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Come ho sostenuto precedentemente, spostare l’asse dell’analisi ed emancipare l’artefatto tecnologico dalla natura di mero strumento, per quanto articolato, innesca un processo di connessioni e conseguenze molto vasto, non solo per quanto attiene allo studio della tecnologia, ma anche di carattere epistemologico ed ontologico. Il primo ineludibile tema è il rapporto della tecnologia con la scienza, il quale però a sua volta ci obbliga a riflettere sul problema della scienza come oggetto dell’analisi sociologica. Nel 1976 la rivista “Science Studies” cambio il proprio nome in “Social Studies of Science” divenendo così la prima rivista specializzata in questo nuovo settore. La sociologia della scienza è dunque un ambito di studio per la sociologia relativamente recente, il cui fondatore è universalmente riconosciuto essere, Robert K. Merton, con il suo lavoro fondamentale “The Sociology of Science. Theoretical and Empirical Investigation” la cui edizione originale è del 1975, secondo cui il ritardo era dovuto alla scarsa consapevolezza del ruolo sociale della scienza (Merton, 1981). Nella sua riflessione Merton mette in evidenza che l’istituzionalizzazione della scienza, e la conseguente codificazione sociale dello scienziato, non presumevano solo l’esplicitazione di metodi e attività specifiche, ma anche elementi di contesto come, norme, valori condivisi, che identificavano la

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132 scienza come un vero e proprio sottosistema sociale, che ha relazioni con la società ma è allo stesso tempo dotato di una propria autonomia. Secondo Merton erano dunque questi elementi sociali e le relazioni che scaturivano dal rapporto tra scienza e società, che dovevano essere oggetto di un campo di studio specificamente dedicato, ovvero la sociologia della scienza. Non voglio in questa sede proporre una disamina sul tema della sociologia della scienza, quanto piuttosto mettere in evidenza le implicazioni che le questioni appena trattate hanno per il tema della tecnologia, nella misura in cui è, ed è stata anch’essa oggetto di discussione tra gli studiosi in merito al suo rapporto con la scienza, cioè a dire se tecnologia e scienza sono da ritenere due discipline distinte oppure no, ovviamente alcuni autori sostengono di si, altri ritengono che siano difficilmente separabili, soprattutto se utilizziamo la prospettiva dell’innovazione per riflettere sulla questione (Bijeker, et al., 2012). Gli STS (Science and Technology Studies) sono un campo d’indagine che con ricerche a carattere socio-antropologico, cercano di rendere conto del rapporto tra scienza e società, e della sua circolarità, indagando per un verso l’influenza delle componenti sociali sui fatti scientifici, nello stesso tempo anche degli effetti dell’attività scientifica sulla società stessa, ma anche delle scienze e delle tecniche rispetto al loro contenuto intrinsecamente sociale, (Vinck, 2010). Uno degli autori che porta maggiori responsabilità nell’aver promosso ed avviato questo percorso, è certamente Bloor (Bloor 1991), con il suo programma forte in sociologia della scienza, nel contesto della scuola di Edimburgo, il quale ha sviluppato la sua riflessione arrivando a definire alcuni principi fondamentali come cornice di rifermento, la sociologia scienza dunque:

 Deve essere causale, cioè interessata alle condizioni che producono credenze o stati di conoscenza»

 Deve essere imparziale rispetto alla verità e alla falsità, alla razionalità o all’irrazionalità, al successo o al fallimento. Entrambi i termini di queste dicotomie richiedono una spiegazione.

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133  Deve essere simmetrica nel tipo di spiegazione. Gli stessi tipi di

causa, cioè, devono spiegare le credenze vere e le credenze false.  Deve essere riflessiva. In linea di principio i suoi modelli di

spiegazione devono essere applicabili alla stessa sociologia.

La tecnologia infatti è oggetto di due stati di separazione (asimmetrie), il primo riguarda il rapporto tra tecnologia e persone, tra tecnica e sociale, il secondo tra tecnologia e scienza appunto. Negli approcci tradizionali la tecnologia è vista come impresa che nasce da qualità e logiche completamente avulse dal contesto sociale, alla base del suo sviluppo ci sarebbe un’idea geniale, per cui secondo questa logica si potrebbe studiare solo il suo successo o il suo fallimento. Il processo avanza per stadi attraverso le fasi di ricerca e sviluppo, in cui l’idea iniziale viene quindi articolata e concretizzata in diversi esemplari, per arrivare al prodotto finale e alla sua diffusione commerciale, questa visione della tecnica come successione evolutiva viene chiamata, modello lineare, o diffusivo (Godin, 2011). Lo sviluppo tecnologico nei modelli lineari viene descritto come un moto inerziale, degli artefatti tecnici verso il loro successo, quasi che magicamente sia l’oggetto stesso con le proprie qualità intrinseche a costringere, gli eventuali utenti ad accoglierlo ed in ultima analisi, a decretarne il successo. In questa cornice la separazione netta tra persone e macchine tra mondo sociale e mondo della tecnica, è data per scontata ma in realtà è una condizione che va cercata ed individuata e non è un obiettivo facile da raggiungere, perché seguendo le trame di uomini e macchine non li troveremo quasi mai separati, ma piuttosto vedremo molte concatenazioni, sostituzioni, compromessi, in cui sono coinvolti un numero sempre maggiori di elementi, una trama composta da persone, oggetti, infrastrutture informative, che convergono su di un unico processo. Su questo punto tornerò più avanti poiché è uno dei passaggi chiave nell’evoluzione degli studi sociologici su scienza tecnica e società. L’altro stato di separazione a cui ho precedentemente fatto riferimento, riguarda il rapporto tra scienza e

