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Il codice civile del 1942: l’art

Il clima di diffusa e generale diffidenza nei confronti dei pregiudizi non patrimoniali che, come visto, pervadeva la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie era destinato già lo si è accennato, a condizionare anche le scelte che di lì a poco avrebbe compiuto il legislatore chiamato a redigere la nuova codificazione civile. Il codice civile del 1942, infatti, trovandosi a dover scegliere tra un modello “alla francese”, ispirato al codice napoleonico e potenzialmente aperto alla risarcibilità del danno non patrimoniale77 e uno “alla

76 Cfr. G.BONILINI,op. cit., pag. 185.

77 L’impostazione “aperta” del Code Napoleon, come già accennato in precedenza, era stata ripresa in sede di redazione del codice civile del 1865; ciò aveva consentito al “diritto vivente”, almeno sino alla nota (e fortunata) presa di posizione di Gabba, di ammettere in maniera abbastanza pacifica il risarcimento del danno non patrimoniale.

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tedesca”, caratterizzato dalla tipicità dei danni non patrimoniali ristorabili78, optò per il secondo, formulando in tal senso l’art. 2059, secondo il quale, come noto, “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati

dalla legge”.

E’ importante sottolineare come la “presa di posizione” del legislatore del 1942 sia giunta all’esito di una riflessione e di un iter alquanto travagliati79. L’esame dei lavori preparatori di quello che sarebbe diventato l’art. 2059 c.c., infatti, consente di distinguere due momenti caratterizzati da tendenze opposte. Nel primo periodo (anteriore al 1939), il codice in gestazione pare destinato a recepire il le scelte già operate dal Progetto italo francese del codice delle

obbligazioni e dei contratti del 192780. Questo progetto prevedeva un’assoluta equiparazione sotto il profilo della risarcibilità del danno non patrimoniale a quello patrimoniale; come emerge dalla Relazione al progetto di codice civile del 1936, l’art. 8581 di questo tentativo di compilazione (la cui lettera era stata

78 Come noto, il par. 253 del B.G.B. prevede che il risarcimento dei danni non patrimoniali sia dovuto nei soli casi contemplati dalla legge (ad esempio, lesioni del corpo o della salute e privazione della libertà).

79 Sui lavori preparatori dell’art. 2059, si veda M.F.CURSI,op. cit., pag. 117 e ss. 80 Su tale compilazione, si veda G.ALPA G.CHIODI (a cura di), Il progetto italo

francese delle obbligazioni (1927): un modello di armonizzazione nell’epoca della ricodificazione, Milano, 2007. Questo testo, nato in un primo momento dall’iniziativa privata di alcuni giuristi, ebbe una notevole influenza sulla successiva redazione del codice civile, tanto che si è rilevato come “malgrado il solco che lo separava dall’assetto del nuovo codice civile, il

progetto (risorto come Progetto ufficiale del libro delle obbligazioni nel 1936) divenne infatti lo schizzo preparatorio del futuro libro IV del codice civile” (cfr. G.CHIODI, op. ult. cit., pag. 45).

81 La norma così recitava: “L’obbligazione del risarcimento comprende tutti i danni

materiali e morali, cagionati dall’atto illecito. In particolare, il giudice potrà attribuire un’indennità alla vittima, in caso di lesione della persona, di attentato all’onore e alla reputazione della persona o della sua famiglia, di violazione della libertà personale o del

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ripresa nella prima stesura dell’art. 2059 c.c.), infatti, era stato pensato quale soluzione alla “vessatissima questione sulla risarcibilità dei danni morali,

dichiarando in modo esplicito che qualunque danno materiale o morale deve essere risarcito, intendendosi per danno morale quello che in nessun modo tocca il patrimonio, ma arreca solo un dolore morale alle vittime, come è provato dalle esemplificazioni che seguono nello stesso articolo82.

La netta inversione di tendenza, tuttavia, non tardò a giungere: nel 1939 il nuovo Guardasigilli Dino Grandi ritirò il progetto del 1936, presentando un nuovo testo redatto con il dichiarato scopo di predisporre una codificazione che fosse frutto dell’evoluzione impressa all’ordinamento dall’organizzazione corporativa e desse vita a “un nuovo Progetto di formazione puramente ed

esclusivamente italiano e fascista”, idoneo altresì a contrastare gli studiosi che avevano manifestato “troppo arrendevoli simpatie verso esperienze ed istituti

giuridici di altri Paesi, che amano dichiararsi estranei alla tradizione del Diritto romano, e per i quali la gloria del Diritto romano non ha certamente lo stesso significato che ha per noi figli ed eredi di Roma83. Questo nuovo articolato “autarchico”, che prevedeva una formulazione della norma sul risarcimento del danno non patrimoniale sostanzialmente identica a quella che

domicilio o di un segreto concernente la parte lesa. Il giudice potrà ugualmente attribuire un’indennità ai parenti, agli affini o al coniuge a titolo di riparazione del dolore sofferto nel caso di morte della vittima”.

