3. La parodo
3.3 Analisi e commento testuale della parodo – coppia strofica αʹ
Χο. τί χρὴ τί χρή με, δέσποτ’, ἐν ξένᾳ ξένον στρ. αʹ 135 στέγειν, ἢ τί λέγειν πρὸς ἄνδρ’ ὑπόπταν; φράζε μοι· τέχνα γὰρ τέχνας ἑτέρας προὔχει καὶ γνώμα παρ’ ὅτῳ τὸ θεῖον Διὸς σκῆπτρον ἀνάσσεται· 140 σὲ δ’, ὦ τέκνον, τόδ’ ἐλήλυθεν πᾶν κράτος ὠγύγιον· τό μοι ἔννεπε τί σοι χρεὼν ὑπουργεῖν.
“Che cosa, che cosa è necessario, o signore, che io, straniero in terra straniera, / tenga cela- to o dica a un uomo che mostri sospetto? / Dimmi. / Infatti, su ogni altra arte / prevale l’arte e il pensiero di colui nelle mani del quale / lo scettro divino di Zeus governa. / A te, o figlio, è giunto / tutto questo antico potere; perciò dimmi / quale aiuto bisogna che io ti fornisca.”
Schema metrico strofe-antistrofe αʹ
135 / 150 3ia 136 / 151 || phal 137 / 152 cr + ba (~ cr mol) 138 / 153 ionma + mol 139 / 154 hipp 140 / 155 gl 141 / 156 2ia 142 / 157 4da 143 / 158 ||| 2ia
135. τί χρὴ bis LVTaz : semel Sr | με δέσποτ’ T : δέσποτ’ Kac δέσποτά μ’ Kpc rell. 136. ὑπόπταν : ἀπ- A 139. γνώμα Zga : γνώμας LΛSVT γνώμα γνώμας KZor 141. σὲ δ’ ὦ : εἰς σὲ δ’ ὦ Q σοὶ δὲ T | ἐλήλυθεν: ἐλήλυθε r ἐπήλυθεν Hartung 142. τό: τῶ GRQpc
32 L’esordio del Coro con la formulazione di una domanda diretta non si trova mai nella produzione eschilea rimastaci, ma compare per la prima volta soltanto in Sofocle, nell’Elettra e successivamente nell’Edipo a Colono, due drammi che, come si è visto, pre- sentano delle analogie ricorrenti con il Filottete per la trattazione delle parti corali. Unica è la sensazione di incertezza che viene da subito fatta trasparire, a causa del luogo ignoto e dell’imprevedibilità delle possibili reazioni dell’individuo contro cui si sta tramando. I ma- rinai desiderano sapere dal loro sovrano, detentore dello scettro di Zeus84, la cui autorità viene invocata qui per la prima volta nel dramma, che cosa debbano nascondere o dire, già pienamente coinvolti nell’intrigo. Finora la posizione di Neottolemo era stata di subordina- zione a Odisseo, ma con questo intervento si ricorda che il figlio di Achille è a sua volta un re e un comandante, la cui funzione è ulteriormente accresciuta dal possesso di un’“arte” e di un “pensiero” superiori a quelli degli altri. In questo senso, è da preferire la lezione γνώμα rispetto alla variante γνώμας, più debole, poiché adottandola si implicherebbe che il “potere intellettivo” non è da ascriversi pienamente come qualità regale al pari dell’altra.
Sin dalla prima stanza emergono alcune delle caratteristiche retoriche di cui si è ac- cennato in precedenza, un linguaggio forbito, segnato dalla ripetizione e dal poliptoto (v. 135 e v. 138, τέχνα…τέχνας), dalla rima verbale (v. 136, στέγειν… λέγειν), dal pleonasmo (vv. 139-40, lo scettro θεῖον Διὸς), dalle costruzioni particolari (σὲ come accusativo di per- sona alla fine di un movimento espresso dal verbo ἔρχομαι non ha paralleli), dall’utilizzo di termini rari o “difficili” (v. 142, ὠγύγιον, che lo scoliasta glossa τὸ ἐξ ἀρχῆς τιθέμενον, un aggettivo che generalmente si trova riferito alle città; ἔννεπε, che insieme all’epicismo τό chiude la costruzione anulare con cui il Coro riprende il quesito iniziale). Andando a guardare la ricostruzione del testo, nel primo verso (v. 135) la maggior parte degli editori moderni accolgono l’inversione με, δέσποτ’ proposta da Triclinio in T, in luogo della le- zione presente nel resto della tradizione δέσποτά μ’, una sequenza che andrebbe a formare un coriambo ( , incompatibile con il trimetro giambico dell’antistrofe. Per alcuni la sequenza della paradosis, più lineare, potrebbe ritenersi ugualmente valida, anche se così verrebbe a mancare il trimetro giambico iniziale che, come si è visto85, con questo ritmo, solitamente appartenente al ruolo attoriale, conferisce un tono particolare alla parodo.
