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La centralità dell’art 1174 c.c.

Nel documento Il danno non patrimoniale da inadempimento (pagine 101-106)

Il danno non patrimoniale da inadempimento

2.2 Il danno non patrimoniale da inadempimento nel codice civile del

2.3.5 La centralità dell’art 1174 c.c.

Argomento di fondamentale rilievo nello sviluppo delle tesi favorevoli al risarcimento del danno non patrimoniale da inadempimento è stato quello basato sulla valorizzazione del disposto dell’art. 1174 c.c.: come noto, questo stabilisce che “la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile

di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore198. Orbene, si è ritenuto che, dato che il testo normativo operava uno specifico riferimento all’interesse non patrimoniale del creditore, lo stesso non potesse essere lasciato privo di tutela risarcitoria qualora

198 La norma, introdotta dal legislatore del 1942 a seguito di un lungo ed articolato dibattito dottrinario, ha il dichiarato scopo di evidenziare che “il diritto mira a realizzare e a

tutelare anche le più alte idealità; basta che [l’interesse alla prestazione] includa uno scopo

ritenuto utile secondo l’apprezzamento predominante nella coscienza sociale, cioè indipendentemente dal giudizio subiettivo che ne possa fare il soggetto” (cfr. Relazione al Codice Civile, par. 557). Sulla complessa questione della possibile natura non patrimoniale dell’interesse del creditore esiste un’amplissima bibliografia; per un inquadramento generale, facendo riferimento anche a studi anteriori alla codificazione del 1942, si indicano: Q. DE VINCENTIIS, Della patrimonialità della prestazione nelle obbligazioni contrattuali, in Studi

giuridici in onore di Carlo Fadda pel XXV anno del suo insegnamento, vol. IV, Napoli, 1906; M. CARBONI, Concetto e contenuto dell’obbligazione nel diritto odierno, Torino, 1912; T. CLAPS,Del concetto e del contenuto economico delle obbligazioni nel diritto moderno, in Scritti

giuridici dedicati ed offerti a Giampietro Chironi nel XXXIII anno del suo insegnamento, vol. I, Torino, 1915; G.PACCHIONI,La pecuniarietà dell’interesse nelle obbligazioni, Appendice I a F.C. von Savigny, Le obbligazioni – vol. II, Torino, 1915; E. ALBERTARIO, Ancora sulla pecuniarietà dell’interesse nelle obbligazioni, in Foro italiano, 1936, pt. IV, col. 209; L. BARASSI,La teoria generale delle obbligazioni, vol. I – La struttura, Milano, 1946; C.SCUTO,

Teoria generale delle obbligazioni con riguardo al nuovo codice civile – parte I, Napoli, 1950; G.CIAN,Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione (valore normativo dell’art. 1174 c.c.), in Rivista di diritto civile, 1968, pt. I, pag. 197; A.DI MAJO,Delle obbligazioni in

generale, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, diretto da F. Galgano, Bologna- Roma, 1988; T. TORRESI, Elementi costitutivi del rapporto obbligatorio. Le obbligazioni naturali e reali, in Le obbligazioni – Diritto sostanziale e processuale, vol. I, a cura di P. Fava, Milano, 2008.

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si fosse verificato un inadempimento. In altre parole, la tesi si basa sul presupposto che “questa generalissima regola contiene gli estremi sufficienti

per giustificare la rilevanza e la risarcibilità dei danni non patrimoniali contrattuali199: optare per la tesi favorevole alla risarcibilità del danno non patrimoniale risulterebbe, infatti, necessario per assicurare la piena riparazione dei danni patiti dal creditore, il quale, con la conclusione dell’accordo, mirava proprio alla soddisfazione di un interesse privo del carattere della patrimonialità. Lasciare quest’ultimo senza una adeguata “copertura” risarcitoria, allora, vorrebbe dire privare il contraente di qualsiasi tutela effettiva200. Secondo questa teoria, dunque, la presenza di un interesse non patrimoniale – purché debitamente oggettivato nel contratto e non confinato alla imponderabile sfera “interiore” dei semplici motivi, fonderebbe di per sé la possibilità (o, meglio, la doverosità) del risarcimento del danno non patrimoniale.

