggetto e il sistema sociale, con la presa in considerazione del sottosistema sanitario, si tratta del percorso di cui fa esperienza il soggetto malato che inizia con le prime percezioni di una situazione di malessere, prosegue con la ricerca di risposte che potranno essere rappresentate da conseguenti atti terapeutici, è ovvio che si tratta di un percorso che può assumere forme tra le più variegate includendo un arco di opzioni terapeutiche che possono andare da forme di auto-aiuto, alla medicina tradizionale, alla medicina alternativa. Una connessione questa particolarmente interessante e feconda per il nostro caso poiché tende a mettere al centro il problema, molto rilevante per il sottosistema sanitario, dell’intercettazione del bisogno di cura per un verso, ma soprattutto della corretta interpretazione del processo di significazione ad esso riferito.

La connessione n 6 infine è relativa al rapporto tra il soggetto-persona e natura esterna, e fa opportuno ed ovvio riferimento alla crescente attenzione per i problemi ecologici, che rappresentano un nodo importante nelle società moderne per il loro stretto rapporto con i problemi della salute.

Alla fine di questo percorso di analisi della matrice a quadrilatero di Ardigò (Ardigò 1997), appare evidente il forte valore euristico intrinseco al modello, per l’analisi sociologica dei fenomeni della salute della malattia, in particolare l’analisi delle sei interconnessioni dei quattro poli concettuali risulta particolarmente feconda ed ha il merito di spostare il focus dell’attenzione dalla analisi di singole dimensioni siano esse sistemiche o meno alle reciproche correlazioni tra le diverse dimensioni. La conoscenza quindi che si viene a produrre risulta essere, oltre che multidimensionale, di tipo correlazionale, in quanto generata delle interazioni fra le diverse componenti, e dalle risultanze poco anticipabili dei loro rapporti.

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88 Abbiamo dunque, fin qui tracciato un percorso di definizione ed analisi di quello che all’inizio ho definito sembrare un doppio paradosso, ma stante lo sviluppo del concetto (a questo punto si può dirlo) di salute/malattia come fenomeno a due facce difficilmente scindibile, la sua collocazione nell’organizzazione sanitaria non è più così paradossale, perché le attività di cura non possono più essere improntate ad una mera logica riparatoria tipica di un paradigma patogenico, ma dovranno corrispondere alla domanda di salute anche in termini salutogenici. È del tutto evidente che questa assunzione di responsabilità chiama in causa il sistema sanitario nella sua interezza, ed ancora di più ad essere sollecitate sono le politiche sanitarie nel loro insieme, l’evoluzione tecnologica, gli imperativi economici, i dilemmi etici che costituiscono il contesto esterno, il livello macro-strutturale (Greenhalgh, Stones, 2010). Il quale nella prospettiva correlazione che ho sopra descritto, recita la sua influenza caratterizzando l’operatività delle singole organizzazioni sanitarie. Salute e malattia sono dunque sottoposte a due tensioni contrapposte, da un lato, l’evoluzione socioculturale e le evidenze scientifiche (Peters et al., 2017), spingono sul polo delle politiche della salute e della sua promozione, come direzione da percorrere, dall’altro lato la salute ma soprattutto la malattia rappresentano, con tutti gli interessi ad essa connessi, dal corpo medico, all’industria farmaceutica, un grande mercato che cerca di trasformare problemi non medici in problemi medici diagnosticabili e trattabili (Maturo, Conrad, 2009) attraverso quel processo conosciuto come medicalizzazione della vita. Uno dei temi più rilevanti oggi, che scaturisce dalla medicalizzazione, riguarda la questione del miglioramento umano, la possibilità di superare i limiti che l’umana imperfezione e finitudine c’impone con l’ausilio della scienza e della tecnica (Swiss Academies of Arts and Sciences, 2012). La medicalizzazione quindi è un processo che sposta, amplia il campo istituzionale della malattia, precedendo le istituzioni sanitarie vere e proprie, ed allargando il campo istituzionale della malattia dal sanitario a tutta la società. Non ragiona in

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89 termini di plus ma di deficit, in sintonia con il paradigma patogenico si osservano i limiti e si tralasciano le risorse (salutogenesi). Il disagio, l’imperfezione, la malattia, dunque, significano morte perché la vita è rappresentata dalla salute assoluta, è perdita di se perché l’unica identità proposta è quella dell’uomo sano, efficiente e produttivo. Confonde il confine tra cura della salute e della malattia e il miglioramento umano, attribuendo alla medicina compiti che non gli sono propri, che in concreto si traduce nella difficoltà da parte cittadino di capire quando il medico e la medicina sono gli interlocutori adeguati e quando invece non lo sono, (Bröer, Besseling, 2017). Questo era lo scopo nel delineare sinteticamente, un inquadramento sociologico del concetto di salute/malattia, dar conto cioè delle turbolenze sistemiche a cui l’organizzazione sanitaria è sottoposta, e quale sia il contesto storico e socio-culturale che in senso macro ne condiziona/influenza l’attività (Tulchinsky, Varavikova, 2014).

2.La complessità organizzativa dell’ospedale: una breve