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L’an del risarcimento: la tesi negativa e la tesi limitativa

Il danno non patrimoniale da inadempimento

2.2 Il danno non patrimoniale da inadempimento nel codice civile del

2.3.2 L’an del risarcimento: la tesi negativa e la tesi limitativa

Gli interpreti che hanno sostenuto la tesi avversa alla risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento si sono avvalsi di argomentazioni di vario genere, tanto di carattere testuale che sistematico.

Si deve, in primo luogo, osservare che il punto di partenza di molte delle riflessioni che si andranno ad esaminare, la base, cioè, su cui fondano le proprie argomentazioni (pur tra loro diverse per toni e sfumature) è data dalla condivisa interpretazione “panpatrimonialistica” (peraltro conforme agli intenti del

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legislatore del ‘42) delle disposizioni del codice civile relative alle obbligazioni e ai contratti. Al riguardo, si è autorevolmente osservato che “nel codice civile

italiano del 1942, il quarto libro si apre con l’affermazione della patrimonialità dell’obbligo e si chiude con l’indicazione dei limiti al riconoscimento del danno non patrimoniale. L’intero libro è pensato nella dimensione patrimoniale secondo un preciso disegno del legislatore del tempo141.

Riprendendo un argomento già sfruttato in relazione al codice civile del 1865, si è innanzitutto sostenuto che risarcire il danno non patrimoniale da inadempimento contrasterebbe con il disposto dell’art. 1223 c.c.142 che, riferendosi testualmente a concetti quali “perdita” e “guadagno”, sarebbe l’esemplificazione della patrimonialità intrinsecamente permeante il concetto e la disciplina del danno contrattuale143, dato che sia l’una sia l’altro risulterebbero concettualmente inconcepibili se riferiti alla sfera del non patrimoniale.

Una delle opinioni maggiormente risalenti parte dal presupposto per cui il danno morale sarebbe configurabile solo in presenza di una lesione di beni

141 Cfr. G.VETTORI, Il danno non patrimoniale fra illecito e contratto, in Scritti in

onore di Marco Comporti, vol. III, a cura di S. Pagliantini – E. Quadri – D. Sinesio, Milano, 2008.

142 Secondo cui, come noto, “il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il

ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.

143 Pur se riferito alla codificazione previgente, appare estremamente significativo, sul punto, quanto sostenuto da G.P. CHIRONI, op. cit., pag. 567: “determinato così il pregiudizio

risarcibile derivante da inadempimento, è facile inferirne che per la sua natura stessa non si può estendere al così detto danno morale: consistendo tutto nella diminuzione del patrimonio cagionata dall’inadempimento dell’obbligazione, esige la possibilità dell’estimazione pecuniaria che mal si adatta a beni costituenti quel che figuratamente è chiamato patrimonio morale della persona”.

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della personalità144; orbene, non essendo questi ultimi possibile oggetto di obbligazione, data la necessaria patrimonialità che deve caratterizzare questo elemento, ne deriverebbe l’impossibilità di concepire danni non patrimoniali derivanti da inadempimento; anche nel caso in cui l’inesecuzione della prestazione coincida con la lesione della persona (come può accadere, ad esempio, nel caso di contratto di trasporto), si ritiene che il danno morale (effettivamente sussistente essendo stato toccato un bene della personalità) non sia riferibile direttamente all’inadempimento, ma “all’ipotesi indipendente,

seppure connessa ed addirittura coincidente, dell’infortunio occorso145”. Secondo questa ricostruzione, dunque, risulta esplicitamente ammesso che “gli

interessi morali, eventualmente tenuti presenti dai privati soggetti, non sono in modo specifico tutelati dal diritto146.