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134 tecnologia, che come ho già anticipato, è oggetto d’interpretazioni diverse, alcune che vedrebbero la tecnologia come un’applicazione dei fatti scientifici (Forman, 2007), mentre altre che fanno riferimento ad un approccio costruttivista, ritengono sia un’interpretazione discutibile, e che non è riscontrabile nelle pratiche sociali una distinzione tra scienza e tecnica, esistono invece negoziazioni sociali che tendono a produrre un limite tra di esse, che è di natura interpretativa e non effettivamente concreta (Woolgar, Lezaun, 2013). Gli autori che sostengono questa tesi, ritengono sia difficile se non impossibile fare riferimento a matrici solamente scientifiche, o solamente tecniche di qualsiasi innovazione (Callon, 2009), infatti se la scienza è, almeno in parte, conoscenza della tecnologia, è vero anche che la tecnologia incorpora in sé conoscenze scientifiche. Dunque il confine tra tecnologia, scienza e società sembra più appartenere alla narrazione che viene fatta su di esse e sul loro movimento evolutivo, ma non è riscontrabile nelle pratiche in cui gli oggetti sono connessi agli umani in modo inestricabile, e l’intreccio tra scienza e tecnologia è difficilmente negabile (Mongili, 2007). La scienza per esistere deve fare affidamento su apparati sperimentali, che nella sostanza altro non sono che artefatti tecnici, senza i quali la scienza resterebbe ferma ad uno stadio ideale. Queste demarcazioni sono artificiali, scrive Latour “Nessuno ha mai visto tecniche e nessuno ha mai visto umani. Noi vediamo solo, assemblaggi, crisi, compromessi, traduzioni sostituzioni e arrangiamenti sempre più complicati che coinvolgono un numero sempre più elevato di elementi” (Latour, 1993, pag 19). Dunque se la tecnologia fosse effettivamente un ambito separato, le sue realizzazioni dovrebbero essere giudicate solo sulla base dei giudizi di massima efficacia, associati al successo dei dispositivi, ma l’efficacia ed il successo non sono proprietà intrinseche delle macchine, sono essi stessi caratteri che necessitano di una spiegazione, tanto è vero che non tutto ciò che ha successo è tecnicamente migliore, così come prodotti che sono stati entusiasticamente accolti dai tecnici, hanno avuto molta meno fortuna sul

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135 fronte del mercato (Bijker et al., 2012). Sembra dunque essere fittizio il divario che distinguerebbe tra scienza ed un contesto spiegabile dalle scienze sociali, una asimmetria che nell’approccio costruttivista, é respinta per privilegiare invece la commistione dell’ibrido socio-tecnico come unità d’analisi, che permette lo sviluppo di strumenti teorici che possano spiegare il contesto ed il contenuto come fenomeni di uno stesso processo (Callon, 2012). Spiegare assieme contesto e contenuto significa studiare la tecnologia non solo dal punto di vista delle norme e delle strutture di riferimento, ma include nel campo d’indagine ogni aspetto di questo ibrido, compresi gli artefatti e i loro rapporti con gli uomini. Diversamente significherebbe perdere la componente materiale e tecnica delle relazioni sociali, fatto che implica non poter analizzare i processi sociali che la tecnologia sottende, minando la possibilità di comprenderla nella sua globalità e complessità (Woolgar, 2012). Nello sviluppo tecnologico non esiste alcuna struttura normativa astratta, che riprodurrebbe in ogni singolo evento il suo carattere impersonale, pubblico e cumulativo, al contrario hanno invece un carattere situato e specifico. Risultano analizzabili proprio in relazione al loro statuto non universalistico, alla compresenza di attori di natura eterogenea compresi quelli non umani. La composizione collettiva di tecnologie e relazioni sociali si manifesta, come associazione e sostituzione di attività all’interno di una rete di partecipanti, non è possibile incontrare artefatti tecnici senza la presenza di persone, così come nessuna società umana può funzionare senza poggiare sulla materialità e su tecnologie, inoltre il mutamento tecnologico non ha un orientamento definito o comunque univoco, a presumere una logica incorporata, ma può invece assumere direzioni diverse come sostiene Latour nella sua la teoria dell’attore-rete (ANT; actor-network-theory) (Latour, 2005). Il significato attribuito alla tecnologia ed al suo mutare varia nel corso del suo uso, gli stessi artefatti sono definiti tecnici o non tecnici in relazione a chi e a come li manipola, tutti gli attori del processo socio-tecnico, compreso l’artefatto,

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136 sono interpretati come conseguenze, e non antecedenti al processo stesso, la tecnologia ma anche la società appare come il frutto di un lavoro collettivo, qualunque direzione esso assuma, nell’approccio STS si sostiene che la tecnologia esiste solamente come effetto delle convergenze, di attori eterogenei ed è impensabile come attività isolata solo come tecnica (Pinch, Swedberg, 2008).