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L’an del risarcimento: la tesi positiva

Nel documento Il danno non patrimoniale da inadempimento (pagine 95-101)

Il danno non patrimoniale da inadempimento

2.2 Il danno non patrimoniale da inadempimento nel codice civile del

2.3.4 L’an del risarcimento: la tesi positiva

Il graduale mutare della sensibilità degli interpreti, tradottosi – per quel che qui interessa – in una maggiore attenzione alle esigenze di tutela della persona (fenomeno cui si è accennato nelle pagine che precedono) ha fatto sì che, col trascorrere degli anni, diverse voci critiche iniziassero a levarsi nei confronti degli orientamenti tradizionali (che, come visto, tendenzialmente negavano o sottoponevano a limiti molto stringenti la configurabilità del danno non patrimoniale laddove si fosse nell’ambito dell’inadempimento di obbligazioni), sentiti come eccessivamente rigidi ed ancorati a concezioni non più attuali (oltre che, talvolta, di discutibile fondamento)187.

186 Al riguardo, cfr., in particolare, S.GUADAGNO,Danno all’insegnante e concorso di

responsabilità contrattuale ed extracontrattuale del Comune, in I contratti, n. 6/2012, pag. 502. 187 C.BONA, Il danno non patrimoniale da inadempimento, cit., pag. 325, sottolinea come, a prescindere della messa in discussione degli “approdi tradizionali” da parte della dottrina, il regime riscontrabile nel “diritto vivente” fosse diverso da quello rinvenibile nelle trattazioni teoriche: l’Autore parla al riguardo di “singolare contrasto tra regole declamatorie

(danno non patrimoniale da inadempimento solo come riflesso di un’azione extracontrattuale) e regole operazionali (danno non patrimoniale da inadempimento a prescindere dall’operatività della responsabilità aquiliana)”, rinvenendone la causa nell’opera “di adeguamento” della giurisprudenza, intesa ad “aggirare le strettoie della responsabilità extracontrattuale”. Quest’opera sarebbe stata resa indispensabile dall’evoluzione della law in action: “chi più

richiamerebbe la teorica della responsabilità da contatto sociale qualificato, ben sapendo che si tratta di una responsabilità di natura contrattuale e, quindi, di per sé, inidonea a giustificare il risarcimento del danno non patrimoniale? Chi ancor più attrarrebbe la responsabilità del medico in ambito contrattuale sapendo di non poter più chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale, quando in ambito di responsabilità medica i danni che vengono normalmente chiesti sono proprio non patrimoniali (danno morale e biologico)?”.

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Le tesi di quanti hanno sostenuto la possibilità di riconoscere al danno non patrimoniale da inadempimento un ambito di maggior rilievo (interpreti che, giova precisarlo, individuano – in genere, ma non sempre188 – come riferimento normativo non l’art. 2059 c.c., bensì il complesso delle disposizioni in materia di obbligazioni) si basano sul ripudio di una concezione del sistema del libro IV del codice civile esclusivamente in chiave patrimoniale. Quello che non risulta più accettabile, secondo i sostenitori delle tesi in argomento, è l’idea che il contratto sia esclusivo regno degli interessi patrimonialmente connotati, terreno d’elezione unicamente del “confronto e scontro di egoismi privati189, nel cui ambito sarebbe impossibile ricavare uno spazio per la valorizzazione di interessi non aventi natura economica: al riguardo, si è rilevato che

“l’accostamento del danno esistenziale all’inadempimento contrattuale sembrerebbe toccare i confini dello scandalo. Il contratto, mezzo prediletto dai privati per la disposizione dei propri patrimoni, luogo ideale di composizione di contrapposti interessi economici, sembra in quanto tale del tutto estraneo alla sfera personale dei soggetti in esso coinvolti. Tali obiezioni […] non reggono

davanti all’evoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni, ossia alla storia di tutti i giorni; ma ciò che più è importante non reggono di fronte alla lettera della legge e precisamente a quella dell’art. 1174 c.c.190.