Altra autorevole dottrina ha negato il risarcimento sulla base di una particolare analisi del requisito della necessaria patrimonialità e del disposto dell’art. 1174 c.c.147 Secondo questa ricostruzione, si deve partire dal presupposto per cui, secondo la richiamata norma, la prestazione oggetto dell’obbligazione deve avere carattere necessariamente patrimoniale: a detto carattere della prestazione si accompagna immancabilmente un interesse creditorio della medesima natura. La portata dell’art. 1174 c.c. quando afferma

144 La tesi è sostenuta da R.SCOGNAMIGLIO,op. cit., pag. 315 e ss., secondo il quale “i

danni morali, in senso tecnico, non sono tutte le sensazioni dolorose, connesse al sacrificio di qualsiasi interesse giuridico protetto, ma come altrove si è stabilito, solo i dolori, patemi, ecc. conseguenti ad una lesione dei beni della personalità, che non sono in linea di massima configurabili come oggetto delle obbligazioni in senso proprio”.

145 Cfr. R.SCOGNAMIGLIO,op. cit., pag. 315. 146 Cfr. R.SCOGNAMIGLIO,loc. ult. cit.

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che la prestazione “deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale,

del creditore” starebbe, quindi, solo nell’ammettere la possibile e concomitante esistenza anche di un interesse non patrimoniale, che si affianca eventualmente all’altro, sempre e comunque presente148. L’unico interesse suscettibile di risarcimento, tuttavia, sarebbe quello patrimoniale: si sostiene, in conclusione, che “l’inadempimento è cagione di un danno il quale, colpendo un interesse

non giuridicamente tutelato, non è produttivo di reazione giuridica; si ha quindi un danno contrattuale (cagionato da inadempimento di obbligazione) non patrimoniale (avente per oggetto un interesse non patrimoniale), contro il quale l’ordinamento non reagisce149.

Secondo la ricostruzione operata da un altro studioso150, inoltre, pur dovendosi ritenere condivisibile la posizione secondo la quale per la determinazione del risarcimento quello che rileva è solo la valutazione dell’interesse patrimoniale concretamente violato, si può, nondimeno, cercare di

148 Al riguardo A.DE CUPIS,op. cit., è estremamente chiaro: “può darsi che l’interesse

non patrimoniale sia, unico e solo, il motivo il quale induce a contrarre: vale a dire, il soggetto può indursi a contrarre, assumendo posizione di creditore, unicamente per la considerazione dell’utile non patrimoniale che potrà ricavare attraverso la prestazione, e nullamente per la considerazione dell’utile economico che questa potrà assicurargli. Ma ciò non incide sull’obiettiva esistenza dell’interesse patrimoniale”. V.ZENO-ZENCOVICH,op. cit., pag. 83, nel commentare la tesi in argomento, parla significativamente di “patrimonializzazione di un

interesse non patrimoniale”.

149 Cfr. A.DE CUPIS,op. cit., pag, 127. Analogamente, G.CIAN, Interesse del creditore

e patrimonialità della prestazione (valore normativo dell’art. 1174 c.c.), in Rivista di diritto

civile, 1968, pt. I, pag. 254, parlando al riguardo di “obbligo giuridico completamente sfornito

di sanzione”, rileva che “avendo il legislatore limitato, in linea di principio, la sanzione del

risarcimento ai soli danni patrimoniali, necessariamente non di rado avverrà che un illecito civile, nel senso della violazione di un comando, non potrà essere seguito dall’applicazione di una sanzione”.

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valorizzare in qualche misura anche l’interesse non patrimoniale: questo, infatti, non potrà essere tenuto in considerazione a fini risarcitori, ma, qualora la prestazione fosse rivolta al suo soddisfacimento, esso costituirà uno dei parametri da utilizzare per verificare la diligenza del debitore. Potrebbe darsi il caso, infatti, in cui l’adempimento sia stato perfetto da un punto di vista meramente formale, ma risulti tuttavia censurabile proprio in considerazione della (mancata) soddisfazione dell’interesse non patrimoniale del creditore151. Si può dire, dunque, che secondo questa ricostruzione l’interesse non patrimoniale assume una rilevanza generica: esso non interferirà direttamente con an e

quantum del risarcimento (che resteranno collegati esclusivamente a valutazioni legate al momento indefettibile dell’interesse patrimoniale) ma, rimanendo per così dire sullo sfondo, potrà essere valorizzato (assieme ad altri elementi) per valutare la complessiva adeguatezza della condotta debitoria.