La rivalutazione della portata dell’art. 1174 c.c. propugnata dalla tesi in esame, che pure ha il merito di aver emancipato il disposto della norma dall’interpretazione riduttiva proposta in passato da autorevole dottrina201 e che ha acquistato una indiscussa centralità nel dibattito sul tema di cui ci

199 Cfr. M.COSTANZA, op. cit., pag. 128.

200 Secondo M. COSTANZA, op. cit., pag. 128, “se il debitore è tenuto a riparare,

qualora non adempia in tutto o in parte la propria obbligazione, i danni provocati direttamente e immediatamente da questo illecito comportamento, diventa impossibile respingere una domanda di riparazione del danno non patrimoniale, quando l’interesse che doveva essere soddisfatto è di natura morale e la perdita sofferta dal creditore si identifica nella mancata realizzazione di esso”.

201 Il riferimento è alle riferite tesi sostenute da A. DE CUPIS, Il danno – Teoria

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occupiamo202, non ha convinto completamente gli interpreti successivi, laddove pretende di fondare automaticamente la risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento sulla base della mera rilevanza che l’interesse non patrimoniale può avere nell’obbligazione: questo rilievo, infatti, secondo le ricostruzioni maggiormente critiche, non basta, di per sé, ad aprire sic et

simpliciter la strada al risarcimento, anche in considerazione del fatto che interesse leso e danni risarcibili si collocano su piani distinti, mancando una correlazione necessaria tra natura del primo e del secondo. Il carattere patrimoniale (o meno) dell’interesse, infatti, è strutturalmente indipendente da quello patrimoniale (o meno) del danno203; l’apparente sovrapposizione

202 Come si vedrà più avanti, l’argomento fondato sulla norma di cui all’art. 1174 c.c. è stato ripreso anche dalla motivazione delle cd. sentenze di S. Martino delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2008.

203 Cfr., in merito, G.COMANDÈ,Il danno non patrimoniale: dottrina e giurisprudenza

a confronto, in Contratto e impresa, n. 2/1994, pag. 873: “non è completamente vero che alla

lesione di un interesse patrimoniale corrispondano solo danni patrimoniali e, viceversa, dalla menomazione di interessi non patrimoniali possano discendere solo danni non patrimoniali […]

non può logicamente ritenersi la natura patrimoniale dell’interesse postulando una nozione di patrimonialità e poi far discendere la qualifica di danno patrimoniale o non patrimoniale dal tipo di interesse leso e non dal medesimo concetto di patrimonialità […] da questa semplice

obiezione logica deriva la rottura di quella corrispondenza tra interesse e danno che autorevole dottrina descriveva come univoca”. Nello stesso senso, si vedano anche V.ZENO-ZENCOVICH,

op. cit., pag. 81, secondo cui “giova rilevare come proprio l’analisi della natura del danno porti

a negare l’equazione <<lesione di un interesse non patrimoniale = danno non patrimoniale>>”; di grande interesse anche lo studio di M.PARADISO,Natura dell’interesse leso e qualificazione del danno, in Responsabilità civile e previdenza, n. 4/1997, pt. I, ove l’Autore osserva che (pag. 676) “la ferrea concatenazione instaurata tra la natura del bene (e

dell’interesse <<corrispondente>>) e qualifica del danno dovrebbe comportare che alla lesione di un certo bene, patrimoniale o non patrimoniale, faccia sempre riscontro un danno di analoga natura. Al contrario, non da oggi si è notato come dalla lesione di un bene non economico – e valga per tutti l’esempio dell’onore di una persona – ben possono discendere danni sicuramente suscettibili di valutazione economica”; v. anche G.BONILINI, op. cit., pag.