Partendo da premesse di questo tenore, si è innanzitutto contestato che i concetti di “perdita” e di “guadagno” di cui all’art. 1223 del codice civile debbano intendersi limitati al danno patrimoniale: le due espressioni, non

188 Cfr. infra.

189 Cfr.V.ROPPO, Il contratto, Milano, 2011, pag. 356. 190 Cfr. F.BILOTTA,op. cit., pag. 1160.

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altrimenti aggettivate dal legislatore del 1942, si prestano, infatti, ad una latitudine interpretativa ampia, tale da ricomprendere anche forme di pregiudizio non caratterizzate da patrimonialità191. Ritenere diversamente, oltretutto, potrebbe condurre ad un’aporia interpretativa di non poco conto: l’art. 2056 c.c., come noto, estende alla disciplina dell’illecito extracontrattuale il disposto di alcune norme dettate per la responsabilità contrattuale, tra le quali rientra anche l’art. 1223 c.c. Orbene, se quest’ultimo fosse ontologicamente incompatibile con il risarcimento del danno non patrimoniale il sistema del codice civile sarebbe intimamente minato da una (probabilmente insanabile) contraddizione interna: da un lato, infatti, ammetterebbe esplicitamente (per mezzo dell’art. 2059 c.c.) che nell’ambito dell’illecito aquiliano possa trovare soddisfazione il danno non patrimoniale e, dall’altro, regolerebbe questo risarcimento con una norma (l’art. 1223, appunto) con esso incompatibile192.

Oltre a questi argomenti di ordine testuale, inoltre, anche altre considerazioni farebbero propendere per la necessità di una nuova ponderazione dell’orientamento tradizionale: pur volendosi ammettere che “perdita” e “guadagno” debbano ritenersi riferiti al solo danno patrimoniale193, il ruolo

191 Cfr., ad esempio, C. AMATO, op. cit., pag. 152, ove si sottolinea che “mentre,

probabilmente, era estraneo alla mentalità del legislatore del 1942 il contenuto anche non patrimoniale del danno subito dal creditore insoddisfatto; tuttavia la formulazione letterale dell’art. 1223 non è di ostacolo all’inclusione, nel concetto di “perdita”, del danno anche non patrimoniale”.

192 Si veda, in proposito, M.GAZZARA, Il danno non patrimoniale da inadempimento, cit., pag. 48.

193 Rilievo che, di per sé, non renderebbe comunque la norma in discorso ostativa rispetto al riconoscimento del danno non patrimoniale nei casi di inadempimento contrattuale. dato che “il paradigma del danno è rappresentato dal danno patrimoniale, così non desta

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dell’art. 1223 c.c. nell’architettura del codice non è quello di fondare la risarcibilità di un pregiudizio, ma solo di regolare il momento della quantificazione dello stesso, determinando l’estensione, per così dire la “misurazione” della tutela risarcitoria; la norma, insomma, avrebbe una finalità di fondamentale importanza pratico-applicativa, ma interverrebbe solo in un momento successivo alla determinazione dell’an del risarcimento (deciso, al solito, da un’analisi della rilevanza giuridica dell’interesse leso dall’illecito)194. L’art. 1223 c.c., dunque, secondo questa ricostruzione avrebbe il compito di dire all’operatore del diritto qualcosa sulla quantificazione del danno patrimoniale, ma non fornirebbe alcuna indicazione su an e quantum dell’eventuale, diverso e altrimenti regolato, pregiudizio non patrimoniale: la risarcibilità di questo, pertanto, ben potrà essere revocata in discussione e sottoposta a limiti, ma non sulla base dell’art. 1223195.

Poco convincente è stata ritenuta anche la tesi per la quale il risarcimento del danno non patrimoniale in esame sarebbe configurabile solo in presenza di una lesione di beni della personalità e, di conseguenza, escluso nelle

più frequente e socialmente più rilevante; sarebbe tuttavia del tutto arbitrario trarne la conclusione che il danno che non si inquadra nella previsione di detto articolo sia un danno non suscettibile di risarcimento” (cfr. M.GAZZARA, op. ult. cit., pag. 48).

194 Cfr. G.BONILINI, op. cit., pag. 36, nota 16, secondo cui l’art. 1223 c.c. “si limita ad

offrire i criteri per la liquidazione e ad esplicitare, se mai, i due profili interessanti del danno patrimoniale”.