82 Cfr. Relazione al Progetto del Codice civile (quarto libro), Roma, 1936, pag. 27. 83 Cfr. Grandi D. La Riforma fascista dei Codici (discorso alla Commissione del Senato e della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, 16 ottobre 1939), in Relazione al Duce del

Guardasigilli Dino Grandi nei Lavori preparatori del codice civile (1939-1941). Progetti preliminari del libro delle obbligazioni, del codice di commercio e del libro del lavoro, I, Roma, 1942, pag. XXXII e ss.

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verrà poi consacrata nel testo definitivo dell’art. 2059 c.c.84, segna il prevalere delle tendenziale chiusura alla risarcibilità del danno non patrimoniale.

La presenza di una ben precisa ideologia giuridica alla base della scelta operata emerge con chiarezza dalla Relazione al Re predisposta per illustrare il testo della nuova codificazione: qui si evidenzia come “circa il risarcimento dei

danni cosiddetti morali, ossia circa la riparazione o compensazione indiretta di quegli effetti dell’illecito che non hanno natura patrimoniale, si è ritenuto di non estendere a tutti la risarcibilità o la compensazione, che l’art.185 del codice penale pone soltanto per i reati. La resistenza della giurisprudenza a tale estensione può considerarsi limpida espressione della nostra coscienza giuridica. Questa avverte che soltanto nel caso di reato è più intensa l’offesa all’ordine giuridico e maggiormente sentito il bisogno di una più energica repressione con carattere anche preventivo. Il nuovo codice si è perciò limitato a dichiarare che il danno non patrimoniale deve essere risarcito (in senso largo) solo nei casi previsti dalla legge, presente o futura, e nelle forme, eventualmente diverse da un’indennità pecuniaria, da essa stabilite85.

La rispondenza al vero delle affermazioni contenute nel passo della Relazione al Re testé riportato è stata confutata con decisione da attenta dottrina, che ha evidenziato come queste non tratteggino una fedele ricostruzione dell’articolato dibattito che nei decenni precedenti si era avuto circa il danno non patrimoniale, in quanto affermano sic et simpliciter la

84 La disposizione in questione, inserita all’art. 24 del Progetto, prevedeva che “I danni

non patrimoniali sono risarcibili solamente nei casi determinati dalla legge e nella forme da essa stabilite”.

85 Cfr. Relazione del Ministro guardasigilli al Codice civile preceduta dalla relazione

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rispondenza della limitazione introdotta dall’art. 2059 alla “coscienza giuridica”, operando così una “palese forzatura dei dati storici86. Si è rilevato che “ritenere la giurisprudenza di un trentennio <<limpida espressione della

nostra coscienza giuridica>> equivale, quanto meno, a disconoscere il valore di un’elaborazione che da ben più lunga data si è dimostrata attenta al problema e che affonda le proprie radici nel diritto romano87: che la storia dell’ordinamento civilistico italiano, se rettamente esaminata, consenta di avanzare dubbi sull’esattezza delle affermazioni del legislatore del ‘42, d’altra parte, emergerebbe anche solo considerando il fatto che a lungo l’art. 1151 del codice civile abrogato era stato pacificamente impiegato quale fondamento normativo per concedere il risarcimento del danno non patrimoniale.

Al di là delle riserve legittimamente configurabili sulla veridicità e l’esattezza di quanto riportato nel passo della Relazione al codice civile appena citato, quel che appare evidente è che l’art. 2059, di per sé, ha il solo scopo di porre un filtro selettivo alla risarcibilità di ipotesi di danno non patrimoniale tramite la previsione di una riserva di legge, in linea di ideale continuità con le posizioni “restrittive” affermatesi negli anni precedenti la sua emanazione, ma non contribuisce in alcuna maniera a fornire una definizione dogmatica dell’istituto in esame, delimitandone il concetto o la portata tramite “limiti interni”; la norma, cioè, non ci dice cosa si debba intendere per danno non patrimoniale, né quali caratteristiche esso debba avere per potersi ritenere risarcibile: si limita ad affermare che il danno non patrimoniale assurge a rilevanza giuridica solo quando ciò sia espressamente previsto dalla legge, in un

86 Cfr. G.BONILINI, op. cit., pag. 157. 87 Cfr. G.BONILINI, op. cit., pag. 158.

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rapporto quasi di eccezionalità rispetto alla regola generale che lo vuole, altrimenti, irrilevante per l’ordinamento. La portata per così dire “minimale” dell’art. 2059 ha fatto sì che autorevole dottrina individuasse in questa norma ora una “battuta d’arresto” nel processo legislativo88, ora una “poco

giustificabile involuzione89.