L’altro “filone” argomentativo frequentemente sfruttato – oltre a quello inerente la rilevanza della sola sfera patrimoniale in materia contrattuale – se non per negare, almeno per limitare a casi di assoluta irrilevanza il risarcimento del danno non patrimoniale nel settore del diritto dei contratti, è strettamente connesso al (ritenuto) fondamento normativo della riparabilità del tipo di pregiudizio in discussione (su cui v. infra): dato che l’unica disposizione del

151 A.RAVAZZONI, op. cit., pag. 230, al riguardo esemplifica facendo ricorso al caso del caso in cui un docente, obbligatosi a tenere una lezione su una determinata materia, adempia, ma esponga in maniera troppo complessa: in questo caso l’adempimento, valutato secondo i canoni tradizionali, si potrebbe ben dire ineccepibile; tuttavia, considerata la circostanza che la prestazione era rivolta a soddisfare un interesse non patrimoniale del discente, il livello eccessivamente complesso della lezione sarà un parametro da tenere in considerazione nel valutare se l’esecuzione della prestazione sia stata effettivamente soddisfacente.

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codice civile che ha riguardo al danno non patrimoniale è l’art. 2059, che deve essere letto in stretta correlazione con l’art. 185 c.p., allora, a tutto voler concedere, ferma cioè restando la generale irrisarcibilità, si potrà dar luogo al risarcimento solo nei casi in cui l’inadempimento costituisca reato.

I sostenitori di questa tesi, significativamente definita da taluno “argomento penalistico152”, dunque, hanno effettuato un’attenta analisi del codice penale, alla ricerca di disposizioni incriminatrici che facessero espresso riferimento all’”inadempimento”; la ricerca, che pure non è stata del tutto infruttuosa, ha comunque posto in luce la rilevanza assolutamente marginale che, in un sistema così ricostruito, era attribuibile al danno de quo153; la medesima dottrina che appoggiava questa ricostruzione, d’altro canto, non esitava a riconoscere che “l’inadempimento di obbligazione solo assai

raramente è qualificato dall’ordinamento come reato […] è ben raro, quindi,

che si rientri, esso (inadempimento) ricorrendo, nella speciale ipotesi della legge154. Si segnala, incidentalmente, che l’argomento in parola è stato sovente impiegato dalla (rara) giurisprudenza che si è occupata della materia per negare

152 Cfr. A.LIBERATI,op. cit., pag. 79.

153 A.DE CUPIS op. cit., pag. 125, elenca le seguenti fattispecie delittuose: art. 251 c.p. (“Inadempimento di contratti di forniture in tempo di guerra”); art. 252 c.p. (“Frode in

forniture in tempo di guerra”); art. 355 c.p. (“Inadempimento di contratti di pubbliche

forniture”); art. 356 c.p. (“Frode nelle pubbliche forniture”). A.RAVAZZONI,op. cit., pag. 223, aggiunge l’art. 509 c.p. (“Inosservanza delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro”). M. GAZZARA, op. cit., pag. 76 cita inoltre il caso del cliente di un Istituto di credito vittima dell’appropriazione indebita commessa dal cassiere o del lavoratore subordinato che si sia appropriato delle somme affidategli dal datore di lavoro).

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la concedibilità del risarcimento155, mancando, nei casi di specie, il reato; esemplare, al riguardo, una pronunzia del Tribunale di Milano156, ove si sostiene che “l’unico presupposto per la risarcibilità del danno medesimo [i.e. del danno morale] alla stregua del vigente ordinamento, è che il fatto generatore del

pregiudizio integri, come nella specie, un’ipotesi di reato, indipendentemente dalla circostanza che esso inerisca ad un titolo di responsabilità contrattuale od aquiliana”.

Sulla necessaria configurabilità di un’ipotesi di reato al fine della concessione del risarcimento del pregiudizio non patrimoniale discendente da inadempimento si tornerà nelle pagine che seguono, quando si tratterà delle teorie sviluppatesi attorno al problema della rilevanza dell’art. 2059 c.c. in materia contrattuale.

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