84 L’immagine dello scettro come simbolo del potere monarchico è di stampo omerico, cfr. specialmente Il.
9.37-8 e 9.98-9, Od. 11.568. L’uso del verbo ἀνάσσω alla forma passiva ricorre altrove solo in Od. 4.177, Pucci (2011) ad loc. suggerisce si tratti di un medio con valore intransitivo, altri, per esempio Kamerbeek (1980) e Jebb (1962), lo considerano come una forma attiva accompagnato da un accusativo interno dalla funzione avverbiale, ἀνάσσω σκῆπτρον, “to rule with sceptre”.
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33 La risposta di Neottolemo è abbastanza vaga, per il momento esorta il Coro a os- servare il luogo in cui Filottete risiede e gli raccomanda di essere sempre pronto al suo cenno, sapendo all’occasione adeguarsi, quando la situazione lo dovesse richiedere (τὸ παρὸν θεραπεύειν, v 149). L’essere in guardia e al servizio del proprio signore è loro pre- rogativa da tempo, rispondo i marinai nell’antistrofe, dopodiché, con marcato cambio di argomento (v. 152, νῦν δέ), viene posta una domanda pratica, sulla dimora di Filottete e sulla sua effettiva presenza, in una costruzione parallela a quella della strofe, una duplice richiesta intervallata dalla sua motivazione.
Χο. μέλον πάλαι μέλημά μοι λέγεις, ἄναξ, ἀντ. αʹ 150 φρουρεῖν ὄμμ’ ἐπὶ σῷ μάλιστα καιρῷ· νῦν δέ μοι λέγ’ αὐλὰς ποίας ἔνεδρος ναίει καὶ χῶρον τίν’ ἔχει· τὸ γάρ μοι μαθεῖν οὐκ ἀποκαίριον, 155 μὴ προσπεσών με λάθῃ ποθέν· τίς τόπος, ἢ τίς ἕδρα, τίν’ ἔχει στίβον, ἔναυλον ἢ θυραῖον;
“A me dici, o signore, quella che è mia cura da sempre, / che il mio occhio vigili a ciò che è maggiormente opportuno per te; / ma ora dimmi / dimorante in quale sorta di sistemazio- ne / egli abita e quale spazio occupa. Sapere questo, / infatti, non è per me inopportuno, / cosicché non mi piombi di nascosto alle spalle, da qualche parte: / quale posto, quale sede? Dove calca i passi, dentro o fuori?”
Il linguaggio ricercato del primo intervento riappare qui, elaborato e ricco di ele- menti retorici, con una figura etimologica iniziale, con un gioco basato sull’etimo fra καιρῷ (v. 151) e ἀποκαίριον (v. 155), quest’ultimo un hapax sottolineato dalla litote, con un poliptoto (v. 157, τίς…τίς…τίν’, con una ripetizione della domanda che genera ansietà e urgenza) con pleonasmi e ridondanze. Una parte della tradizione (LKSGRaz) fa concludere
150. μέλον: -λλ- G1
in marg. | ἄναξ VT: ἄναξ τὸ σόν LKSGRaz τοσὸν ἄναξ Q τὸ σόν Benedict, cf. Wilamowitz, p. 531 152. αὐλᾶς Lac (corr. L2), K 156. προσπεσών huc trahunt Anon.1810, Hermann: post λάθῃ habent codd. 157. τόπος … στίβον codd.: στίβος … τόπον Herwerden4 | τίς ἔχει στίβος Wakefield, Danielsson 158. ἔναυλος ἢ θυραῖος Thom. Magister, probat Porson ad Eur. Or. v. 1263.
34 il verso 150 con due parole fuori metrica, τὸ σόν, che Triclinio espunge, seguito dalla maggior parte degli editori. Soltanto Radermacher e Wilamowitz86 preferiscono, invece, omettere ἄναξ, concordando l’aggettivo possessivo a ὄμμα del verso successivo, con rife- rimento all’occhio di Neottolemo; in realtà, sembra preferibile intendere questo sostantivo come soggetto di φρουρεῖν, considerando τὸ σόν una glossa inserita da un interprete che lo ha variamente inteso come oggetto del verbo.