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concettuale deriva, forse, dalla circostanza che uno stesso termine (“danno”, per l’appunto) viene impiegato sia per indicare la lesione dell’interesse (cd. danno evento) che le conseguenze pregiudizievoli della lesione medesima (cd. danno conseguenza). Orbene, il fatto che dalla lesione di un interesse non patrimoniale discenda un danno non patrimoniale è senz’altro rispondente alla constatazione dell’id quod plerumque accidit, ma non per questo deve considerarsi dato indefettibile ed ontologicamente discendente da una correlazione necessitata. Come rilevato da un attento commentatore, insomma, “non c’è alcun dubbio,

neppure remoto, che dalla lesione di un interesse non patrimoniale possa derivare un danno patrimoniale (l’operazione di dermoabrasione di una pagatissima fotomodella lascia profonde cicatrici sulle sue guance, sicché la poverina non lavora più), ovvero che dalla lesione di un interesse patrimoniale possa derivare un danno non patrimoniale (il locatore omette di riparare l’impianto di riscaldamento dell’immobile locato ed il conduttore si ammala per il freddo)204”. In altri termini, “non è la previa qualifica attribuita al bene e

all’interesse a decidere della natura del danno […] la distinzione tra beni e

interessi, patrimoniali e non patrimoniali […] si rivela già sotto tale profilo non

del tutto affidabile, posto che non consente di determinare con certezza, sulla base della natura del bene leso, il tipo di pregiudizio che ne potrà

71: “già su di un piano logico possono avanzarsi dubbi circa la correttezza di un’assegnazione,

in termini di consequenzialità, della qualifica patrimoniale, o non patrimoniale, al danno a seconda che il bene leso sia della prima o della seconda specie”; ivi, anche nota 99.

204 Cfr. M.DI MARZIO,Danno non patrimoniale: grande è la confusione sotto il cielo,

la situazione non è eccellente, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 2/2009, pt. I, pag. 125.

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conseguire205. Il possibile disallineamento tra natura del danno e natura dell’interesse riceverebbe una conferma dallo stesso tenore dell’art. 1174 c.c, il quale, mettendo in relazione un interesse (potenzialmente) non economico con una prestazione (necessariamente) suscettibile di valutazione patrimoniale, consacrerebbe normativamente la “possibile non sintonia tra la natura del bene,

dell’interesse e del danno, già rilevata per così dire empiricamente o in via di fatto206.

I fondamentali rilevi di quanto sopra, in conclusione, rendono palese che l’accertamento della presenza di un interesse non patrimoniale nel contratto comporterà, il più delle volte, che anche il danno conseguente all’inadempimento abbia (anche) tale carattere: la mancanza di un necessario automatismo in tal senso, tuttavia, fa sì che non si possa attribuire un ruolo dirimente alla disposizione recata dall’art. 1174 c.c.207 Nel prosieguo dell’esposizione, quando si affronterà il problema degli strumenti utilizzabili per rilevare la presenza dell’interesse non patrimoniale nell’accordo, si avrà modo di ribadire questa precisazione.

205 Cfr. M.PARADISO,op. cit., pag. 676. 206 Cfr. M.PARADISO,op. cit., pag. 678.

207 207 Cfr. M.PARADISO, op. cit., pag. 684, rileva come “l’impostazione che vuole

collegati rigorosamente bene, interesse e danno alla stregua del profilo della patrimonialità non trova riscontro nell’esperienza e, d’altra parte, risulta smentita dal tenore dell’art. 1174 c.c. Conseguentemente, è lecito dubitare della coerenza o congruità delle qualificazioni del danno effettuate a tale stregua e, pertanto, della idoneità di tale profilo a costruire una affidabile linea scriminante in ordine alla tutela risarcitoria delle posizioni giuridiche soggettive”.

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2.4.1 Il problema dell’individuazione del fondamento normativo:

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