Il sistema della responsabilità disegnato dal codice civile del ‘42, pertanto, risultò caratterizzato dalla contrapposizione tra l’ampia clausola generale dell’art. 2043, relativa ai danni patrimoniali, e la fattispecie tipica di cui all’art. 205990. Il quadro risultante da questa contrapposizione è, con tutta evidenza, connotato da un’impronta nettamente liberale e patrimonialistica: al patrimonio del soggetto è offerta ex art. 2043 c.c. una tutela ad ampio spettro (la latitudine applicativa della norma, oltretutto, sarà – come noto – destinata ad ampliarsi notevolmente nel corso dei decenni), mentre gli altri pregiudizi sono ritenuti meritevoli di risarcimento in via eccezionale, solo quando ciò sia espressamente previsto91. Negli anni a venire, inoltre, pur in presenza di una

88 La definizione è formulata in A. DE CUPIS Il danno – Teoria generale della

responsabilità civile, Milano, 1999, pag. 344; per talune interessanti considerazioni critiche in proposito, si veda M.PERFETTI Prospettive di una interpretazione dell’art. 2059 c.c., in Rivista

trimestrale di diritto e procedura civile, n. 3/1978, pag.1053 e ss. 89 G.BONILINI, op. cit., pag. 309.

90 Come rilevato da M. BARCELLONA, Sul danno non patrimoniale – Analisi di un

itinerario giurisprudenziale, in Studi per Giovanni Nicosia, vol. I, Milano, 2007, pag. 395 e ss.

“il combinato disposto degli artt. 2043 e 2059 istituisce il codice binario patrimoniale / non patrimoniale, al quale rimette la distinzione tra (ordinariamente) rilevante e irrilevante (salvo eccezioni), ed affida il funzionamento di tale codice al criterio della patrimonialità”.

91 Secondo M.PERFETTI,op. cit.,pag. 1072, dato che è “principio informatore della

responsabilità civile quello per cui l’ordinamento sanziona il comportamento illecito, reagendo contro le conseguenze dannose di qualsiasi natura da questo prodotte”, si dovrebbe giungere alla conclusione che sia possibile (se non addirittura doverosa) “una interpretazione analogica

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pluralità di “casi determinati dalla legge92, aumentati via via con lo svilupparsi della legislazione speciale, si andrà affermando una tendenziale “connessione fissa” tra rinvio ex art. 2059 c.c. e art. 185 c.p., di modo che il perimetro dei danni non patrimoniali risarcibili (identificati in genere con il danno morale soggettivo – lesione di sentimenti, delle affezioni della vittima – c.d. pretium doloris) risulterà sostanzialmente coincidere con quello dei danni non patrimoniali cagionati dal reato, che, pertanto, sarà fonte e limite del risarcimento del danno9394.

delle norme che, in applicazione del principio contenuto nell’art. 2059, prevedono il risarcimento dei danni non patrimoniali”. L’Autore (pag. 1064) ritiene inoltre che “la

condizione restrittiva, imposta dalla scelta politica del legislatore, deve ritenersi soddisfatta quante volte l’interpretazione logica e quella sistematica di una norma, in aggiunta alla interpretazione letterale, conducano con certezza a ritenere che il legislatore abbia inteso prevedere, con quella norma, il risarcimento dei danni non patrimoniali”.

92 Si pensi, per citare le principali, alle seguenti disposizioni: Legge 22 aprile 1941 n. 633 (“Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”); Legge 13 aprile 1988, n. 117 (“Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e

responsabilità civile dei magistrati”); Legge 24 marzo 2001, n. 89 (“Previsione di equa

riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile”); Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice in

materia di protezione dei dati personali”); Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 215 (“Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone

indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica”); Legge 1° marzo 2006, n. 67 (“Misure

per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”); Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216 (“Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di

trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”); Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (“Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della

legge 28 novembre 2005, n. 246”); Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (“Codice della

proprietà industriale”).