195 R.SCOGNAMIGLIO, op. cit., pag. 289, pur ribadendo che nell’ipotesi di responsabilità contrattuale “il danno, poiché si verte nella ipotesi di inadempimento dell’obbligazione non può

che essere patrimoniale”, ritiene che l’argomento fondato sull’art. 1223 c.c. abbia “forza solo

apparente”, dato che “la distinzione […] tra danno emergente e lucro cessante riflette soltanto,

e senza dubbio, le ripercussioni patrimoniali del danno, le sue conseguenze, e dunque non può rappresentare un limite alla raffigurazione del danno stesso”.

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ipotesi di inadempimento, stante l’impossibilità che detti diritti della personalità formino oggetto di obbligazione (che, invece, deve essere necessariamente connotata dal carattere della patrimonialità). Al riguardo, ancora in un’ottica incentrata sulla correlazione tra l’art. 185 c.p. e l’art. 2059 c.c., si è osservato che limitare i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale alla lesione dei beni della personalità avrebbe voluto dire operare un’indebita interpretazione riduttiva della portata dell’art. 185 medesimo, il quale “fedele al suo testo,

collega l’effetto del risarcimento del danno morale soggettivo a qualsiasi illecito penale, senza distinguere tra reati contro la persona ed altri reati196. Oltre all’appena menzionata osservazione, si può anche, forse, evidenziare come la tesi qui contestata, nell’associare indefettibilmente il danno non patrimoniale alla lesione di un bene della personalità, rifletta una concezione oramai superata. L’area del pregiudizio non patrimoniale, infatti, ha nell’attuale quadro ordinamentale un’estensione molto più ampia di quella riconosciutale dalle ricostruzioni teoriche elaborate nei decenni addietro, spingendosi sino ad ambiti molto meno “nobili” rispetto a quelli occupati dai beni della personalità: basti pensare, al riguardo, alle disposizioni che stabiliscono positivamente la risarcibilità del danno non patrimoniale nel caso della cd. vacanza rovinata. Predicare la correlazione tra danno non patrimoniale e lesione di un diritto della personalità, quindi, oggi risulta operazione più utile a cogliere un dato riscontrabile nella realtà fenomenica, che vede nei secondi il terreno di normale

196 M.FRANZONI, Il danno risarcibile, cit., pag. 527; nello stesso senso v. anche C. AMATO, op. cit., pag. 144, secondo cui l’art. 185 c.p. “nel collegare il risarcimento del danno

morale ai fatti costituenti reato non limita gli stessi ai reati contro la persona, ma a qualsiasi illecito penale”.

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produzione del primo, constatazione magari puntuale nel descrivere l’id quod

plerumque accidit, ma priva di un reale fondamento normativo stringente. Oltre a ciò, anche volendo ritenere che si possa ancora discorrere di danno non patrimoniale solo qualora venga in causa un pregiudizio inferto a beni necessariamente di elevata levatura, risulta, forse, inesatto affermare che questa circostanza, di per sé, causerebbe un insormontabile ostacolo alla corresponsione di un risarcimento per il danno non patrimoniale contrattuale: anche ammesso che davvero i beni della personalità non possano in nessuna misura formare oggetto di obbligazione197, cionondimeno essi sono indubbiamente suscettibili di lesione da parte di un inadempimento contrattuale, pur quando non siano direttamente oggetto dell’obbligazione inadempiuta. La tesi contestata, quindi, sembra poco condivisibile, in primo luogo, laddove ritiene che la questione della risarcibilità si ponga solo nei casi (asseritamente inammissibili) nei quali il bene della personalità è oggetto dell’obbligazione; in secondo luogo, risulta non considerare che vi può ben essere lesione di un diritto della personalità a seguito di un inadempimento di un obbligazione avente tutt’altro oggetto.

197 Affermazione che, comunque, appare oggi assai meno pacifica di quanto non fosse fino a tempi relativamente recenti: basti pensare alle (diffuse) pattuizioni con cui un soggetto mette a frutto la sua notorietà consentendo dietro corrispettivo che un terzo utilizzi e sfrutti a fini commerciali attributi fondamentali della sua personalità, quali, ad esempio, immagine e nome. Si veda, in proposito, V.ZENO –ZENCOVICH, Profili negoziali degli attributi della personalità, in Studi in onore di Renato Scognamiglio, vol. I, Roma, 1997.

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