93 Cfr. al riguardo M.F.CURSI,op. cit., pag. 104.

94 L’interpretazione a lungo dominante, che identificava i “casi determinati dalla

legge” di cui all’art. 2059 c.c. con l’art. 185 c.p. è contestata, tra gli altri, da M.PERFETTI,op. cit., pag. 1057 e ss., che evidenzia efficacemente una sorta di “corto circuito” logico-

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La (ri)emersione di una dimensione più articolata del danno non patrimoniale (la cui esposizione dettagliata prescinde evidentemente dai limiti della presente trattazione), maggiormente attenta alla tutela delle prerogative fondamentali della persona (in primis la salute: nodale, al riguardo, è stato l’affermarsi del danno biologico), richiederà un lungo succedersi di interventi coraggiosi di dottrina e giurisprudenza (si pensi, solo a titolo di esempio, alle nota giurisprudenza genovese e pisana degli anni ‘70 e alle vere e proprie pietre miliari costituite da talune pronunzie della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione95), grazie alle quali il “diritto vivente” potrà assumere gradualmente,

interpretativo cui condurrebbe un’esegesi siffatta: come abbiamo visto, la dottrina e la

giurisprudenza maggioritarie successive all’emanazione del codice Rocco avevano ritenuto che l’art. 185 c.p. riguardasse solo il danno conseguente a reato, sostenendo che al di fuori di tale ipotesi non si potesse dar luogo al risarcimento, dato che l’art. 1151 c.c. ineriva solo al danno patrimoniale; l’unica possibilità di mutare tale stato di diritto sarebbe stata l’introduzione ad opera del legislatore di un’apposita norma di carattere civile che, facendo da ideale pendant rispetto all’art. 185 c.p., ampliasse il perimetro del danno non patrimoniale risarcibile, ricomprendendovi anche i casi di pregiudizio “civile”; orbene, “se è consentito sintetizzare in

tali termini il pensiero della dogmatica del tempo, possiamo affermare che, date siffatte premesse, le conclusioni che se ne sono tratte all’entrata in vigore del nuovo codice civile con la sua disposizione dell’art. 2059 sono state chiaramente incongrue: si attendeva la norma che riconoscesse rilevanza giuridica al danno non patrimoniale anche in materia civile; la norma viene introdotta nella nuova legislazione civile; ed ecco che la si interpreta come mera riaffermazione del principio che il danno non patrimoniale è risarcibile solo quando derivi da reato”. Assai puntuali appaiono anche le critiche avanzate da G.BONILINI, op. cit., pag. 159, il quale rileva che il vincolo esistente tra obbligo risarcitorio e reato è da ritenersi immotivato: “la

divergenza di quel vincolo da un principio di ragione – può esservi un danno non patrimoniale tanto di derivazione da illecito puramente civile, quanto da illecito penale, e resta da dimostrare, alla luce della logica, o della storia, che solo il secondo va risarcito – è senz’altro intuitiva”.

95 Basti considerare, a mero titolo di esempio, le note “sentenze gemelle” della Corte di Cassazione n. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 e le cd. “sentenze di San Martino” delle SS.UU. (n. 26972-5 dell’11 novembre 2008).

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nel perdurante sostanziale disinteresse del legislatore, una fisionomia più conforme alla mutata sensibilità dei nostri giorni, oltre che maggiormente rispettosa della carta costituzionale. La storia anche recente ci mostra dunque come si sia dimostrato (e sia tuttora) assai arduo trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di assicurare un adeguato ristoro dei pregiudizi arrecati a valori fondamentali della persona ed istanze di contenimento delle pretese risarcitorie rispondenti ad esigenze di tenuta del sistema: riprendendo il suggestivo titolo di un celebre contributo dottrinario96, il danno non patrimoniale ha dimostrato di avere frontiere assai mobili e fisionomia costantemente cangiante; basti pensare, per realizzare l’effettiva ampiezza delle oscillazioni interpretative al riguardo, che lo stesso tessuto normativo ha fornito di volta in volta argomenti per concedere alle disposizioni in esame una latitudine applicativa estremamente ridotta (è il caso dell’interpretazione tradizionale, per molti anni assolutamente predominante) o incredibilmente ampia (si considerino, ad esempio, le tesi, talvolta estreme, dei propugnatori del cd. danno esistenziale).

96 Il riferimento è evidentemente allo scritto di F. GALGANO, Le mobili frontiere del

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Capitolo II

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